Notte n° 12

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Tossii. Questo fu il mio brusco risveglio. L'effetto del decongestionante nasale era ormai lontano e quando riaprii gli occhi, il viso mi pulsava dal dolore e il cervello era soffocato dai muchi. Come si faceva un tempo, decisi di farmi una tazza di latte caldo con miele balsamico. Con fatica e profondamente intontito, mi sollevai dal divano dove stavo dormendo. Il divano è il mio ricovero solitario quando mia moglie ha il turno di notte; non riesco a dormire nel letto in sua assenza. Quel vuoto all'altra estremità del letto è per me fastidioso. Tra soffi di naso e colpi di tosse raggiunsi al buio la cucina. La luce del frigorifero diede manforte alla mia emicrania. Presi la bottiglia di latte, riempii la tazza madrilena e la misi nel microonde. 49 secondi per la temperatura ideale. Ipnotizzato dal piatto rotante del forno iniziai a dondolare ma mi fermai appena vidi seduti allo scrittoio del mio studio due figure poco nitide. Fui sollevato, non mi era mai piaciuto stare solo quando ero malato. Allacciai i lembi della giacca da camera blu che indossavo sempre ai minimi segni di raffreddore e mi diressi verso loro. La prima cosa che mi colpì furono un paio di gambette, penzolanti dal mio scrittorio, che scalciavano allegre. Allargai lo sguardo e vidi il resto di quella piccola figura: un bambino. Mi osservò, mi sorrise brevemente e poi i suoi occhi corsero a trovare riparo in quelli dell'uomo che gli era seduto accanto. Per placare i dolori alla schiena e per fermare il pavimento che ondeggiava sotto i miei piedi, mi sedetti all'altro capo dello scrittoio.

Il bimbo, delicatamente esortato da un cenno della testa dell'uomo, mi disse "Ciao, io mi chiamo Diego e lui è papà! Piacere di conoscerti". Con gli occhi colmi di amore e orgoglio, il papà di Diego mosse lo sguardo dal suo bambino a me. Schiarendomi la voce mi presentai al mio piccolo ospite e gli porsi la mano che con un gesto rapido fu afferrata. Come faceva sempre mio padre, diedi piccoli colpetti secchi per fare ondeggiare il suo braccino riuscendo a strappagli una graziosa risata. Svolti questi ludici convenevoli, rivolsi l'attenzione all'uomo. Lo invitai a sedere e presi il mio taccuino dalla libreria. C'era serenità e pace nello studio, sensazioni che solitamente non accompagnano i miei ospiti notturni. Senza un secondo invito, il papà del bimbo iniziò a parlare. La voce, i toni erano quelli della fiaba della buonanotte. Il piccolo Diego che poco prima stava giochicchiando con gli oggetti sparsi nello studio, si rannicchiò tra le braccia del padre appoggiando la testa sul suo petto. Le parole, raggruppate in frasi, fiaccarono l'emicrania che mi stringeva le tempie. Quando finì io mi sentivo molto meglio e il piccolo fagottino con gli occhi chiusi e i pugnetti stretti dormiva stretto al suo papà. L'uomo con uno sforzo d'amore si mise in piedi e con un sorriso se ne andò con Diego tra le braccia.

Rimasto solo mi ricordai del latte che faceva la giostra nel forno. La saggezza della tecnologia aveva fatto in modo di spegnere il microonde non prima di far eruttare il contenuto della tazza in tutto il forno. Trovando giustificazione nella malattia lasciai tutto così, mi preparai una tazza di tè fumante e seduto allo scrittoio, con il sorriso di Diego nella mente, mi misi a scrivere. 

L'apprendista CantastorieDove le storie prendono vita. Scoprilo ora