Capitolo IV - Il filo rosso del perdono

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Non pensavo bruciasse così, a stento sono riuscito a tagliare anche l'altro. Non mi ha mai impressionato la vista del sangue ma ogniqualvolta vedevo il mio gli occhi mi si riempivano di lacrime, un po' come quando fissi una luce accecante. Il cuore inizia a bussare con forza dentro il mio torace, una mano gelida scorre lungo la mia schiena salendo sino alla nuca. Tutte sensazioni a me familiari, riportano alla mente gli attacchi di panico che per anni mi hanno assediato, la stessa sensazione di improvvisa debolezza, di confusione che offusca la mente. Solo che ora non c'è paura, non ci sono ansie, nessun tremore. Il sangue che esce cede il posto alla pace, all'ordine, al silenzio della mente. Non so se è la luce a diminuire o sono i miei occhi che mi giocano scherzi, le mie gambe iniziano a cedere, non riesco neanche a stare seduto, scivolo dal bordo della vasca da bagno e mi siedo per terra. La casa si riempie improvvisamente di un suono sordo, un ronzio, voci, non capisco. In altre circostanze mi sarei spaventato, ma ora può accadere di tutto e non batterei ciglio. Non so quanto tempo sia trascorso, secondi, minuti, ore, tutto sembra essersi fermato, l'unico movimento che percepisco è la macchia rossa che si espande. I polsi bruciano sempre meno ma la mia mano sinistra stringe ancora con avidità il taglierino. Tutto si fa sempre più oscuro, il battito dal petto si è trasferito nelle orecchie ma è più calmo, sereno, l'addio di un amico che se ne va in punta di piedi. Una sagoma indefinita, accompagnata da una voce agitata e senza senso, si avvicina e raccoglie terrorizzata il sangue con le mani, come si raccoglie qualcosa di prezioso che va sprecato. Non ho più percezione del mio corpo ma la rilassatezza del mio volto mi fa capire che sto sorridendo. Il buio. Libero.

La veranda illuminata è il ricordo più vivo che mi rimane della casa di zia Tecla. La luce mi inonda gli occhi, mi riscalda. La voce della zia riempie il corridoio con una vecchia canzone e mi richiama verso la sua camera da letto. La zia cantava sempre mentre di truccava, e infatti è li, seduta davanti alla sua antica "toiletta", come la chiamava lei, intenta a spalmarsi il fondotinta. Non so, è impossibile che sia lì, ma, riflettendo, è ancora più assurdo che io mi trovi qui. Il suo sguardo scaccia le mie titubanze, con un gesto mi invita a sedermi sullo sgabello accanto a lei come ho sempre fatto da bambino. Solo che, stranamente, ho le stesse difficoltà nel mettermi a sedere che avevo da piccolo a causa dell'altezza dello sgabello. La zia continua a cantare a bocca chiusa mentre si passa la matita agli occhi, e accompagna la mia mente che continua a ripete "non posso trovarmi qui". La donna che mi ha accolto nel mondo prendendomi tra le sue braccia direttamente dalla pancia di mia madre è passata al rossetto, e con il solito sguardo mi indica i solidi orecchini. Le mie mani, stranamente da bambino, cercano nel portagioie le due rose di corallo che mia zia indossava da sempre. Ma tutto si fa confuso, tra le mani una sensazione di umido e tepore, mi sento soffocare, mi lacrimano gli occhi, non vedo più niente. I sensi si spengono.

