Aprii piano gli occhi, sentendo una luce fortissima pulsarmi addosso e mi dovetti coprire perché sentii tutto ad un tratto un mal di testa assurdo e gli occhi chiedere pietà.
Appena mi abituai alla luce iniziai ad aprirli e cercai di tirarmi su a sedere ma non c'è la feci e ricaddi sdraiata sentendo il corpo dolorante e indolenzito. Non mi preoccupai di essere nuda, siccome a volte mi succedeva di dormire così, soprattutto se ero nervosa, ma quando mi accorsi di essere caduta su delle manette ricoperte da del velluto nero, mi feci prendere dall'ansia.
Ormai ero sveglia e avevo dei segni sul polso e un piccolo livido sulla pancia che mi faceva un male assurdo se lo toccavo, cosa che stupidamente feci.
Non avevo dei segni del genere da quando stavo con Diego...
Ma se fosse stato lui? dopotutto ieri c'era e quelli erano proprio i punti in qui mi puniva quando mi muovevo. Nonostante il dolore riuscii a mettermi seduta e mettermi le mani nei capelli scombinati e sudati.
Mi opposi di non piangere, non per lui, non ora, non dopo tutto quello che mi ha fatto passare.
Quando sono venuta in Inghilterra mi ero promessa di non cedere più a Diego e cosa ho fatto? l'esatto opposto.
Sentii ribrezzo nei miei confronti, mi odiai per quello che mi ero lasciata fare ancora.
Non avevo imparato niente dall'ultima volta e adesso ne stavo scontando le conseguenze.
Non riuscii a dare la colpa a lui, sapevo che mi avrebbe riusata e gliel'ho lasciato fare, come se mi fossi regalata a lui.
Questo poteva definirsi uno stupro? perché a me sembrava proprio questo.
Sentivo che il corpo non era più il mio, sentivo l'odore che non era il mio, non sopportavo quest'odore, mi volevo togliere la pelle, sostituirla con un altra più pulita.
Mi iniziai a grattare, a strofinare le mani sulla mia pelle nuda, come se potessero cancellare tutto quello che è successo.
Ma nulla poteva, niente poteva cancellare le sue mani su di me, pian piano me le sentii ovunque e soprattutto sulla gola come se mi stesse strozzando e la sensazione era quella.
Mi sentii mancare il respiro, più ci provavo più sentivo un'oppressione, stavo soffocando in una stanza che non era la mia, con un odore che non era il mio e in una pelle che non sentii più mia.
Mi facevo schifo, tutto di me mi faceva schifo, tutto quello che un tempo amavo di me ora lo odiavo.
Non sapevo quanto tempo trascorsi sul letto, però sentii la pelle che stavo strofinando iniziarmi a fare male e in effetti si era arrossata, così tentai di fermarmi, ma le mie mani tremavano e stare ferma mi faceva stare peggio mi rannicchiai su me stessa e stetti così per molto.
Ero lì da sola senza aiuto e forse era meglio così, non volevo nessuno che mi vedesse in quello stato.
Mi misi a ridere anche se non c'era niente di divertente, pensai quanto possa essere ironico il fatto che il sesso ovvero il posto in cui mi sentivo meglio a mio agio, fosse diventato il mio incubo, come una punizione crudele del destino.
Dopo non so quanto mi costrinsi ad alzarmi ignorando il dolore sia fisico che mentale. Alla fine mi meritavo per essere finita così e mi alzai cercando qualcosa da mettere che magari coprisse i lividi.
Se non mi fossi comportata così da stronza con Aurora, se mi fossi aperta di più con altre persone, se fossi stata una persona migliore magari non mi troverei in questa situazione.
invece no, distruggo sempre tutto ed è giusto che sia finita così.
Me la sono cercata nello stesso momento in cui ho visto... quell'uomo e ho avuto la brillante idea di bere più del dovuto.
Ma gli altri dov'erano? i miei genitori? mia sorella?
Ah giusto loro a malapena mi conoscono figuriamoci se possono sapere cosa sia successo con lui. Non hanno mai sospettato niente ed è ovvio che vedendoci allontanare non si sono informati maggiormente o magari non mi hanno manco vista, come al solito come se fossi ormai solo un fantasma.
E se lo fossi diventata?
Caccio lontano da me i vestiti, mi precipito nel bagno adiacente a me e subito ho un conato e dopo un altro. Vomitai nel gabinetto afferrandomi ai lati freddi della tazza, cercando di non fare troppo rumore e mi svuotai lo stomaco. Ci restai per un tempo indescrivibile, aspettando che i conati passassero e che i tremiti residui si distanziassero.
Tutto ciò era un incubo. Non poteva essere successo veramente, a me!
Provai a concentrarmi sulla respirazione: ispirare dal naso, espirare dalla bocca, ancora e ancora.
Ormai ero sudata e gli esercizi per la respirazione non aiutarono.
Appoggiai la testa sul muro più vicino, appoggiando i palmi sul pavimento freddo.Tutto questo era reale?
Mi strinsi ancora le ginocchia contro il petto.
Era reale. Era reale. Era reale...
Lo dissi in silenzio, solo con il movimento delle labbra, non avevo forza per parlare, era come se mi fossi dimenticata come si fa a parlare, a respirare, forse anche a vivere...
Continuai a ripeterlo, finché non iniziai a provare dolore per quanto mi stringevo e alle mani che stavo stringendo così tanto da lasciarmi un segno, un altro... ma questa volta il mio.
