Capitolo XII - Mani

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Schiena contro schiena. Così capiva che nel lettone non erano più due. Un piccolo tenero terzo incomodo, con la complicità del buio e del sonno era venuto a fare loro visita. Dalla sua stanzetta, attendeva ad occhi chiusi ed orecchie tese che tutti scivolassero dolcemente nel mondo dei sogni per saltare in piedi, scavalcare con le coscette paffutelle la sponda di sicurezza del suo lettino e, abbracciato al suo fedele peluche a forma di pinguino, correre per infilarsi tra mamma e papà.

Con le mani sul collo della mamma e con la schiena premuta contro quella più grande del papà. Ora sì che poteva ronfare sereno e sicuro. La vibrazione del suo respiro e la leggera pressione svegliavano il proprietario della grande schiena. Evitando di cadere dal letto, Giulio si voltava verso quel piccolo invasore e lo osservava con sguardo innamorato. Lo avrebbe dovuto riportare nel suo lettino ma non ci riusciva mai. Rimaneva sveglio e ascoltava il suo respiro. Con gli occhi memorizzava ogni centimetro del suo volto e ogni piccola sfumatura come se volesse farne un ritratto. La sua mente giocava con i termini. "Papà. Sono un papà. Sono il suo papà". Ormai quello scricciolo aveva due anni e ancora provava quella strana sensazione di novità.

Lo aveva atteso per anni, prima ancora di conoscere la donna che amava e che lo avrebbe reso genitore. Era uno dei pochi uomini che sentivano forte l'istinto paterno. Non era una cosa strana per Giulio. Nacque in lui un giorno nebbioso dei suoi quindici anni. Era un ragazzo sereno e sicuro, sicurezza donatagli da un uomo: il suo papà. Il lavoro gli portava via buona parte della giornata ma quelle poche ore che trascorrevano insieme erano intense quanto mesi. Sin da piccino era stato il suo compagno di giochi, di viaggio e di avventure, legame rimasto immutato anche con l'arrivo dell'ado-lescenza. Mai spezzato nonostante la sua scomparsa. L'alba svegliò la sua casa avvolgendola con un manto bianco e a mattina inoltrata, quando la nebbia sparì, si era portata con sé anche il suo papà. Il dolore era talmente lacerante che preferì trasformarlo in desiderio. Non aveva più un padre e allora lo sarebbe diventato lui, in tal modo avrebbe potuto rivivere quelle stesse emozioni ma con un ruolo differente.

Quel desiderio adesso era lì, vestito con un pigiamino a righe mentre stringeva un pinguino. Cercava nei suoi lineamenti quelli del suo papà ma con scarsi risultati. Lo annusava per sentire un ricordo, ma era il profumo di gioiosa novità. Erano trascorsi così tanti anni che quasi faticava a crederci. Aveva ormai 33 anni, aveva vissuto più giorni senza il suo papà di quanti ne avessero trascorsi insieme. Non aveva potuto presentargli la sua fidanzata, oggi moglie. Non poté avere la benedizione per il suo matrimonio né annunciargli che sarebbe diventato nonno. Nulla. Un'intera vita non condivisa con lui.

Pensieri che lo travolsero all'improvviso e che iniziarono a velare i suoi occhi e nonostante i lunghi respiri per trattenerle, le lacrime corsero giù irriverenti. Spinse il suo viso nel cuscino come per rimproverare il quindicenne che decideva di dare ancora una volta sfogo al dolore. Pensieri accesisi improvvisamente. Mise ordine alle sue emozioni e tornò ad ascoltare quel piccolo respiro. Lento e sereno addolcì la sia mente. Continuò ad osservarlo e per ultimo si fermò sulle mani.

Le misurò, esaminò ogni pieghetta nella speranza di trovare qualche similitudine ma niente. Guardandole però venne risucchiato nuovamente dai ricordi. Gli sembrava ancora di sentirle sul suo volto: le mani di suo padre. Quando lo svegliava la mattina sentiva la sua mano sulla guancia, grande, tiepida e leggera.

La sentiva stringere forte la sua manina di bimbo quando camminavano per strada. La stringeva con tutte le forze, non voleva perderla pur sapendo che non lo avrebbe mai lasciato andare. Oggi quelle mani ancora gli riscaldavano il cuore, ancora oggi che quasi faticava ad alzarsi dal letto, ancora oggi che era padre a sua volta.

Capì che se voleva mettere un punto a quei pensieri doveva alzarsi dal letto e mettere fine a quella notte. Senza rumore, con movimenti delicati e con fruscii inghiottiti dal silenzio del buio si mise in piedi. Andò nel bagno, chiuse la porta e accese la luce. Appoggiò le mani al lavandino e guardò il volto che era riflesso nel grande specchio. Non vide altro che quello che si rifletteva ormai da diciotto anni. Un ragazzetto imberbe con gli occhi di pianto. Aprì il rubinetto, riempì il lavandino di acqua fresca e vi affondò il volto. Pochi secondi e tornò a guardarsi allo specchio. Rimase sorpreso. Un uomo. Il quindicenne era invecchiato. La mascella, gli occhi, le rughe che iniziavano a ornargli guance e fronte. E poi quei lineamenti. I piccoli caratteri cercati in suo figlio erano evidenti e palesi sul suo volto. Era diventato il suo papà.

Le lacrime tornarono ma di felicità e il dolore profondo si intenerì lasciando posto alla nostalgia. Immerse le mani nell'acqua per sciacquarsi una seconda volta e fu allora che le sentì sul suo volto come una volta.

Aprì gli occhi umidi e intravide loro, le mani del padre, solo che adesso erano le sue.

L'apprendista CantastorieDove le storie prendono vita. Scoprilo ora