Sento la pressione delle braccia sulla mia fronte e il mio corpo ranicchiato per terra. I riccioli di quand'ero bambino mi solleticano le orecchie. Quei capelli a corda di telefono che mi arrivavano alle spalle, che strano risentirli, ormai sono quasi vent'anni che non superano le due dita di lunghezza. La zia e la sua casa si sono dissolte e sono rientrate nell'opacità dei miei ricordi, lasciando il posto a una stanza oscura e una scala che porta in una... No la soffitta! No quella soffitta! Sento quella mano, quell'odiosa mano che mi spinge delicatamente esortandomi a salire. Ho perso il conto delle volte che in questi anni ho cercato di eliminare quel momento, impedendo a quel bambino di salire. Le gambe si muovono autonomamente, non riesco a fermarmi, ho la terribile sensazione che tutto è destinato a ripetersi; la prima volta non sapevo cosa mi aspettasse, salii quelle scale tenendo stretto tra le braccia il nuovo giocattolo che papà mi aveva portato dal suo ultimo viaggio, pieno solo della voglia di giocare. Ora so già cosa accadrà, potrei scappare, invece il mio corpo spinto da quella mano continua a salire. Non capisco perché debba riviverlo, già nella mia mente l'ho rivissuto migliaia di volte, perché di nuovo? E' questa la libertà che cercavo? E' come la ricordavo, eccola. Quel divano monoposto di pelle marrone, il tavolo e lo sgabello. E pensare che dopo tanti anni mi ero convito di averlo perdonato. Lui, l'uomo perfetto, l'illuminato, quello che un giorno avrebbe fatto risuonare il suo nome con un "Don". Già so cosa sta per accadere, quello che sta per fare; attendo quelle mani che mi prenderanno e mi metteranno, delicatamente a sedere sullo sgabello. Chiudo gli occhi sperando che ciò non accada. Sento il corpo irrigidirsi e il cuore mi rimbomba nelle orecchie. Eccole. La mia mente è imprigionata in un corpo che agisce autonomamente, sento la voce di un bimbo uscire dalla mia bocca pronunciando quelle parole innocenti "Giochi con me?". Quelle parole per anni riecheggiavano nella mia anima, facendomi sentire stupido. Attendo il momento, so che sta per riaccadere, vorrei piangere, vorrei reagire ma resto lì, immobile, pronto al suo uso. Ecco di nuovo quelle mani, le sento scendere dalle spalle giù per la schiena, poi si dividono sui fianchi. Avrei voglia di vomitare, perché di nuovo? Non basta già averlo passato una volta? Non ho pagato il prezzo della libertà da tutto con il sangue che ho lasciato sul pavimento del bagno?

Ho sentito le sue mani addosso per anni, quella soffitta è stata lo scenario dei miei incubi adolescenziali. Questo però non è un sogno, è troppo reale, sento anche quell'odore di vino stantio. E' l'ennesima punizione? Ma per cosa? Per quello che ho fatto in quel bagno? Perché sono fuggito da una prigione fatta da pensieri e ricordi angosciosi? Lui continua ed io come allora non riesco ad oppormi, ma prego affinché finisca subito; la stessa sensazione di calore umido, ma questa volta si libera dai miei occhi serrati con forza. Una mano rugosa raccoglie le mie lacrime, e allo stesso tempo le altre mani, quelle sporche, smettono di toccarmi. Ho paura ad aprire gli occhi, sono così chiusi che quasi mi fanno male. "Vieni qui piccolo mio, è finito". Speravo venisse lei! Affondando la lama nel polso pregavo perché fosse lei la persona che venisse a raccogliermi. La voce arranca su per la gola ma le mie labbra sussurrano "Nonna".

Entrambi seduti sui cartoni pieni di vestiti, nella stessa casa vuota che lasciai tanti anni fa ingoiando le lacrime. Lo stesso profumo di gerani, l'intensa luce che penetrava dalla vetrata di quella che una volta era la camera da letto. E lei qui, davanti ai miei occhi, come l'ultima volta che l'avevo vista, solo più luminosa e senza la stampella. Quante volte mi hai consolato, dopo avermi lasciato bastava il tuo ricordo per inumidirmi gli occhi. Mi accarezza i capelli, che sono tornati ad essere corti, mi sfiora i polsi guardandomi con un'aria di amabile rimprovero. E' silenziosa, le vorrei dire tante cose, il non averla vista più all'improvviso mi ha tormentato per anni, ma il fiato non riesce a far risuonare alcuna parola. Il suo sguardo racconta la storia di una vita, nella mia testa scorrono immagini, risuonano voci. Si riempie d'amore, di gioia. Sensazioni che erano fuggite via dal mio animo da troppi anni, tornano come musicisti che risuonano strumenti abbandonati da tempo. All'improvviso tutto si sfuma, restiamo solo io e nonna come sospesi. "Provaci ancora piccolo mio". Una seconda opportunità? Non la voglio, sono già stanco. Il mio viso si contrae, vorrei piangere. Mi stringo forte chiedendole e la prego di non lasciarmi andare. Mi bacia sulla fronte, il buio mi avvolge.

Ho gli occhi chiusi, sento voci a me familiari. Un terribile mal di testa mi trapassa da tempia a tempia. Non voglio aprire gli occhi, so di essere tornato. Deluso da un dono che non desideravo. Una seconda opportunità? Per cosa? Per commettere gli stessi sbagli? Per redimermi? Per soffrire ancora?

Io non imparo mai. 

L'apprendista CantastorieDove le storie prendono vita. Scoprilo ora