Raccolsi tutta la forza che mi era rimasta, mi alzai ed entrai in doccia nella quale per la prima volta un quella mattina vidi il mio riflesso e lì mi accorsi che la ragazza che esisteva fino a ieri sera era morta.
Io diventai un fantasma di me stessa.
Ero sempre snella, le mie forme erano quelle, il mio viso pure ma...
le mie labbra erano sanguinanti, avevo dei lividi che non riconoscevo, la mia sicurezza era scomparsa e i miei occhi erano spenti come se non ci fossi più e fossi morta.
Ecco era così che mi sentii.
Aprii il rubinetto dell'acqua e iniziai ad insaponarmi più del dovuto feci più passaggi arrossandomi un po' la pelle e prima che mi possa venire un irritazione mi fermai, anche se avrei potuto continuare per sempre.
Dopo mi costrinsi a vestirmi e sentii gli abiti bruciarmi a dosso, come se fossero avvelenati.
Controllai l'ora ed erano le 16 passate di natale, una delle feste più amate distrutte da un uomo ignobile, che mi aveva distrutto la mia adolescenza ma anche il mio ultimo anno di università e probabilmente di più.
Una parte di me vorrebbe parlarne con qualcuno, magari denunciarlo? ma chi mi darebbe retta? sarebbe solo inutile, una perdita di tempo e lui non si meritava manco un millesimo di secondo del mio tempo.
Non ne avrei mai parlato con nessuno, provavo troppa vergogna per confessarlo a qualcuno, figuriamoci ai miei amici.
Non voglio che mi vedano come una vittima, che abbiano pietà di me.
Odio essere compatita.
Uscii dalla mia attuale camera e feci quello che mi riusciva meglio, ovvero indossare una maschera di indifferenza, in modo da proteggermi da tutti.
Sembrava non esserci nessuno in casa, tranne gli addetti della pulizia in giro, poi sentii delle voci ridere in giardino e andai a vedere dalla finestrella in cucina.
C'erano mio padre, mia madre e mia sorella impegnati a giocare a monopoli e ridere come una perfetta famiglia felice e questo giustamente escludeva me, la pecora nera.
Se non fossi già rotta, mi sarei messa a piangere, ma ora era solo una piccola cosa che si aggiungeva ai miei sensi di colpa, ai miei fallimenti.
Non restai ancora lì per molto, non volevo toglierli l'allegria del momento e mi allontanai prendendo la mia valigia, le chiavi e uscii entrando nella mia macchina per poi partire verso il primo hotel disponibile vicino all'aeroporto.
Scrissi un veloce messaggio a mio padre dicendogli che dovevo tornare immediatamente in Inghilterra e lo salutai.
Per un po' volevo staccare i ponti con il mondo e così feci.Trascorsi più tempo del previsto in quell'hotel, staccai completamente il telefono e uscii dalla mia stanza solo quando la pulivano o quando dovevo mangiare quel minimo indispensabile per restare "viva" se quello era il termine giusto da usare.
Ormai ero diventata un vegetale, le uniche cose che facevo era lavarmi la maggior parte del tempo, leggere, fissare il vuoto e a volte accendere la tv.
Non avevo voglia di fare nulla, manco di vivere ma non ero così codarda da suicidarmi, non lo avrei mai fatto e non mi sarei tolta la vita per lui.
Forse stavo solo esagerando, forse il mio dolore era esagerato per quello che è successo, ma non potevo farci nulla.
Potevo solo provare a rialzarmi, da sola senza l'aiuto di nessuno.
Non potevo dipendere da nessuno, se l'avessi fatto e quel qualcuno se ne andasse o se ne approfittasse finirei per spezzarmi definitivamente e non mi sarei rialzata più, ma non potevo permettere che succedesse.
Dovevo lottare, tirarmi su e continuare la mia vita o almeno provarci.
Se ci fossi riuscita, magari un giorno non avrei più dovuto sopravvivere ma piuttosto vivere.
Con questo pensiero in testa accesi dopo tanto il telefono e con mia sorpresa avevo ricevuto un casino di messaggi, ma ne aprii solo uno.
Il mittente era Joseph e mi aveva mandato all'incirca cento messaggi, ripetendo nella maggior parte di quelli di essere preoccupato e di chiamarlo.
Non volevo che lo fosse, gli volevo bene e non si meritava di soffrire anche lui per una persona come me.
Ma soprattutto dovevo cavarmela da sola.
Gli scrissi un messaggio conciso, mandandogli la panoramica della mia camera e dicendogli di stare bene e che sarei tornata a scuola molto presto.
Glielo inviai e nel frattempo la mia mente si era riempita di sensi si colpa e di una vocina che ripeteva "sei una bugiarda" ed era vero, lo ero.
Passarono due, tre giorni forse ed era la quarta volta in una giornata che mi veniva un attacco di panico e in più c'era la cameriera che non smetteva di bussare, così mi alzai dal letto infuriata ed aprii di colpo per poi rimanere a bocca aperta...
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𝐓𝐨𝐱𝐢𝐜 𝐋𝐨𝐯𝐞 𝐎𝐫 𝐍𝐨𝐭 [𝐇.𝐒.]
ChickLitEmma Borghese è una ragazza Italiana. Ha un carattere molto forte, è estroversa ma non si lega facilmente alle persone. Frequenta l'ultimo anno alla Cambridge University e in questi anni ha conosciuto la sua migliore amica Aurora e il suo migliore a...