LIVELLO 7: LA TORRE (parte 2)

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L'inizio fu  semplice e anche abbastanza divertente. L'uomo era molto veloce nell'andare su per quelle scale, così veloce da sembrare che stesse fluttuando su di esse. In effetti lo stava facendo, senza affaticare così le  gambe che invece iniziavano a dolere a Frank a causa di tutti quei gradini saliti uno dietro l'altro, di corsa, molto di corsa. Frank si chiese come faceva l'uomo a fluttuare e se anche lui ne poteva essere in grado. Intanto, egli procedeva sempre più veloce, scomparendo dalla vista del ragazzo. Anche in questa situazione, Frank non poteva permettersi di perdere di vista l'uomo: non sapeva quando la scala sarebbe finita e se si sarebbero trovati davanti a qualcosa di estremamente particolare per cui sarebbe stata necessaria la guida dell'uomo.

Poi pensò che non doveva preoccuparsi perché ne aveva passate già di cotte e di crude, cos'altro poteva capitare di così terribile? Con l'agitazione non sarebbe andato da nessuna parte. Certo, doveva rimanere vicino all'uomo, assicurarsi che non prendesse un percorso secondario creato dal nulla, ma per farlo era inutile concentrarsi su ciò che gli sarebbe potuto accadere e agitarsi. Frank pensò a quanto l'uomo fosse veloce, e a quanto lui sarebbe potuto esserlo. Era come corsa dove l'atleta era concentrato solo su ciò che era davanti a lui. E sulle  sue gambe. E sulle sue braccia, da muovere nel giusto modo. E sulla sua velocità, ignorando tutti i problemi esterni. Frank era consapevole della sua stanchezza e del rischio di perdere l'uomo, semplicemente, non ci stava affondando, come aveva imparato dall'esperienza precedente. Si concentrò quindi sulle sue gambe, le sue braccia, sincronizzando il respiro. E prese velocità, molta velocità, ogni gradino non era più un ostacolo ma un mezzo per slanciarsi e continuare quella corsa folle verso l'uomo che, fluttuando, era giunto molto in alto. Frank procedeva con prontezza, avvicinandosi sempre di più ad egli. Se fosse stata una gara di acchiapparella sarebbe stato un ottimo sfidante. 

Il ragazzo era veloce, velocissimo, così tanto che quando iniziò a fluttuare anche lui quasi non se ne accorse. Si scoprì quindi capace di galoppare nel vento sfruttando le correnti, come certi uccelli fanno piroettando tra le nuvole. Ed erano arrivati, alle nuvole. Così in alto che Frank sarebbe morto di vertigini se avesse guardato in basso. Ormai era vicino all'uomo e i due procedevano uno dietro l'altro come due esploratori dell'ignoto che erano. Si tuffarono nel bianco soffice delle nuvole, e sembrava andare tutto bene fin quando il ragazzo iniziò ad avvertire una pressione provenire dall'alto. Credeva fosse dovuto all'altezza, ma anche scendendo di molti gradini sentiva qualcosa premere sulla sua testa e sulle sue spalle nel tentativo di schiacciarlo. Provò a scendere ancora, ma nulla da fare. Con grande sorpresa del ragazzo, quella sensazione infastidiva persino l'uomo.

Entrambi tornarono giù, persino sotto le nuvole, molto sotto. Frank sentiva i gradini gelati sotto la suola delle scarpe. Aveva smesso di fluttuare e così anche l'uomo, che si guardava intorno, spaesato. SI girò in modo da trovarsi faccia a faccia con Frank. Guardò in basso, oltre la testa del ragazzo, e quando lo fece i suoi delicati lineamenti si deformarono nella peggior smorfia di terrore, un misto tra dolore fisico e l'orrore più puro del soldato in guerra che deve uccidere un suo fratello.

Frank sentì il fiato corto, ma non per la corsa: non aveva mai visto l'uomo in quelle condizioni, con gli occhi spalancati, le mani sudate e tutti i muscoli del viso contratti dall'orrore . Non aveva mai visto l'uomo neanche lontanamente intimorito, figuriamoci terrorizzato. Cosa mai aveva potuto aver notato per reagire in quel modo?

Si girò piano, con gli occhi serrati, ipotizzando i peggiori scenari. Poi aprì piano le palpebre, con le gambe che tremavano e le mani bagnate. Ciò che vide non gli piacque affatto.

Il bianco candido della scala era contaminato, inghiottito, scomposto da quello corrotto del vuoto che risalendo lungo la torre per raggiungerli. Frank era ancora troppo in alto per riuscire anche solo a scorgere la base della torre, ma era convinto che il giardino sotto fosse stato completamente divorato. Salì istintivamente qualche gradino, sentendo quella pressione avvicinarsi e schiacciarlo sempre di più.

