Sgambetto

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"Lo so che lo vuoi. Prendi il coltellino di Toga-chan e piantaglielo tra le costole, vedrai come ti sentirai meglio.» quella voce seducente così simile alla mia, mi stava confondendo la mente, peggio di quelle macchie astratte che ti mostrano gli psichiatri.

«No.» sussurrai stringendo la presa sulla mano di Katsuki che dopo ventiquattro ore ancora era incosciente.

"Vedere scorrere il suo sangue ripagherà il dolore che hai sofferto. Se lui muore tu puoi essere di nuovo felice."

La tentazione era incredibile e in parte ero d'accordo con quelle parole che la mia mente malata mi stava suggerendo. Volevo veramente tanto farlo.

Pregustavo già il suono sordo che avrebbe farro il coltello una volta che fosse entrato in contatto con la sua pelle. Un rumore impercettibile, ma che a me sarebbe sembrato più forte di un'esplosione e poi il suono del sangue che fluiva fuori da lui per colare a terra, so che quel suono mi avrebbe ricordato fin troppo bene lo scorrere del mio sangue sul quel maledetto lavandino.

"Il suo sangue cancellerà il tuo e sarai felice. Ti meriti di essere felice."

«Mi merito di essere felice, ma non in questo modo.» dissi mordendomi a sangue il labbro, la goccia rossa che cadde da quella ferita, cadde sulle lenzuola bianche in cui era avvolto il biondo, «Spetta a me decidere come raggiungere la mia felicità.»

"Lo sarai solo se lo ucciderai. Se lui è vivo, tu rimarrai morto."

«Io sono vivo. Io sono vivo. Io sono vivo. Io sono vivo.» pronunciai tali parole come se fossero un mantra, nella speranza di convincermi che fossero vere.

So che quel giorno che mi sono lanciato dal tetto non sono morto, ma alle volte non mi sembra vero, mi rivedo ancora là a terra, in mezzo al mio stesso sangue intento ad osservare le scarpe di Katsuki che non si muovono di un millimetro.

«Io sono vivo.» dissi un po più forte.

«Tu sei vivo.»

A quella voce mi voltai trovandomi davanti Kirishima che mi fissava stranito.

«Sei vivo, ma perché lo stavi ripetendo?» mi domandò avvicinandosi e prendendo una sedia che mise dall'altra parte del letto di Katsuki.

«Non credo che siano affari tuoi.» risposi distogliendo lo sguardo da lui e ritirando la mano con cui stringevo quella del biondo.

«Vedo che nonostante tutti i problemi che avete avuto, siete ancora legati.» continuò con un sorrisetto furbo in volto.

«Che ne sai tu di quello che abbiamo passato io e Bakugo?» chiesi con tutta la calma di cui ero in possesso.

«Ne so abbastanza, Deku, o almeno mi ha informato a grandi linee di quello che lui ti ha fatto.» disse con tono triste.

«Sapere quello che lui ha fatto, non ti rende consapevole della nostra storia, ne di me tanto meno.» e nel dirlo mi alzai, pronto a lasciare l'infermeria fino a quando quel rompi coglioni non se ne fosse andato.

«No, io non ti conosco, ma a quanto pare neanche tu conosci lui o quello che lo riguarda.»

il suo tono di sfida mi fece voltare, i capelli svolazzavano sulle mie spalle, il quirk attivo, pronto per essere usato contro quel ragazzo saccente che non si stava facendo i cazzi propri.

«Come ti permetti di intrometterti tra me e Kacchan.» dissi leggendo nella sua mente e vedendo attraverso i suoi occhi i miei che stavano cambiando colore, alternandosi tra il roso totale e la solita eterocromia rosso/verde.

La mano mi corse subito al volto, pronto a coprirmi gli occhi, simbolo dei miei pensieri violenti.

Senza pensarci o fare alcunché che mi avrebbe fatto pentire in futuro, gli voltai le spalle e uscii dalla stanza con il suo ultimo pensiero a rimbombarmi nella mente.

"Lo hai chiamato Kacchan."

KanashīDove le storie prendono vita. Scoprilo ora