Tutto finì una gelida notte di aprile. Una farfalla sul mirino. Osservare il mondo attraverso un visore notturno. Steso tra cespugli o sotto coperte color terra: sepolto, nascosto, invisibile. I miei compagni mi chiamano "Morte dall'alto" perché non sbaglio mai un colpo, tutti ammirano la mia precisione. Tutti. Tranne me. Qui la disperazione, la paura e l'odio riempiono lo spazio tra cielo e terra ed io sono una loro rappresentazione. Dovrei portare pace ma in realtà con ogni colpo sparo via un pezzo del mio essere. La farfalla è ancora lì, un piccolo soffio d'aria e vola via alta, la seguo con lo sguardo e sparisce nel cielo. Proprio allora mi rendo conto che da quando sono qui non ho mai osservato le stelle. Quando ero piccolo passavo le estati in campagna dai miei nonni e ogni sera prima di andare a dormire, mentre io mi mettevo pigiama e mi lavavo i denti, mio nonno stendeva una grande coperta vicino al grande ulivo nodoso dietro la rimessa. Ci stendevamo e guardavamo il cielo. Ogni stella è unita ad un'altra, proprio come le vite degli uomini, era la premessa ad ogni suo racconto serale. Dopo ogni storia con le dita univa le stelle mostrandomi le costellazioni. Incantato, osservavo le sue grandi mani muoversi nel cielo e con la mente creavo altre forme con le migliaia di stelle che illuminavano la notte. Cassiopea, Orione e le Pleiadi. Prima di rientrare ci fermavamo sempre ad osservare il grande ulivo. L'uomo è come un ulivo, si tormenta, si curva, si squarcia ma poi si rialza e rimane lì fermo e fiero per secoli. Nonno era la tenerezza della forza. Un suo abbraccio era qualcosa di unico ed io affondavo il volto nel suo petto. Tabacco mentolato. Tornavo a letto con il suo odore sul mio viso. Purtroppo le nostre estati sono finite troppo presto.
Tolto il visore notturno, il cobalto della notte riempie il mio sguardo. Ed eccole lì, nuvole di stelle unite in un bagliore unico. Il vento risveglia i miei occhi e riaccende la mia mente. Anche adesso come quelle estati lontane sono steso ma non è più una posizione piacevole. Non c'è mio nonno a raccontarmi storie, sono solo e ho con me una sola storia dal finale amaro. L'amarezza mi riempie il cuore, lui non sarebbe fiero delle mie capacità tanto decantate. Il mio soprannome sembra quello di un personaggio cattivo dei suoi racconti. Avrei voluto renderlo orgoglioso di me. Le mie mani stringono il fucile con una tale fermezza neanche fosse la mano di una donna amata. Sento crescere in me la vergogna. Mi sento arrossire come un bimbo che ha commesso un'azione sbagliata. Solo che le mie azioni sono orrori. Quanti volti ho spento, quanti petti ho trafitto, quante lacrime ho donato. Il mio volto è spento, il mio petto è trafitto ma le mie lacrime non leniscono nulla. Il cielo vibra e i miei occhi si riempiono di lacrime. Silenzio su tutta la collina e giù nella valle. Un soffio di vento e l'odore di quelle estati improvvisamente su di me.
Tutto per una farfalla. Una parentesi di debolezza. Debolezza per me fatale.
Un cespuglio si muove. Passi insidiosi strisciano sul terreno. Bisbigli scuotono l'aria. L'immobilità si impadronisce di me. Il fucile è sparito; mi sollevano, mi colpiscono. Gli occhi si spengono coperti dal sangue. Ogni centimetro del mio corpo viene percosso, il dolore è ovunque. Mi strappano la tuta, il gelo del buio avvolge il mio corpo ormai livido. Non vedo più niente, non sento rumori, solo risate sommesse. Tremo, non so se per il freddo o per la paura, ma nonostante il dolore resto in piedi. Le risate si fanno più vicine e più sibilanti. I passi, tutti intorno a me si frantumano in mille zampettine sul terreno. Il tremore aumenta, non so da dove arriveranno, ma so che sono pronti a saltarmi addosso. La mente si offusca per non rischiararsi mai più. Ora ho capito, non sono uomini, non possono esserlo, sono lucertole. Sento le loro zampe sui piedi, sulle gambe e continuano a salire.
Mordono, graffiano, pungono. Le sento sull'addome, ora sul petto. I miei occhi ciechi cercano aiuto nell'oscurità. E loro salgono, fameliche: sulla schiena, sulle spalle. Le braccia immobili non possono scacciarle. Sul collo. Nonno aiutami. Allungo il volto verso il cielo e spalanco gli occhi, uno spiraglio di stelle. Sono sulla nuca. E penetrano nelle mie orecchie. Si annidano nel mio cervello e resteranno per sempre. Il corpo crolla sotto l'assedio e la mente viene saccheggiata. L'uomo è come un ulivo. Si curva, viene percosso, si squarcia. Si rialza e rimane lì. Vuoto, ma rimane lì.
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L'apprendista Cantastorie
RomanceDodici racconti tenuti insieme in un romanzo... tra sogno e realtà per analizzare e capire le varie sfaccettature dell'animo umano. Anno di pubblicazione 130 pagine ISBN-10 : 8869510344