Eppure, non c'era tutto questo pericolo. Insomma, l'uomo era capace di creare percorsi dal nulla. Frank lo aveva visto. Lo aveva visto, attraversare il vuoto con tranquillità passeggiando sui sentieri i creati da lui stesso. Dopotutto, lui in persona aveva dichiarato di essere ingegnere, architetto e muratore di quel posto. Poteva creare di tutto per fuggire da quel vuoto. Ma non lo stava facendo.

-Io ho potere nel tuo territorio, Frank- parlò l'uomo -Qui non riesco a fare nulla.-

Il ragazzo non sapeva se essere più sorpreso per il tono di voce dell'uomo, delicato come il muso di un gattino, o da ciò che era appena stato detto.

Mille domande gli frullavano per la testa, annebbiandogli la vista. Frank le ignorò, pensando che non avrebbero fatto altro che confonderlo ulteriormente. Cercò invece un possibile modo per salvarsi: guardò davanti a sé, poi di nuovo in basso, dove il bianco correva verso di loro inghiottendo pezzi di torre. Poi guardò l'uomo, che si girò di scatto. Iniziarono entrambi a correre verso l'unica direzione dove era meno rischioso essere catturati dal vuoto: avanti rispetto a dove si trovavano in quel momento.

I due correvano, sfuggendo dal bianco corrotto, sfidando quella pressione che li spingeva verso il basso, andando anche essa verso di loro. Era come una morsa letale, in cui i due erano incastrati i come un ignaro orso marsicano lo è in uno di quei terribili lacci di acciaio nascosto a tradimento in un cespuglio da qualche bracconiere. E il bianco correva, la pressione spingeva così tanto che ad un certo punto i due dovettero piegare le gambe, poi il busto, poi persino procedere a gattoni, aiutandosi con le mani. Gocce di sudore colavano dalle loro fronti bagnando le scale, per poi scivolare in quel bianco dove cessavano di esistere. Frank arrivò ad andare avanti bocconi, sul freddo marmo. Poi la pressione si fece così intensa da farli fermare del tutto. Ma il bianco continuava a correre verso di loro. Frank usò le ultime forze per sollevare un braccio, un dito, l'indice, verso il cielo. Era trasparente, eppure quando distese del tutto il braccio sentì una scarica elettrica bruciargli la prima falange. Ritrasse immediatamente il braccio, appoggiando il dito sul marmo freddo. Alzò lo sguardo.

Il cielo era limpido, si, ma nell'aria, una accanto all'altra, si potevano scorgere tante piccole creature simili ad anguille volteggiare creando una specie di intenso campo di forza che si spingeva verso di loro, mandandoli in basso. Frank restò immobile sul marmo, un braccio leggermente spostato più in alto rispetto all'altro, con un dito bruciacchiato. Aveva la pelle del viso sudata appoggiata su un gradino, sfinito. L'uomo era accanto a lui, il corpo contorto in una posizione tragicamente innaturale. Ricordava il Lacoonte, che disperato lottava per la sua vita mentre veniva stritolato dal serpente. E così stavano per essere schiacciati anche Frank e l'uomo. Erano accasciati sulle scale, distrutti, stretti in quella morsa. Frank dimenticò il gioco della "campana", la panna e il volo. Una lacrima scese lungo la sua guancia, finendo su una delle rifiniture dorate delle scale.

Il vuoto sotto, quello strano campo di energia sopra, che si avvicinavano sempre di più l'uno all'altro, attratti reciprocamente come due calamite di polo opposto. Non avevano via di scampo. E Frank lo sapeva.

Ansimava, con il viso schiacciato contro il gradino. Qualcosa, qualcosa di bianco e corrotto si era avvicinato al piede di Frank. Quel qualcosa la stava avvolgendo piano piano, facendo perdere sensibilità al ragazzo in quel punto. Frank pensò un'ultima volta a tutte le situazioni a cui era riuscito a sfuggire, vincendo le sfide con cui quel luogo lo stava mettendo alla prova. Poi, mentre non sentiva più le prime dita del suo arto inferiore, pensò che ci sono situazioni dalle quali non si può scappare. Situazioni in cui, a volte, è meglio arrendersi subito ed evitare battaglie inutili. Un brivido di freddo congelò il sangue di Frank, mentre i suoi occhi perdevano colore. Era sdraiato sul marmo che adesso sembrava ghiaccio, pronto ad abbandonarsi a quello che era convinto fosse il suo destino. Quel qualcosa che gli aveva avvolto il piede risalì per la caviglia. Frank ebbe l'impressione di perdere i sensi. Chiuse gli occhi, aspettando un tempo infinito. 

SLEEP- FRERARDDove le storie prendono vita. Scoprilo ora