Epilogo

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Nota:
Ci siamo! Siamo arrivati alla fine anche di questo storia :) non vi preoccupate però perché come ho detto ho altre due storie in mente, sceglieremo insieme quale sarà la prima che verrà pubblicata ma piano piano arriveranno entrambe ;) detto questo vi lascio al capitolo finale e ci leggiamo alla fine! 

Passarono diversi giorni, e si avvicinava sempre di più il momento della libertà. Chilometro dopo chilometro, metro dopo metro ci stavamo avvicinando al confine. Ormai, seguendo i nostri piani e tutte le varie tempistiche, saremmo arrivate prima in Georgia e poi in Louisiana nel giro di 27 ore precise. Erano tantissime ore, ma per la nostra sicurezza spostarci piano e nelle zone giuste per non destare sospetto era la miglior scelta. 

Sia io che Clarke eravamo davvero felici; camminavamo in giro mano nella mano, quando andavamo a mangiare nelle locande, nei ristoranti, o durante le colazioni da Starbucks. Anche durante gli ultimi viaggi, in macchina, eravamo sempre mano nella mano. Io accucciata per sentirla più vicina a me, anche se eravamo su due diversi sedili.

Stava andando tutto fin troppo bene, dovevo aspettarmelo quello che sarebbe successo di lì a poco. Il giorno prima delle complicazioni eravamo come al solito in viaggio; io stavo giocando con il suo braccio destro, stuzzicandola un po'.

"Lexa, fermati o rischiamo di fare un incidente cosí!"  scherzò Clarke.

Erano ormai otto ore filate che eravamo sedute in macchina, e a me stava venendo un crampo. Stavo diventando istintivamente insopportabile.

"Voglio sgranchirmi un po' le gambe."  dissi portando la sua mano tra esse   "Ti prego."

Ridacchiò, e così si convinse che non aveva alcuna speranza con me. Così ci fermammo a una stazione di servizio; era vicino a un boschetto di alberelli folti, con tanti cespuglietti attorno. Pensava che fosse un luogo sicuro, non c'era tanta gente all'interno, perciò non era molto frequentato, ne conosciuto.

"Questo può andare."

Eravamo troppo vicine al confine per farci vedere apertamente, a chiunque. Erano gli ultimi chilometri, e la mafia poteva aver messo occhi su tutto il territorio. Non era sicuro, però ci fermammo lo stesso.

Clarke parcheggiò la macchina e scendendo tirò un forte sospiro.  "Oddio le mie povere gambe... meno male siamo scese, ma facciamo solo per una decina di minuti, okay? Non possiamo restare quì a lungo."  mi avvertì.

"Tranquilla, il tempo di riprendere la circolazione alle gambe."

Entrammo dentro: all'interno c'erano una ventina di tavoli, ma tre persone ne occupavano solo tre. Era tutto molto silenzioso, se non fosse stato per la musichetta di sottofondo che proveniva dagli autoparlanti posti sul soffitto. Un tizio al bancone ci squadrò da capo ai piedi, con uno sguardo perso e neutro, come se il lavoro lo avesse prosciugato di ogni singola gioia.

"Benvenuti, cosa volete ordinare?"  domandò con un tono di voce monotono.

Clarke mi guardò, e il guardai lo scaffale su la quale c'erano delle sottospecie di paste dolci e focacce ripiene. Mi morsi il labbro, non sapendo cosa poteva essere gustoso e cosa no, cosa poteva essere vomitevole e cosa no. Niente aveva un bell'aspetto, però decisi comunque di prendere una ciambella glassata alla vaniglia, Clarke prese un caffè da portar via, pagò il tutto e tornammo al nostro veicolo.

Però appena varcata la soglia e lo assaggiò, con una smorfia di disgusto lo buttò a terra.  "Che schifo, com'è il donut?"

"È un po' rinsecchito, ma ho troppa fame, non m'interessa."  risposi.

Ripartimmo, e Clarke mi avvertì che la prossima sosta sarebbe stata appena sorpassato il confine. Viaggiammo tranquillamente per qualche ora.Il sole non era ancora tramontato, ed eravamo sole su quella strada infinita, fino a quando in lontananza non spuntò una macchina nera.

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