Livello 5: Il labirinto

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Appena varcò la soglia venne investito da un forte aroma di vaniglia che respirò con piacere. Davanti a lui si articolava un immenso labirinto, il cui solo inizio così aggrovigliato preannunciava un percorso ancora più tortuoso. Frank immaginò si trattasse del labirinto dove lui si era trovato davanti dopo l'incontro con le Sphaerae, quello che si apriva partendo dal "percorso base", dalla via più a sinistra. Era quasi certo che si trattasse di QUEL labirinto, se non fosse per un insieme di dettagli che quasi lo rendevano una visione.

E no, non si trattava delle medusine, dato che si erano staccate dal suo corpo appena sconfitto l'ultimo mostro. No. Frank non era neanche certo che fossero capaci di crearne una con tali fattezze.

I muri erano di un marmo pallido come l'avorio, impreziosito da rifiniture dorate che evidenziavano bassorilievi e ritocchi di ogni tipo, disposti ordinatamente, senza richiamare nessun tipo di volgarità. Erano luminosi, imponenti, regali. Tutto era distribuito secondo gli ideali di proporzione seguiti fin dall'antica Grecia. Tutto era in rapporto aureo: seguiva le proporzioni auree, cioè quelle perfette, studiate dai Pitagorici e sempre apprezzate dall'occhio e dall'anima dell'essere umano. Un grande senso di soddisfazione permeava Frank, teso dopo tutte quelle avventure. Lo rinvigoriva, liberava la sua mente che ormai viaggiava dalla serie di Fibonacci all'Uomo Vitruviano di Leonardo Da Vinci, con il cuore riscaldato da quell'aroma di vaniglia. Era il profumo di Gerard.

-Gerard...- mormorò Frank, meravigliato e determinato allo stesso tempo. Era certo che Gerard fosse lì. E lo avrebbe trovato.

Entrò nel labirinto con il cuore che scandiva ogni millesimo di secondo, tanto batteva forte e veloce. Lo avrebbe rincontrato? Era davvero lì? Sarebbero finalmente tornati insieme? Frank avrebbe voluto avventurarcisi subito, ma non poteva rischiare di perdersi in quel groviglio di strade. Avrebbe voluto avere qualcosa per segnare il percorso, come le molliche di pane di Hansel e Gretel o uno spago come Arianna e Teseo. Poi si diede mentalmente dello stupido perché in quel groviglio di strade lo spago lo avrebbe solo fatto confondere ancora di più. E soprattutto, se quella zona seguiva la natura del luogo da dove veniva Frank, e quindi CAMBIAVA, non c'era spago che tenesse.

Al ragazzo non restò dunque che avventurarsi in quelle vie che si inseguivano, si moltiplicavano, e si dividevano, chiudendosi per poi riaprirsi a proprio piacimento. Quasi provo tenerezza a narrarvi dell'intenso senso di meraviglia che egli provava ammirando il marmo candido, gentile ma superbo, che richiamava la gloria di civiltà passate e riportava in vita eventi finiti, trasformando la loro polvere in oro. E l'oro rifiniva i dettagli delle colonne disposte nel modo più perfetto che la mente umana potesse concepire, quei dettagli limati con la precisione che ha il funambolo mentre cammina su un filo sospeso nel vuoto.

Frank aveva il terrore del vuoto. E di perdersi, per quanto quel luogo gli ispirasse fiducia. Con cautela ma con la giusta determinazione, svoltò a sinistra, poi a desta, proseguendo dritto, a zig zag, percorrendo curve e linee rette per molto tempo (il tempo come lo intendiamo noi, ovviamente) con il candore che gli riscaldava la pelle. Proseguì fin quando non notò qualcosa che lo sconcertò: un'enorme macchia scarlatta sul pavimento del labirinto, rossa come il segno di una ferita sul petto pallido di un'innocente fanciulla. Una macchia brutta, orribile, che in quel posto stonava come una bestemmia in Chiesa.

E poi, eccone un'altra, e un'altra ancora, e altri rivoli di sangue a formare un reticolo orripilante al centro del quale, impregnati nell'indegno liquido scarlatto, affogavano dei proiettili, la cui lucentezza era sporcata e ormai invisibile nel liquido rosso.

Frank indietreggiò, inorridito. Cosa significava?

La macchia sembrava espandersi, andare verso di lui, inseguirlo. Frank iniziò a correre ancora prima di realizzarlo. L'incubo era ricominciato.

Il terrore gli faceva salire l'adrenalina, le gambe si muovevano veloci, velocissime, dannazione, non voleva sporcarsi con quel sangue maledetto, che lo inseguiva, scorrendo come appena sgorgato da una ferita, senza l'accenno a volersi fermare se non dopo averlo preso e.... e.... affogato? Ucciso? Frank non lo sapeva, ma era certo che sicuramente quel liquido non era acqua termale e sarebbe stato tutt'altro che piacevole trovarselo addosso!

Ma come seminarlo? Frank si sentiva perso come un bagnante colto all'improvviso da uno tzunami. Il sangue aumentava, di disperdeva per ogni strada, circondandolo da ogni direzione. Il ragazzo si girò, di scatto, cercando una via di fuga, di salvezza.

Si affrettava, annaspando l'aria nel tentativo di raccoglierne il più possibile per continuare quella corsa folle. La meta era ignota, ma tutto era meglio pur di non essere raggiunto da quella poltiglia calda e vermiglia, che lo circondava, lo inseguiva, non aveva più fiato. Le gambe continuavano a correre, spinte dall'adrenalina, ma la bocca era impastata come quella di un pover'uomo perso nel deserto, che dell'acqua ha solo un lontano ricordo. E come, appena vede un'oasi, spalanca bocca e occhi credendosi davanti ad un miraggio, Frank strabuzzò e gli occhi quasi gli uscirono fuori dalle orbite quando vide aprirsi poco più avanti un piazzale dal pavimento candido.

Il sangue era dappertutto tranne che lì e in alcune viuzze tra cui quella in cui in quel momento stramazzava Frank, che si affrettò a raggiungere il piazzale. Corse per le viuzze così velocemente che avrebbe potuto camminare sull'acqua. Si assicurò di essere entrato completamente nel piazzale quando cadde pesantemente in ginocchio.

L'adrenalina si spense di colpo e la fatica, il dolore delle gambe e il terrore più profondo investirono Frank. Il ragazzo cadde in avanti, frenandosi con le mani per poi accasciarsi supino sul pavimento. Non rigettò per miracolo.

Chiuse gli occhi, ansimante, con le braccia e le gambe distese lungo il freddo marmo. Restò così fin quando i suoi arti non ripresero sensibilità e il respiro si regolarizzò. I battiti tornarono normali. Frank aprì gli occhi. Il cielo era scuro e le nuvole a pecorelle erano cariche di pioggia.

Frank si alzò barcollando un pochino. Si guardò intorno: non c'era nessun luogo dove ripararsi.

Di certo non aveva un ombrello, perciò si accontentò di una lastra sottile di marmo, trovata accanto ad una parte di muro rovinata. La prese con due mani. Pesava un po', ma almeno avrebbe protetto la testa dalla pioggia. Le prime gocce non tardarono ad arrivare.

ANGOLO AUTRICE

Cari lettori, se siete arrivati fino a qui vi ringrazio di cuore. Manca ancora un po' alla fine e se avete avuto l'impressione di non aver capito nulla in questi capitoli tranquilli che già dal prossimo verranno chiarite diverse cose.

Per consigli/domande i commenti sono sempre aperti <3

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