7 - Sei un pericolo per tutti - 7

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Ciò che passava per la testa di Tania era sempre un mistero. Era un mistero per sua madre, che desiderava soltanto vedere di nuovo la figlia col sorriso.

Ma Tania sapeva a che cosa pensava giorno e notte. Suo padre era stato l'uomo migliore del mondo, per lei. Era l'unica persona che la faceva sentire speciale. E adesso era tutto cambiato. Lui non c'era più.

Era sdraiata sul letto con gli auricolari senza fili alle orecchie. La canzone a tutto volume che stava essendo riprodotta le stava per spaccare i timpani ma a lei non importava. La musica era l'unico modo per interrompere i pensieri.

Hallie apparve alla porta, le braccia conserte e la spalla appoggiata allo stipite. Restò a fissare la cugina senza far notare la sua presenza.

Lei conosceva il padre di Tania ed era un uomo buono e gentile. Sapeva quanto fosse dura superare il lutto di una persona cara. Ma il proprio padre? Per una figlia, il padre è come una specie di eroe. E adesso l'eroe di sua cugina non c'era più.

Hallie si sedette ai piedi del letto, facendo accorgere Tania della sua presenza. La ragazza sbuffò, interrompendo la musica e togliendosi gli auricolari senza fili dalle orecchie.

"Ti va di parlare?" Le chiese, cercando di assumere un tono di voce calmo e rassicurante.

"Che cosa ti fa pensare che dica di sì?" Ribatté lei, bruscamente.

Ma Hallie non si offese. Era a conoscenza del fatto che Tania fosse molto testarda e impulsiva. Le veniva difficile pensare prima di parlare o agire. Era sempre stata così sin da bambina ma adesso era diverso.

"Mi dispiace tanto per tuo padre. Era una brava persona."

"Perché mi dici queste cose solo adesso? Avresti potuto farlo due anni fa."

Hallie non poté fare a meno di mordersi il labbro e voltare il capo; sapeva che se avesse guardato la cugina negli occhi, sarebbe scoppiata in lacrime. Perché Tania aveva ragione.

Da quando suo padre era morto due anni prima, Hallie non si era degnata neanche di fare una telefonata. Non si presentò neanche al funerale. Tutto ciò che fece fu scrivere un breve messaggio di condoglianze a Meredith.

"Perché sei tornata a Woodsboro dopo tutto questo tempo?" Tania cercò di cambiare argomento, in parte perché era davvero curiosa di sapere come mai sua cugina fosse tornata e in parte perché non voleva piangere davanti a lei.

"Avevo voglia di vedervi" Sorrise ma Tania non cadde nella sua trappola.

"Smettila di mentire, ho saputo di Troy."

Dannazione. Hallie abbassò il capo, percependo gli occhi bruciare. Non piangere, non piangere, non piangere. Continuò a ripetere quella frase nella sua mente per lunghi secondi prima di aprire nuovamente bocca.

"Hai ragione. Dovrei smetterla di mentire, di fingere che andrà tutto bene... perché l'ultima volta è andata molto male. Ero preoccupata per te e tua madre."

"Perché dovresti essere preoccupata per me e Meredith?" Hallie si accigliò: per quale strano motivo Tania chiamava sua madre per nome? "Va' dai tuoi genitori, loro sono più importanti di noi."

"Vivono lontani da Woodsboro, sono al sicuro."

"Vuoi dire che io non lo sono? Mi stai dicendo che rischio di essere uccisa?"

"Non ho detto questo."

"Smettila di mentire, so perfettamente che cosa  è successo dieci anni fa. Sono morte delle persone e adesso torni a creare di nuovo casino? Hallie, vattene da qui e torna in qualunque città tu viva."

"Non posso farlo."

"Sì, invece! Sei un pericolo per tutti! Per me, per Meredith, per la mia migliore amica!"

"Stammi bene a sentire. Non permetterò che ti venga fatto del male. Saremo al sicuro se restiamo insieme."

"Apri gli occhi, Hallie, ho sentito questa frase in tutti i film che ho visto. Fa' un favore a tutti e vattene."

Hallie cercò di ribattere ma Tania si alzò bruscamente dal letto, uscendo a passo svelto dalla stanza. Non poté fare a meno di ripensare a ciò che sua cugina le aveva detto; le sue parole facevano male come proiettili al cuore.

In fondo non era cambiato nulla. Sarebbe stata per sempre Hallie Prescott. L'angelo della morte. La sfortuna fatta persona. E sarebbe rimasta sola. Prima o poi tutti l'avrebbero abbandonata.

■ ■ ■


Stella salutò Dylan con un bacio dolce e a tratti passionale mentre ignorò completamente Linda e Jenna. Si erano appena organizzati per ritrovarsi tutti a casa di Linda, quella sera.

Attraversò la strada per poi salire sul portico di casa sua. Si diede una sistemata ai capelli e si tolse in fretta il pesante trucco con una salviettina prima di suonare il campanello.

Ad aprire la porta fu sua madre, sigaretta tra le labbra e capelli scompigliati come al solito. Aveva le guance scavate, degli occhi stanchi, i denti completamente rovinati dal troppo fumo.

"Hai fatto tardi. Con chi sei stata?" Le chiese, facendo un tiro con la sigaretta. Non aveva l'aspetto di una madre amorevole e supportiva nei confronti della figlia.

Stella abbassò il capo, cercando in tutti i modi di evitare il contatto visivo mentre parlava: "Mi sono trattenuta con Jenna e Linda dopo scuola."

"E anche col capitano della squadra di football? Quel Dylan Linch?" Stella percepì una fitta allo stomaco non appena sua madre ebbe pronunciato quelle parole. Non riusciva neanche a ribattere "Forza, entra in casa. Io e te dobbiamo fare quattro chiacchiere."

E lei così fece, chiudendo la porta dietro di sé. Era pronta a subire gli ennesimi insulti di sua madre che la definiva una prostituta. Anzi, peggio: una puttana.

A scuola, Stella Young era una persona completamente diversa: la capo-cheerleader, la più popolare del liceo, la ragazza più stronza della Woodsboro High.

Eppure nessuno si soffermava sulla vera Stella Young, quella debole e insicura. Quella con una madre alcolista e un patrigno che la vedeva soltanto come tette e culo dall'età di quattordici anni. Nessuno conosceva quel lato di lei e le andava bene così.

Con il personaggio che aveva creato, Stella era riuscita a trovare delle amiche, a trovare un fidanzato. Allora per quale motivo si sentiva così... vuota?

Scream - Non fidarti di nessunoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora