26. Ti proteggo io

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26. Ti proteggo io.

"E poi ci sono quelle persone
che si incontrano quando la vita
decide di farti un regalo"

CHARLES DICKENS

🦋

Sento le mani del ragazzo armeggiare con la zip dei pantaloni.

È finita. Che faccio?

Chiudo gli occhi aspettando che tutto passi.

Passerà in fretta. Passerà in fretta.

E poi, come se fosse il mio angelo custode, mi tornano in mente le parole del mio istruttore, Marco Bianchi:«Se ti mettono una mano sulla bocca mordi, se il tuo corpo è bloccato solo sulla parte superiore, utilizza le gambe»

«Giulia!», sento una voce familiare in lontananza chiamare il mio nome. Spalanco gli occhi pronta a reagire.

Immediatamente affondo i denti nella carne dell'uomo, che tiene ancora sulla mia bocca, con tutta la forza che ho.

«Cazzo!», impreca indietreggiando leggermente. Qualche goccia di sangue cade sull'asfalto, ma non rimango a guardare. Avanzo coraggiosa verso di lui e gli do un calcio proprio lì, nelle parti basse. È forse il calcio più forte che io abbia mai dato. Lo sconosciuto, infatti, si piega su sé stesso e si accascia per terra.

«Stammi lontano!», urlo riallacciandomi velocemente i pantaloni.

«Giulia!». Di nuovo quella voce, la sua voce. A malapena mi accorgo di lui, troppo impegnata a fissare l'uomo accasciato davanti a me.

«Stai bene?». Mi sento afferrare per le spalle e improvvisamente incontro due familiari occhi verdi. Il volto di Cesare è preoccupato e allo stesso tempo impaurito, mentre cerca di assicurarsi che io stia bene.

Non sto bene.

Non rispondo. Continuo a fissarlo con sguardo vuoto. Sento le sue mani abbandonare le mie spalle per precipitarsi sull'uomo che giace ancora dolorante per terra. «Che cazzo hai fatto! Cosa le hai fatto!», urla in preda all'ira. Guardo la scena a occhi spalancati sforzandomi di dire qualcosa. «Basta...», sussurro, ma il ragazzo di fronte a me non sembra udirmi.

«Alzati bastardo!», sbraita lui.

«Basta...», cerco di alzare il volume della voce, ma Cesare continua a non sentirmi.

«Cosa le hai fatto!», continua il ragazzo senza smettere di accanirsi sul mio aggressore.

«Basta!». Questa volta urlo riuscendo a catturare la sua attenzione. Si volta verso di me e mi osserva preoccupato. «Stai bene?»

«Voglio andare via», confesso.

«Andiamo via allora», dice lui con tono gentile.

Cesare si avvicina a me, mi circonda le spalle con un braccio e, dopo aver rivolto uno sguardo infuocato in direzione dell'uomo dolorante, mi accompagna fuori da quella via stretta e desolata, conducendomi verso la strada principale. Camminiamo per qualche centinaio di metri abbracciati l'uno all'altro, finché Cesare non valuta la situazione ormai sicura.

Ti dedico tutta RomaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora