Sesto passo

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Lo sento che scappa via dal mio controllo, il bisogno di maggiore potere mi sta lacerando l'anima.

Voglio quel potere a qualunque costo, se non dovessi ottenerlo potrei non rispondere della mia sanità mentale, cosa che potrebbe compromettere il successo della mia vendetta.

«Sono pronto per andarmene da questa casa ma come faccio con mia madre che potrebbe disperarsi alla mia scomparsa?» mi chiedo davanti allo specchio del bagno.

La mia mano accarezza i segni lasciati dalle lamette, le cicatrici bianche disegnano un intricato reticolo di segni che mi riportano alla mente tutti i brutti momenti che ho vissuto fino ad ora.

I suoi occhi cremisi come il sangue che mi sembra ancora che sgorghi da questi vecchi tagli, mi passa per la mente come una pugnalata che mi fa battere più forte il cuore.

Prendo il cellulare senza neanche pensarci e mando un messaggio al signore.

Poche parole vengono digitate e il messaggio è chiaro.

Telecinesi con annessa psicocinesi.

Un'accoppiata che dovrebbe sovvertire i tentativi dei miei avversari di fregarmi di nuovo.

Nessuno mi metterà di nuovo i piedi in testa, nessuno mi farà di nuovo del male. Io non lo permetterò e se mai qualcuno ci dovesse provare incontrerà la mia ira.

Una notifica dal mio cellulare, richiama la mia attenzione.

Un messaggio da parte del signore accende un sorriso a trentadue denti che per una volta sembra coinvolgere i miei occhi.

Non me lo sarei mai aspettato.

Non credevo di poter provare una tale emozione solo per un messaggio, ma non un messaggio qualunque.

Quell'unica riga di testo ha sancito il mio destino.

"Perfetto, ti aspetto domani al solito posto nel parco."

Quelle parole...

Un pensiero corre di nuovo verso mia madre che dorme nella stanza accanto.

Non lo dovrà mai sapere, non voglio essere costretto a scegliere tra lei e la mia vendetta.

Con un'ultima occhiata allo specchio, lascio le bende e le lamette che non mi ero neanche accorto di avere in mano, per poi andare in camera mia.

In questi mesi appena trascorsi, la stanza ha cambiato completamente aspetto.

Tutti i poster e i gadget del mio eroe preferito sono spariti, sostituiti da un vuote che mi porto dietro da quel giorno in cui Kacchan mi ha detto per la prima volta di morire.

Il ricordo del giorno in cui mi sono buttato da quel tetto mi scivola davanti agli occhi.

Forse non lo rifarei se potessi, ma so anche che se non avessi compiuto quel gesto adesso non avrei uno scopo che mi fa alzare ogni mattina.

Cosa sarebbe successo se non avessi mai incontrato il signore? Avrei sofferto ancora di più? Sarei rimasto con il solito dolore ad attanagliarmi il cuore giorno dopo giorno fino a quando non avrei premuto più a fondo quella lametta?

E se non mi fossi lanciato, atterrando davanti a Kacchan, lui mi avrebbe mai notato un giorno? Avrebbe mai avuto mai pena di me?

Continuo a pormi domande su domande, mentre mi vado a sedere davanti alla scrivania ed estraendo dallo zaino lì accanto uno dei quaderni in cui annotavo i quirk degli eroi più forti.

«Credo che da adesso dovrei cominciare a catalogare anche quelli delle persone comuni, magari ci potrà essere qualcuno adatto ad aiutare me o il signore.» farfugliai afferrando il labbro inferiore tra il pollice e l'indice e iniziando a torturarlo mentre valutavo i pro e i contro di questo mio ultimo pensiero.

Allo stesso tempo pensavo anche a cosa fare con la mia situazione famigliare.

Un anno intero in cui sparirei praticamente ogni giorno e alcuni giorni non tornerei neppure a casa.

Devo abbandonarla per il suo bene, magari le scrivo una lettera in cui le chiedo di non seguirmi e di non preoccuparsi, anche se di sicuro su quest'ultima parte ho qualche dubbio che non lo farebbe.

Passo la notte a pensare, dimenticandomi di compiere il mio solito allenamento mattutino e continuando a buttare giù parole su parole per mia madre.

Tutto quello che riesco gliel'ho scritto in una lettera che spero che leggerà.

Magari un giorno riuscirà a perdonarmi? I chiedo alzandomi da quella sedia che ormai ha reso il mio fondo schiena quadrato e dolorante.

Prendo la lettera e la chiudo in una busta bianca dove vi scrivo il nome di mia madre con una calligrafia rigida.

Mi perdonerai per averti abbandonato mamma? Mi domando di nuovo dirigendomi poi verso l'armadio per prendere un paio di vestiti di ricambio che infilo malamente dentro lo zaino, ma stando attento a non stropicciare i quaderni in cui ho scritto alcuni quirk interessanti, magari al signore potrebbero tornare utili queste informazioni.

Lancio un'ultima occhiata a quella stanza che per molto tempo era stata un angolo sicuro in una vita quasi completamente annientata dal dolore che quel ragazzo mi faceva provare.

E chiudo la porta con delicatezza, come se il minimo rumore potesse rovinare quel momento così catartico.

Sento che quel ragazzino che si tagliava, sta venendo rinchiuso in quella stanza che mi sto lasciando alle spalle, insieme al mio passato.

Appoggio la lettera che tengo ancora in mano sul tavolo della cucina e senza più guardarmi indietro, con una felpa nera e una mascherina che mi copre il volto, come un ladro nella propria casa, lascio quel posto, portandomi dietro niente di più che la voglia di non cedere di nuovo alla disperazione.

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