Due anni, sette mesi e ventotto giorni prima dell'esecuzione
L'arrivo del Comandante Athelstan era facilmente riconoscibile.
Elijah non ebbe neppure bisogno di aprire gli occhi, steso sulla branda dell'infermeria, per capirlo. Gli bastò ascoltare le parole delle infermiere, come persino i soldati più lamentosi tentarono di attenuare i gemiti di dolore, gli bastò sentire quel lento scandire di passi calmi che pian piano si avvicinavano.
Fu sorpreso però nel sentire che si fermò alla sua branda.
"Sei sveglio."
Scoperto, Elijah aprì gli occhi. "Comandante. Mi perdonerà se non mi metto sugli attenti."
L'elfo prese un profondo respiro, ed Elijah represse un sorrisetto. Lo stava facendo innervosire. "Perdonato."
"Sono onorato della visita." Elijah non lo era e Athelstan lo sapeva.
Il comandante non aveva mai conosciuto un umano tanto sfrontato, ma questo non faceva altro che farlo incuriosire sempre di più. Che fosse coraggio? Che fosse stupidità? Il comportamento degli uomini era tanto diverso da quello degli elfi, come tutto il resto di loro dopotutto. Razze diverse, storie e origini diverse.
"La ragazza si è svegliata."
Per la prima volta Athelstan vide qualcosa oltre la maschera maliziosa e furba del ragazzo. Forse era sollievo, forse affetto. Probabilmente entrambe.
Era rimasto orripilato nel trovare Ava in quelle condizioni e ancora di più nel trovare Elijah. Quello che gli avevano fatto era stato imperdonabile e Athelstan non poteva nemmeno immaginare quanto avessero sofferto e quanto avrebbero sofferto in futuro a causa di sole due settimane.
Nel tentare di capire cosa farne di loro, due fantasmi, sia nel corpo che nella mente, aveva tentato di mettersi nei loro panni. Non ci era riuscito. Non era nella natura degli elfi essere empatici, men che meno verso chi non apparteneva alla loro gente e nonostante gli sforzi, il comandante aveva miseramente fallito nel provare qualcosa.
Quelle due settimane che gli aveva concesso per riprendersi non sarebbero servite a nulla, lo sapeva anche lui, ma così, si sentiva l'anima in pace e tanto gli bastava.
"Ava."
Elijah lo stava fissando, con quegli occhi estremamente surreali, di un oro che pareva brillare; incuteva timore anche in quelle condizioni, steso su un letto, magro e sciupato, grigio, come ogni umano. Eppure uno di quegli umani che avevano il potere nel palmo della mano e sapevano come usarlo. Athelstan l'aveva capito subito che lui non era come gli altri.
"Come?"
"La ragazza ha un nome. Si chiama Ava. E anche io ho un nome."
"Lo so bene, Elijah Kohen, ma non è nella mia politica chiamare i miei sottoposti per nome."
"Così tanti che non puoi ricordartene, no?"
Athelstan assottigliò gli occhi. "Non oltrepassare la linea, Kohen." Ma si strozzò con le sue stesse parole e nel sorrisetto dell'umano vide la sfida: "Se no cosa?" Cosa avrebbe potuto fargli di peggio di ciò che aveva appena passato? Quello era lo sguardo di un uomo che non temeva più neppure la morte.
"Keegan ha chiesto di vederti, ma non è nelle condizioni di camminare."
Lo sguardo di Elijah si oscurò, chiuse i pugni sulle lenzuola. "Sta tanto male?"
"Fisicamente potrebbe riprendersi in un mese, forse meno."
Come tutti, era stata colpita dall'anoressia. Per due settimane avevano a malapena mangiato, si erano a malapena mossi ed erano stati costretti ad accucciarsi gli uni contro gli altri. I loro muscoli si erano atrofizzati e ogni strato di grasso era stato debellato.
"Mentalmente..." continuò il comandante. "Non ne ho idea."
Elijah sbuffò.
Athelstan lesse quello sbuffo come un "Tipico degli elfi".
"Eppure tu non mi sembri sconvolto."
Con questo il Comandante, per la prima volta dopo più di mezzo secolo, ricevette un'occhiataccia.
"Se lo fossi, certamente non lo mostrerei a lei, Comandante. Con tutto il rispetto, signore, mi chiedo cosa farebbe un elfo di alto rango come lei a un soldatino che fa cilecca."
