Capitolo 7

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Per passare il tempo, iniziai a guardare fuori dalla finestra. Catturai ogni singolo particolare e  lo impressi nella mia memoria.

Se fossi riuscita a telefonare a mio padre, in qualche modo, avrei dovuto fargli capire dov'ero. Il sole illuminava ancora il cielo e tutto il circondario, il terreno era arido, con qualche ciuffetto di erba qua e là.

A una trentina di metri dal luogo dove ero imprigionata
c'era una strada, talmente inutilizzata che neanche le lucertole ci passavano.

Era deserta.

Aspettai che passasse qualche macchina, ma in quasi un'ora scorsi soltanto un camion di trasporto. Provai ad urlare, per farmi sentire, ma la finestra era chiusa, ed il vetro di cui era fatta era discretamente spesso.

Urlai con tutta l'aria che avevo nei polmoni... ma niente.

Non avevo speranze.

Nessuno sarebbe venuto a salvarmi. In quel momento iniziai a piangere e a disperarmi.

'Non mi merito tutto questo'  pensai  'Cosa ho fatto di male?'

Mi lasciai andare, iniziando a singhiozzare e a versare lacrime senza fermarmi. Se Clarke fosse stata lì, avrebbe assistito alla scena più pietosa del secolo. Ero debole, vulnerabile, e facilmente manipolabile.

Gli occhi mi bruciavano, il naso mi pizzicava, e non riuscivo a respirare bene, era una sensazione davvero orribile, le forze stavano lentamente lasciando il mio corpo e, senza accorgermene, mi addormentai, con le lacrime agli occhi.

Non mi ricordo cosa sognai, né quanto dormii... so solo che appena mi svegliai mi sentii strana. La prima cosa che i miei occhi videro non appena si aprirono fu un colore bianco pastello uniforme.

Ci misi un po' a riavviare tutti i sensi, ma dopo qualche secondo capii che c'era qualcosa di morbido sotto la mia schiena e che non ero più seduta, confusa piegai  la testa di lato, e mi accorsi di essere distesa su un letto. La sedia su cui ero legata era davanti a me, e sopra ad essa vi era Clarke a cavalcioni.

Aveva le braccia conserte appoggiate sopra lo schienale, il mento appoggiato sul suo braccio destro, e mi fissava.

Volevo dire qualcosa, ma non mi venne in mente niente. Prima di poter parlare, lei si alzò, distogliendo lo sguardo da me.

"Ho la tua cena."  Sparì per un attimo dietro la porta che collegava la mia stanza alla sua e tornò poco dopo con un contenitore bianco.

"Mettiti a sedere, e non fare nessun movimento brusco."  mi ordinò, chiudendo la porta alle sue spalle a chiave. Deglutii e feci come mi aveva detto; probabilmente aveva paura che scappassi visto che mi aveva liberata.

"Non farmi pentire di ciò che ho fatto, okay?"  disse Clarke, sedendosi sulla sedia e porgendomi il contenitore con il mio cibo.

Io lo afferrai, lo aprii e trovai una ciotola di riso cinese e accanto un tramezzino con tonno, insalata e pomodori.

"Volevo comprarti solo un panino come quello che ho mangiato io, ma alla fine ho deciso di comprarti qualcosa anche dal cinese."  spiegò lei.

La guardai negli occhi, e nel suo sguardo leggevo chiaramente un 'mangia'.

Iniziai a mangiare il riso, che era ancora leggermente caldo. Mugolai di piacere non appena arrivò al mio stomaco vuoto da giorni.

Era una sensazione inebriante!

Divorai la ciotola di riso in neanche cinque minuti, sotto gli occhi attenti e vigili di Clarke. Chiusi gli occhi per concentrarmi sul calore e il sapore meraviglioso di quel piatto.

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