Diciassettesimo passo

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Katsuki aveva portato Izuku in infermeria nel minor tempo possibile, adagiandolo poi nel lettino che Recovery Girl gli aveva indicato appena varcata la porta.

Le mani della donna si muovono con una precisione assurda sulla schiena del verdino, estraendo minuziosamente ogni più piccolo frammento di vetro che trova, sgranando gli occhi alla vista di quelle strane cicatrici che gli percorrono la spina dorsale.

«Come te le sei fatto?» la domanda sfuggì dalle labbra di Recovery Girl senza che se ne accorgesse.

«Come prego?» chiese Katsuki che non si era allontanato di un passo da quando la donna aveva iniziato a medicare il più piccolo.

«Oh, sei ancora qui? Mi stavo solo chiedendo come si è fatto tutte queste cicatrici.» rispose lei tornando al suo lavoro.

Il biondo non sapendo di quali cicatrici la donna stesse parlando, si avvicinò al corpo di Izuku per ispezionarlo.

I suoi occhi si spalancarono alla vista di tutti quei segni che costellavano la schiena del verdino come una mappa che non avrebbe mai voluto vedere.

Tra tutti quegli sfregi, però riuscì a riconoscere anche quelli prodotti dal suo quirk.

Le bruciature avevano una forma diversa dalle altre che sembravano più tagli.

Delle lacrime presero a scendere dai suoi occhi, ma che fermò subito la loro discesa, sfregandosi il volto con forza, fino a farsi male.

«Ragazzo, forse è meglio che torni a letto, è parecchio tar...» iniziò a dire Recovery Girl venendo però interrotto dal ragazzo.

«Io rimarrò qui fino a quando non si sveglierà.» e si sedette su di una seggiolina, in attesa che Izuku riaprisse gli occhi.

"Sono stanco di dover sopportare ancora tutto questo dolore." pensai.

Camminavo in una distesa oscura, ma sapevo che ai miei piedi vi era una pozza di un liquido denso che emanava un odore così disgustoso da farmi venire da vomitare.

Ma perché mi trovo qui?

Ero nel corridoi diretto in cucina mentre parlavo con Dabi, quando...

Uno strano vuoto nella mia memoria mi fece storcere il naso, procurandomi un mal di testa che non sapevo se dipendesse dal fastidio dovuto al non ricordare, oppure a quell'odore che in un certo senso mi dava quasi nostalgia.

Mi accucciai in modo che con la mano potessi toccare quel liquido e quando le mie dita furono ricoperte da quella roba, le portai vicino al naso per annusarne meglio la puzza.

Non vedendo nulla, basai tutta la mia percezione sull'olfatto.

E un lampo mi attraversò la mente quando riconobbi quell'odore ferroso.

Immagini di lamette e coltellini m'invasero, facendomi affiorare i ricordi dei tagli e del sangue che ogni volta che lo vedevo, mi faceva vomitare.

Allontanai la mano velocemente dal mio volto, ma la nausea ormai aveva ribaltato il mio stomaco, facendomi cadere in avanti con i conati che mi spezzavano a metà per lo sforzo.

La bile mi bruciava la gola come se fosse fuoco puro quello che stavo vomitando in mezzo a tutto quel sangue che mi circondava.

«Dove cazzo mi trovo?» urlai a nessuno, dato che ero solo in quell'enorme spazio aperto e oscuro.

I conati tornarono a sconquassarmi di nuovo il petto, quando caddi tra il sangue, macchiandomi interamente dalla testa ai piedi.

"Nel centro del tuo subconscio." sussurrò una voce.

Cercai di muovermi alla ricerca del proprietario di quella voce che mi ricordava fin troppo bene la mia, ma più voltavo la testa e più il dolore a la nausea mi tenevano ancorato al terreno.

Chiusi gli occhi alla ricerca di un po' di pace.

KanashīDove le storie prendono vita. Scoprilo ora