Athelstan schioccò la lingua, divertito. "È tua abitudine vedere sempre il male nelle persone?"
"Sono solo prudente."
Il comandante annuì e tenne per sé ciò che pensava. "Fatti indicare la sua tenda dalle infermiere. Avete due settimane per riprendervi." Se ne andò.
Per il resto della giornata, però la sua mente continuava a rivisitare quell'incontro. Elijah Kohen. Quel ragazzo tanto particolare, tanto turbato, tanto attento. Davanti a lui si aprivano due strade, entrambe portavano al potere, ma una di quelle lo avrebbe condotto a scontrarsi contro gli elfi, contro Athelstan.
Il comandante, dopo un secolo di servizio, sapeva riconoscere un leader acerbo quando lo vedeva, ed Elijah era quello che poi sarebbe sbocciato a dare un buon frutto o uno completamente marcio. La curiosità lo attanagliò tanto che decise di tenere un occhio attento su di lui.Ava stava dormendo.
Elijah era scivolato nella tenda in silenzio, l'aveva chiusa dietro di sé e aveva osservato l'interno: pulita, ordinata, molto più raffinata di quanto due soldati semplici si meritassero. Quello era evidentemente un modo—o forse l'unico—che gli elfi avevano per mostrarsi dispiaciuti. Elijah avrebbe voluto prenderlo e buttarlo nel cestino, strappare quelle belle tende bianche e andare a dormire con i suoi uomini, poi vide la ragazza, la grande massa di capelli rosso brillante sparsa in onde disordinate tutte attorno al suo viso sereno, pervaso da un'espressione pacifica. Chissà cosa stava sognando. Doveva essere un bel sogno.
Elijah si sedette sul materasso che era stato aggiunto al fianco di quello di Ava. Si tolse gli scarponi e la giacca e la camicia; restò con la canottiera e i pantaloni della divisa e si stese sul letto.
I muscoli si rilassarono, si sciolsero a contatto con la morbidezza delle coperte. Elijah prese lunghi e profondi respiri.
Due settimane, pensava. Ma due settimane di cosa?
"Elijah?"
La mano sottile di Ava raggiunse la sua spalla. La sfiorò a malapena, poi si fermò e la lasciò a cadere sul materasso.
Elijah si mise sul fianco, per guardarla in faccia e prese tra le sue le dita sottili che erano scivolate al suo fianco. Erano freddissime.
"Il Comandante ha fatto anche a te il discorsetto?" Chiese Elijah. Ragionare insieme a lei gli aveva sempre fatto trovare le soluzioni più efficaci nel minor tempo.
Ava sospirò. "Quello delle due settimane?" Come al solito erano sulla stessa linea di pensiero.
"Sì. Cosa pensi?"
La ragazza rimase in silenzio per un po', il suo sguardo sul soffitto, come se potesse vederci attraverso e osservare il cielo. "Tu cosa ne pensi?"
"L'ho chiesto prima io..."
Ava arricciò le labbra e gli strinse la mano. "Penso che sarebbero inutili sotto ogni punto di vista." Vide Elijah annuire e continuò. "Per... riprenderci avremmo bisogno di mesi, se va bene. E non potendocelo permettere, due settimane ci obbligherebbero solo a penare inutilmente. Non andremmo avanti, non torneremmo indietro, rimarremmo fermi e dopo sarebbe tutto uguale a prima."
La tenda calò in un silenzio sospeso, proprio come le loro vite in quel momento. Ferme.
Elijah sapeva cosa dovevano fare. Sapeva che per farcela, dovevano prendere in mano la loro vita, prendere le giuste decisioni, non sbagliare perché al minimo errore tutto sarebbe potuto finire. Sapeva che dovevano alzarsi da quei letti, imbracciare i fucili e chiudere un occhio sul passato, concentrarsi sul presente e osservare con la coda dell'occhio il futuro.
"Dobbiamo sopravvivere, Ava. Sopravvivere a tutti i costi."
STAI LEGGENDO
Dalle Ceneri
FantasyAva Keegan era la ballerina più promettente del Di Sopra. Elijah Kohen era un aristocratico che si dilettava come attore nel tempo libero. I loro futuri erano rosei, le prospettive serene. Dal loro incontro casuale nacque un'amicizia spontanea e nel...