Notte n. 1

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Notte n° 1

Raccontare storie non è così semplice. Scrivevo e cancellavo, cercavo e non trovavo. Giravo per strade, ascoltavo gente, però niente, nulla prendeva corpo. Iniziavo a poco a poco a perdere fiducia nelle mie capacità creative. La teoria che le storie sono fuori per le vie del mondo e tocca solo prenderle non funzionava con me.

Ero un insonne di natura, di notte passavo ore ed ore nel letto a fissare il soffitto, con l'emicrania che con il passare dei minuti prendeva sempre più possesso della mia testa. Mai avrei pensato che questa sarebbe stata la mia fortuna.

Era estate, notte fonda e occhi sgranati. Il ticchettio dell'orologio dello studio risuonava in tutta casa. La lancetta dei secondi stuzzicava in maniera strafottente la mia ira. L'afa di luglio poi mi rendeva un tutt'uno con la federa del cuscino. Cercai invano un po' di refrigerio in terrazza. Il fresco della notte non aveva ancora spento del tutto la canicola del giorno appena trascorso. Il mio fedele pacchetto di sigarette mi guardava con aria amichevole dal tavolino dove solitamente facevo colazione, mi sedetti e fumai. Le nuvole di fumo grigie si allargavano dal terrazzo, si lanciavano nel buio della notte.

Spento il mozzicone nel posacenere, tornai a tormentarmi nel letto. Nel tentativo di liberare la mente, iniziai a vagare tra un pensiero e un altro, tra un ricordo e una fantasia, e fu proprio allora che tutto cambiò.

Silenzioso, a passettini, quasi ovattato, si avvicinò una persona: un uomo. Capii di non essere solo quando lo vidi in piedi accanto al mio letto. Lo so, può sembrare bizzarro, ma in quel momento tutto mi sembrò lievemente insolito e tuttavia accettabile. Mi tirai su e seduto sul letto lo fissai in volto. Probabilmente spinto dalla mia espressione interrogativa, disse che voleva raccontarmi una storia. Anche questo suona assai stravagante, tuttavia preso dalla situazione e fortemente incuriosito, lo lasciai parlare. Quando terminò di raccontare, il sole filtrava dalle fessure della serranda. Gli promisi di scrivere questa storia. Si alzò, respirò profondamente, si diresse con passo deciso verso la terrazza e andò via nella luce dell'alba. Mi addormentai sfinito.

I giorni passarono ed io mi ero quasi dimenticato di lui, sino a quando un'altra notte tornò. Stessa situazione: notte fonda, io sveglio, lui accanto a me. Mi alzai e ci dirigemmo nello studio, mi accomodai sulla sedia dello scrittoio presi, un taccuino dal primo cassetto e un qualcosa con cui scrivere dal portapenne. Rivolsi il mio sguardo verso lui che, trattandomi alla stregua di un bambino testardo e svogliato, mi raccontò nuovamente la sua storia, entrando con voce ferma e calda nei dettagli, con l'intento di trascinarmi nei suoi pensieri e travagli emotivi. Non provai empatia, bensì mi sentii lui. Finito di raccontare era nuovamente mattina. Guardandomi negli occhi mi chiese di mantenere la promessa fattagli. Appena vide un cenno del mio capo, andò via leggero come se si fosse liberato della zavorra che gli affaticava il passo.

Il pomeriggio seguente, il suono del citofono mi svegliò improvvisamente, ignorandolo e con un fisiologico bisogno di caffè trovai la cucina con gli occhi appiccicosi di sonno. Con il taccuino nella tasca del pigiama, la tazzina in mano, la sigaretta tra le labbra e il pc portatile sotto il braccio mi sedetti all'ombra del piccolo pergolato avvolto dall'edera che avevo costruito anni prima in un attacco di bricolage. Il silenzio di un pomeriggio di luglio. L'immensa terrazza era stato il primo motivo che mi aveva spinto a scegliere questa casa, il cielo era terso e una leggera brezza faceva ondeggiare le fronde delle piante sparse qua e là. Finito di fumare e con la bocca di caffè, mantenni la mia promessa fatta al mio visitatore notturno, ma già sapevo che avrei tradito i miei intenti, quasi sicuramente non sarei riuscito a trasmettere le sensazioni che lui aveva suscitato in me.


L'apprendista CantastorieDove le storie prendono vita. Scoprilo ora