9. Bohemian Rhapsody

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9. Bohemian Rhapsody.

"Un giorno anche la guerra
si inchinerà al suono di una chitarra."

JIM MORRISON

🦋

Cesare

«Vediamo se durante le vacanze ti sei dimenticato tutto ciò che ti ho insegnato», afferma scherzoso Giovanni, un uomo di mezza età, completamente calvo e con uno spiccato senso dell'umorismo.

«Mai quanto tu che ti dimentichi di tagliarti quella barba!», gli rispondo entrando in sala.

Giovanni, o Gio, come mi piace chiamarlo, possiede una lunga barba rossa lunga fino al petto dalla quale spuntano numerosi peli bianchi dovuti all'avanzare dell'età. I suoi occhi sono vispi, grandi e azzurri, un azzurro tendente al grigio.

«Molto simpatico! L'ho accorciata giusto ieri», dice indicandosi la parte iniziale dello sterno, proprio dove termina la sua barba.

Io scoppio a ridere mentre appoggio la custodia della mia chitarra vicino alla parete della stanza.

Pratico chitarra da quando avevo otto anni e ho iniziato proprio in questo posto, una scuola di musica nel seminterrato di un palazzo. Ricordo quando papà mi chiese se fossi interessato a suonare questo strumento, dato che da giovane l'aveva fatto anche lui, e io, sempre in cerca di nuove esperienze, accettai di fare una prova.

Mi portò in questo strano posto senza neanche un'insegna. L'entrata, alla quale si accedeva tramite una porta di vetro, era molto trascurata tant'è che mi domandai se non avesse per caso sbagliato posto. Entrando c'erano solo una scrivania dietro alla quale era seduta una giovane ragazza, che poi scoprii chiamarsi Eleonora, che con un palmo poggiato sotto il mento fumava una sigaretta.

Entrando, l'odore di fumo invase le mie narici e ricordo che cercai di trattenere in tutti i modi la tosse che minacciava di uscire. Non volevo fare brutta figura con mio padre, che era ed è un fumatore accanito, e con quella bella ragazza dalla pelle color ebano, gli occhi scuri come il carbone e i capelli più neri e più ricci che avessi mai visto. Io e papà ci avvicinammo alla scrivania e ci sedemmo entrambi sulle sedie difronte a essa, io con le gambe a penzoloni a causa della mi altezza non sufficiente ad arrivare a toccare a terra.

Eleonora con sguardo disinteressato ascoltò le parole di mio padre che le spiegò che mi sarebbe piaciuto fare una lezione di prova. La ragazza annuì semplicemente e, sfilando dalle labbra la sigaretta ormai consumata e spegnendola nel posacenere, afferrò la cornetta del telefono e comunicò a qualcuno dall'altro lato ciò che mio padre le aveva appena detto. Io mi osservai attorno. Le pareti erano dipinte di rosso bordeaux, sul lato sinistro della scrivania era presente un divano in pelle nera ormai rovinato dove vi era accucciato un gatto siamese. Alle spalle della scrivania si intravedevano delle scale che portavano al piano sottostante, un seminterrato. Ero davvero agitato, soprattutto perché mio padre non sembrava neanche un po' turbato da quello strano ambiente.

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