Notte n° 6

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Diluviava silenziosamente come solo l'autunno sa fare. Era tardi e rincasavo reduce da una cena in stile rimpatriata di classe. Una serata gradevole, sfumata dal vino rosso che aveva smussato le mie spigolosità e reso la compagnia a tratti piacevole. I miei sensi da bevitore della domenica avevano bisogno di fresco, così una volta giunto sotto casa abbassai il finestrino dell'auto, spensi il motore e mi appoggiai pesantemente allo schienale. Sentivo le mie spalle sprofondare nel sedile, l'aria di pioggia mi avvolgeva la testa, chiusi gli occhi. Non avevo voglia di tornare a casa, la sonnolenza etilica mi sfibrava ma sentivo la mia insonnia ordire, silenziosamente, i suoi piani per la notte. C'era solo una cosa da fare: non muoversi. Inclinai il sedile e assunsi la posizione da sdraio in spiaggia. La pioggia sul parabrezza era così rilassante che la mia mente iniziò a vagabondare tra ricordi e fantasie, senza una meta, saltando alla rinfusa. Una sensazione di vuoto mi strinse lo stomaco, gli occhi iniziarono a bruciare e sentivo il mio corpo intorpidirsi sempre di più. Un pensiero si fece lucido, un innocente rammarico. Avrei potuto passare la serata con lei. Mi piace stare con lei. Osservarla, ascoltarla, sentire il suo odore. Spesso passavo le serate a osservarla mentre lavorava a casa, le ore si susseguivano come secondi e i miei occhi la seguivano in ogni gesto, le mie orecchie catturavano avidamente ogni rumore. Un respiro profondo per placare la nausea mi riportò sul sedile della mia auto. Il mio cervello lottava per riaccendere il motore e andare da lei ma il mio corpo faceva resistenza passiva. Per sopprimere ogni ultimo slancio di rivolta le palpebre scesero come le lame di una ghigliottina. Buio, immobilità e rumore di pioggia. Non saprei dire per quanto tempo rimasi così inerte, ma ricordo bene cosa mi fece aprire gli occhi. Dapprima non riuscii a distinguere nulla, ma vedevo solamente poiché l'udito arrivò in ritardo. Era una donna, una signora direi. Fascino maturo, sguardo penetrante e figura statuaria. La pioggia illuminava i suoi lineamenti. Mi osservava, la osservavo. Senza riflettere, in preda ad un automatismo, sfilai il mio taccuino, fedele compagno e aprii lo sportello del lato passeggero. Con passi fermi e sensuali al tempo stesso girò attorno all'auto e si sedette al mio fianco. Melograno e tabacco pervasero l'aria, il viso rivolto verso il parabrezza, gocce d'acqua si inseguivano sulle sue guance. Silenzio. Nessuna presentazione ufficiale. Nessun convenevole. Due sconosciuti e un "lavoro" da svolgere. Appoggiai nuovamente la schiena al sedile. Chiusi gli occhi e una voce innocente, schiacciata dalle tante sigarette, iniziò a riempire il silenzio. Feci quello che facevo sempre. Ascoltai. Non presi appunti, le parole penetravano nella mia mente l'una sull'altra come abiti accuratamente riposti. Il racconto terminò e i miei sensi cedettero. Ricordo solo che a svegliarmi fu un vigile urbano che bussava al mio finestrino. Imbarazzato mi ricomposi, scesi dall'auto e corsi a casa per dare corpo alle parole di quella donna. Finito di scrivere andai in cucina per concedere al mio cervello il caldo e fumante aroma di caffè.

Nello specchio del corridoio vidi sulla mia guancia un segno rosso.

Un bacio. 

L'apprendista CantastorieDove le storie prendono vita. Scoprilo ora