Primo passo

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Angolo Ice:

Questa storia sarà molto cruda e tratterà di argomenti sensibili. Se ti sembra di trovarti in situazioni simili, chiedi aiuto, non avere paura.

Buona lettura.



Nessuno pensa mai alle conseguenze delle proprie azioni, nemmeno lui ci pensava, troppo concentrato sul suo orgoglio e sulla sua superbia.

Nessuno riesce ad essere per troppo tempo quello che non è e questo porta generalmente alla sofferenza dello stesso.

Come si può vivere sapendo che tutto quello che ci circonda è sbagliato?

Io me lo sono domandato per molto tempo mentre me ne stavo rintanato in bagno a pulire i segni dei tagli che mi procuravo, a ripulire il vomito che espellevo una volta che il sangue prendeva a scorrere lungo le mie braccia.

Non faceva male, ma la sensazione che provavo dopo che la lama aveva penetrato la mia carne era indescrivibile.

Sollievo per prima cosa, seguito dal rimorso e per finire la rabbia di non essere riuscito a resistere nemmeno un giorno a quella tortura.

Tra i tagli e il vomito ero diventato l'ombra di me stesso, vedevo le costole sotto la pelle tirata e diafana, le bende che mi coprivano i polsi avevano il mio stesso colore di pelle, il volto scavato era in contrasto con le mie lentiggini che insieme alle occhiaie, davano un'idea di malato al tutto.

Cosa posso farci ormai? Non ho più neanche la forza di ribellarmi al destino. O per meglio dire non ho più le forze per ribellarmi a lui.

Non credevo che sarei mai caduto così in basso, non immaginavo che avrei mai potuto pensare che l'autolesionismo fosse la soluzione ai miei problemi ed infatti non lo è, solo che ormai non riesco più a farne a meno.

Il dolore che mi provoco mi fa sentire come se avessi ancora il controllo sul mio corpo. Il dolore che m'impone lui, mi toglie quel minimo di controllo che riesco a racimolare ferendomi.

Sono stanco di questa situazione e adesso che il dolore è visibile anche agli altri non so più come andare avanti.

È da tanto tempo che non provo altri sentimenti oltre alla tristezza, anche se più che tristezza la mia è una vera e propria forma di depressione, ma non voglio che gli altri lo sappiano.

Non perché non voglio stare meglio, ma perché credo di non meritarmi l'aiuto necessario per uscirne.

Ed è così che inizia una nuova giornata di scuola, con la voglia spasmodica di tornare a letto e rinchiudermi in me stesso, ma mia madre che mi chiama dalla cucina me lo impedisce.

«Izuku, tesoro, vieni a fare colazione?» mi chiama con il suo tono di voce dolce, ma un conato di vomito mi sale lungo la gola alla sola idea di dover ingurgitare del cibo che so che non farà a tempo ad essere ingerito che poi lo espellerò.

«Arrivo.» il mio dovrebbe essere un urlo per farmi sentire da lei, ma invece era quasi un sussurro gracchiante, probabilmente mi sono talmente tanto sforzato in questi giorno che la mia gola ne ha risentito.

Guardare la tavola imbandita di cibo mi fa male al cuore.

Vorrei scappare da questa situazione, ma non voglio far soffrire mia madre, ma forse è solo una scusa perché non ho il coraggio di andarmene e rimango ancorato qui sapendo che anche oggi soffrirò.

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