4. Da Seattle a Seoul

492 33 13
                                    

"Jay, sei pronto? Dai che partiamo!" Urlò una donna, aveva un visino dolce, dai lineamenti rotondi e delicati, mostrava a mala pena 40 anni.

"Arrivo, mamma!"

Scese le scale con passo lento ed esitante.

Lei si voltò e vide un ragazzino di 11 anni dal viso tondo, capelli neri e lisci. Era proprio carino, non aveva nessuna doppia palpebra sopra i suoi bei occhietti neri, piccoli e stretti.

"Hai preso tutte le tue cose?" Gli chiese.

"Si."

"Sei emozionato?"

"Si." Rispose freddamente.

"Non mi sembri convinto."

"Secondo te sono felice di lasciare tutti i miei amici e la mia casa?! Ti odio!" Gridò singhiozzando, buttò la valigia a terra e scappò.

Andò nel suo posto preferito di Seattle: la panchina ai piedi dello Space Needle: una piattaforma altissima, fatta a cupola in cima, con vista panoramica sul monte Reinier (vulcano, vetta più alta dello stato di Washington) da mozzare il fiato, su cui fu stata istallata una rete di sicurezza, dopo i tentativi di suicidi avvenuti pochi anni prima.

Si sedette, mise la faccia tra le mani e scoppiò a piangere.

Non voleva abbandonare la sua amata città, era nato e vissuto lì, aveva molti amici e si considerava un Americano a tutti gli effetti, nonostante le sue origini Coreane.

Non sopportò l'idea di lasciare la sua casa, la sua scuola, i posti che amava, come il suo parco preferito, dove baciò per la prima volta una ragazza quando aveva 8 anni, le numerose sale giochi, dove trascorse interi pomeriggi con i suoi amici e, appunto, lo Space Needle, dove passò ore ed ore ad ammirare dall'alto il panorama.

Dovette rinunciare anche agli spettacolari "Fire Works" del 4 luglio, al Thanksgiving day (giorno del ringraziamento) con i suoi familiari.

"Jay! Non stavi partendo? Che ci fai qua?!" Esclamò una voce che lui conosceva molto bene: era quella del suo migliore amico fin dalla nascita.

Sollevò la testa, aveva gli occhi gonfi e le guance bagnate.

"Sam! Che bello, sei qui!" Si asciugò le lacrime e sorrise.

"Non dovresti essere già partito?"

"Volevo salutarti, ero certo che ti avrei trovato qui. Ti ricordi quando ci siamo saliti?"

"Eccome, appena ho guardato giù mi sono sentito male hahaha." Rise l'amico malinconico.

"Sei sceso e hai giurato che non ci avresti messo più piede."

Le lacrime scomparvero.

"Cazzo, mi mancherai, Sam."

"Anche tu, Park Jongsong! Mandami una cartolina da Seoul, mi raccomando."

"E tu devi tenermi aggiornato."

"Contaci. Magari ci rincontreremo e non dimenticarmi." Si raccomandò il ragazzino con voce rotta e occhi lucidi.

"Ovvio, e ora non metterti a piangere, idiota!"

Poco dopo la macchina dei genitori di Jay accostò e scese sua madre.

"Tesoro, dobbiamo andare!" Urlò esarperata.

I due si abbracciarono e si separarono definitivamente. Erano consapevoli che non si sarebbero più rivisti, oppure chissà se le loro strade avrebbero potuto rincrociarsi.

Il viaggio fu lungo e il poverino non aprì bocca per tutto il tempo, aveva uno sguardo assente e vuoto.

Quando arrivarono si sentì completamente spaesato, Seoul era una città enorme, con imponenti grattacieli e insegne luminose, questa volta non erano scritte nell'alfabeto che ha sempre visto, ma in Hangeul, (alfabeto Coreano) lui lo conosceva già, ma non ne aveva mai viste così tante prima.

Arrivarono ad una villa di periferia, lontana da tutta quella confusione che trovarono inizialmente.

Si trovava nelle campagne intorno la città, aveva un ampio giardino sul retro, non si dimostrava tanto spaziosa, ma molto accogliente.

Gli interni non sembravano male, aveva un salotto e cucina open space, c'era un tavolino davanti al bancone e dall'altra parte della stanza un divano a isola.

La sua stanza era molto semplice: il letto da una piazza e mezzo si trovava sotto la finestra col lato lungo che scorreva contro il muro, dietro il quale si estendeva un grande armadio.

C'era una piccola scrivania davanti al letto. Lì avrebbe vissuto per gli anni a venire.

Quel trasloco segnó profondamente sul carattere del nostro ragazzo: se prima fu solare e amichevole, da quel momento in poi, sarebbe diventato sempre più ostile, freddo e attaccabrighe.

Jay, oltre che caratterialmente, cambió anche fisicamente: diventò molto affascinante, con la mascella più marcata, gli zigomi più evidenti e gli occhi un po' più grandi.

Jay, oltre che caratterialmente, cambió anche fisicamente: diventò molto affascinante, con la mascella più marcata, gli zigomi più evidenti e gli occhi un po' più grandi

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.
Make you MINE- JaywonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora