Viaggiammo.Viaggiammo per non so quante ore, fino a che Clarke non decise di fare una sosta per dormire.
Fù snervante per me, il silenzio sfondava i miei timpani, dando libero arbitrio ai miei pensieri più folli e alle mie domande più complicate. Non sapevamo entrambe dove stavamo andando, o forse lei sì ma io no. Non avevamo una meta, eppure stavamo viaggiando senza fermarci a sgranchirci le gambe o per fare il punto della situazione.
Dopo diverse miglia, per puro caso trovammo un motel, in mezzo al nulla, a vederlo sembrava abbastanza piccolo, le pareti esterne erano di un rosa chiaro molto tenue e l'insegna di benvenuto era fatta di imponenti luci al neon viola. La scritta 'vacancy', invece, era rossa, molto accesa.
Clarke parcheggiò in modo da nascondere l'auto, dietro la struttura. La prima cosa che fece fu caricare l'arma da fuoco che nascondeva nella giacca e farmi scendere dalla macchina, aprendomi lo sportello gentilmente.Il freddo invase il mio corpo. Non c'era vento, ma il mio respiro iniziò a condensarsi davanti ai miei occhi non appena misi i piedi sull'arido terreno della zona.
Era sera, il sole se n'era andato già da un pezzo, perciò la luna aveva dato il via libera al gelo più puro. Prima che mi congelassi, Clarke mi prese per mano e ci fiondammo dentro al motel.
'Finalmente un po' di calore' pensai.
Il pavimento era tappezzato di una moquette rosso sangue, molto scura, mentre le pareti erano bianco latte. Il contrasto colpì molto i miei occhi, soprattutto per la scelta dei mobili, che erano neri.
Andammo verso il bancone davanti a noi, enorme e vuoto, non c'era nessuno. Clarke aspettò qualche secondo, impaziente, sempre tenendomi stretta la mano, poi alla fine cominciò a suonare il campanello come una fossennata.
"Cazzo, ma dormite di già a quest'ora?" disse tra sé e sé ad alta voce. "È l'una di notte." Borbottò qualcosa d'incomprensibile e continuò a suonare l'arnese sul tavolo.
Alla fine arrivò una donna sulla cinquantina, con un sorriso falso stampato sulle labbra. "Cosa posso fare per voi?" ci domandò gentilmente.
"Ci servirebbe una camera per stanotte."
La donna prese un paio di chiavi e Clarke sborsò subito la cifra che le aveva chiesto, le afferrò e cercammo la stanza numero 314. Chiuse a chiave non appena entrammo, guardando prima nel corridoio se qualcuno ci aveva seguito.
Era diventata molto ansiosa e scrupolosa da quando non mi aveva uccisa, aveva paura di qualsiasi cosa, non si fidava di nessuno. Si fiondò sul letto, mettendosi a sedere e pensando. Fissò il vuoto per diversi minuti, mentre io la guardai attentamente.
Sospirai, non sapendo come essere d'aiuto visto che la causa di quel casino ero io; alla fine tirò fuori un telefono usa e getta, che non poteva essere rintracciato e compose un numero. Mentre il cellulare squillava, chiuse le tende della finestra e ascoltò se, attraverso la porta, c'era qualcuno fuori.
Dopo essersi assicurata che non ci fosse nessuno, si concentrò sulla chiamata. Mi avvicinai per sentirla anch'io, mettendomi a sedere accanto a lei sul materasso.
"Pronto? Sono Clarke."
"Tu, cazzo, che fine hai fatto? Lo sai che sei nei guai?" disse la voce al di là della cornetta.
Lei sospirò. "Lo so, ho combinato un casino."
"Clarke, di me ti puoi fidare, che diavolo hai combinato? L'hai uccisa vero?"
"No, Murphy, è questo il problema."
Se prima avevo dei dubbi adesso avevo la conferma che si trattasse del suo collega.

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In The Dark
FanfictionLa giovane Lexa Woods, figlia del boss più potente di tutta New York e a capo della banda più ricercata, i Trikru. Clarke Griffin, cecchino esperto ed assassina, membro della banda rivale, che dovrà portare a termine un compito ed il più importante:...