Alla fine mi arresi e mi lasciai trascinare in camera. Mi misi volontariamente a sedere sulla sedia, senza bisogno di ordini da lei; mi aveva promesso che mi avrebbe slegata ed ero sicura che lo avrebbe fatto. Non so perché, ma le diedi la mia fiducia, sapevo che avrebbe mantenuto la sua promessa.Dopo avermi legata tornò in camera sua e chiuse la porta a chiave. L'unica cosa che mi divideva da lei ora era una semplice porta; la sentii parlare al telefono e armeggiare in giro per la stanza per quasi quattro ore.
Sentivo strani rumori, come se stesse maneggiando una decina di armi diverse, mentre parlava al cellulare. Non riuscivo a capire quello che diceva; parlava troppo piano e inoltre si avvicinava e si allontanava troppo spesso dalla porta per farmi capire quello che stesse dicendo. Udii qualche parola, ma non riuscii a trovare un filo logico tra di loro, verso la fine della sua lunga discussione sembrò un tantino alterata. Iniziò ad aumentare il tono della voce e ad invelenirsi contro chiunque stesse parlando in quel momento.
Probabilmente non era un suo superiore perché le sentii dire un sacco di terribili offese. Non potevi dire certe cose al tuo capo.
'Forse è un suo collega, che collabora con lei in tutto questo diabolico piano' ipotizzai.
Finita la discussione sentii un lungo ed inquietante silenzio, non la sentivo neanche muoversi.
Era calata una quiete a dir poco snervante. Iniziai a domandarmi cosa stesse facendo, cos'era successo, con chi stesse parlando, a cosa stesse pensando in quel momento...Ad interrompere tutti i miei pensieri fù il rumore della porta che si riapriva.
Entrò Clarke, leggermente scossa; rimase in piedi e gironzolò per la stanza. Non mi azzardai a parlare, oramai aspettavo che lo facesse lei per prima.
Si fermò davanti alla finestra, e rimase a guardare fuori per un bel po'. La osservai tutto il tempo, cercando di capire a cosa stesse pensando.
Cos'era che la turbava così tanto?
Fu come se avesse sentito i miei pensieri perché si girò verso di me e mi guardò negli occhi per qualche attimo. "Tranquilla, non è niente di che..." mormorò. "per ora." aggiunse a bassa voce.
Sbuffò e si mise a sedere proprio davanti a me, aiutandosi a sedersi appoggiandosi sulle mie gambe. Fece sparire il suo sguardo arrabbiato e mi rivolse un tenero sorriso. "Allora, Lexa, ti va di mangiare qualcosa? Non è ancora troppo tardi."
Mi morsi il labbro inferiore, immaginandomi quello di cui avevo voglia in quel momento. "Vorrei una pizza."
Lei annuì. "Anch'io avevo voglia di pizza... Mi ci vorrà un'oretta tra andata e ritorno per arrivare alla pizzeria più vicina." mi fece notare. "Ti va bene?"
"A me va bene qualsiasi cosa, basta mangiare pizza."
Clarke si mise a ridere. "Okay. Allora parto adesso e cerco di fare il più veloce possibile."
Dopo aver preso i soldi e dopo averle detto come la volevo, corse fuori dal motel e salì in macchina; come aveva detto, tornò dopo neanche 40 minuti ed io fui felicissima della cosa, affamata per com'ero.
Entrò con un grande sorriso stampato sulle labbra e con lei entrò anche un buon profumino. Appoggiò i cartoni della pizza da parte e si mise a slegarmi i polsi.
"Vieni, mettiti a sedere accanto a me." mi invitò lei, porgendomi uno dei cartoni.
Mentre mangiavamo cercai di farmi dire da cosa era preoccupata Clarke.
"Chi era al telefono oggi?" le chiesi timidamente.
"Nessuno d'importante."
"Beh, sembravi molto agitata dopo averci parlato."
STAI LEGGENDO
In The Dark
FanfictionLa giovane Lexa Woods, figlia del boss più potente di tutta New York e a capo della banda più ricercata, i Trikru. Clarke Griffin, cecchino esperto ed assassina, membro della banda rivale, che dovrà portare a termine un compito ed il più importante:...