Due anni e sei mesi prima dell'esecuzione
Dopo diverse settimane in trincea si riusciva a distinguere il silenzio di una tregua a quello che precedeva il massacro. Ava non avrebbe saputo come spiegarlo a qualcuno che non ne era capace; si trattava di un formicolio, come una scossa che attraversava l'aria e rizzava i peli delle braccia. Svegliava nel bel mezzo della notte, come se il dio della guerra passasse il suo braccio sul campo di battaglia per risvegliare i soldati. Stanno arrivando, diceva.
Il primo a sviluppare questo sesto senso fu Elijah e dopo accadde ad Ava; una notte, nel bel mezzo di un sogno tormentato, aveva semplicemente spalancato gli occhi, una sensazione di pesantezza sul cuore e sudore freddo sulla schiena. Si era alzata e a pochi metri da lei, aveva visto Elijah, anche lui ben sveglio e già intento a svegliare gli altri.
Athelstan allora entrava impetuoso e iniziava a dare ordini.
Gli attacchi non erano mai troppo lunghi, ma in quei pochi minuti, era l'inferno in terra.
Si attendeva in silenzio, i fucili stretti nei palmi sudati, il grilletto pronto a schioccare, le schiene schiacciate contro il muro di fango.
Tu-tum, tu-tum, tu-tum... all'inizio non si capiva da dove provenisse quel suono sospeso, che fosse un nuovo ordigno del nemico? Poi era solo il proprio cuore, che andava a un ritmo più veloce e sempre più veloce man mano che il Comandante Athelstan assottigliava gli occhi e sollevava il braccio e allungava le dita e poi—
Le abbassava. Bum.
Prima le bombe e gli allucinogeni, poi gli spari. E in quei pochi secondi d'inferno non si capiva chi fosse amico e chi nemico, chi ancora vivo e chi già morto, chi stesse gridando dal dolore e chi dalla paura, chi stesse vincendo, chi perdendo, chi avevi ucciso e se qualcuno ti stesse per uccidere.
Poi finiva, così come era iniziata. Nel silenzio della morte."Che cosa hai sentito?"
Ava aveva il fiatone e cinquanta paia di occhi su di lei e le gambe che tremavano come non avevano mai fatto. Deglutì un paio di volte prima di poter mettere in fila tre parole. "Non... mettermi... fretta."
Elijah strinse le labbra in un sorriso trattenuto e la invitò a sedersi, ma Ava scosse la testa. Date le tante esperienze, sapeva di non potersi rilassare così a cuor leggero dopo un grande sforzo, perciò si mise a fare stretching davanti a tutti, ignorando le occhiate curiose degli altri gruppi e quelle imbarazzate degli uomini di Elijah. Usò quel tempo anche per riordinare le idee.
Non era la prima volta che Elijah le chiedeva di tendere un orecchio sulle discussioni di Athelstan con i capitani.
Gli umani non erano ammessi a queste riunioni, neppure un solo rappresentate, perciò Elijah doveva fare a modo suo. L'aveva nominata sua corridore, perché era la più veloce del loro gruppo e quella che, con i dovuti camuffamenti, passava più facilmente inosservata.
Perciò intabarrata nella sciarpa sudicia, ogni ciocca rossa nascosta sotto di essa, si era messa a correre e correre. Dietro gli angoli, dietro le casse per le provviste, nelle più piccole ombre. Poi si fermava e ascoltava. Attendeva diversi minuti, certe volte ore, poi, avvertito un formicolio alle dita, che le faceva intuire che la riunione stava per finire, tornava a correre, dritta dritta verso Elijah a riportare tutto quello che aveva compresso nella sua memoria.
Quando finalmente il suo respiro si ristabilì, si tolse la sciarpa dai capelli e la restituì a Gavin, poi si sedette al fianco di Elijah.
"Allora?" Incalzava Cameron.
"Non è una bella situazione. Dicono che gli alimenti faticano ad arrivare, che nel Di Sotto l'esercito è in difficoltà a causa del buio e delle condizioni a cui non sono abituati... dicono che se dovessimo continuare a non avanzare, saremmo costretti ad abbandonare il campo e lasciarli vincere a tavolino per aiutare gli altri fronti."
"Assurdo," sibilò uno degli uomini. "Siamo qui a spararci da settimane. Non ho intenzione di lasciargliela vinta tanto facilmente." Altri gli andarono dietro con esclamazioni di approvazione.
Elijah non proferiva parola.
"Hanno detto anche che a Watteberge si trova un gruppo dei nostri. Si sta capendo dove mandarlo, ma non sanno se un paio di soldati in più o in meno faranno una qualche differenza," continuò Ava. "Saranno mandati forse a Tallbourne o a Peack. Anche lì la situazione è critica." Ava pensava al grande teatro, a rischio di bombardamento, forse già distrutto, in rovina, il palco sotterrato dalle macerie. Non era ancora riuscita a vederlo.
"Un paio di uomini in più fanno sempre comodo. Che li mandino da noi." Altre esclamazioni del genere si susseguirono nel gruppo, ma piano piano tutti quanti si zittirono e si voltarono verso Elijah, attendendo il verdetto.
Il ragazzo serrò la mascella, le dita che suonavano sul ginocchio.
"Non lasceremo questo posto finché non avremo vinto." Non ebbe il tempo per finire la frase che gli uomini attorno a lui si misero ad esultare. Alzò una mano e con lo stesso potere di un direttore d'orchestra li zittì. "Ho già un piano," continuò Elijah. "Ava, Cameron, Ezra e Gavin, restate con me. Gli altri vadano a riposare." Nessuno protestò.
Gavin, il nostro meccanico, un omone grosso, con una faccia tonda e vivaci occhi ambrati, muscoloso e abbronzato, le mani piene di cicatrici, sempre sporche o intente a macchinare con qualsiasi cosa gli capitasse a tiro, in quel momento stava costruendo un drago con delle graffette, ma appena si sentì nominare, non perse tempo ad alzarsi e mettersi alla sinistra di Elijah.
Ezra invece, un ragazzino appena diciannovenne, ma grande e grosso come un uomo adulto, era sempre con le orecchie tese e gli occhi fissi su Elijah e quando lo sentì pronunciare il suo nome si illuminò come davanti a un miracolo. Ava invece aggrottò le sopracciglia. Si era affezionata a quel ragazzino, anche se dopotutto aveva solo cinque anni meno di lei ed era alto il doppio; ma l'aveva preso sotto la sua ala. Si chiedeva cosa volesse fargli fare Elijah.
Ava si mise alla sua destra e Cameron gli si sedette di fronte. Ezra si accovacciò tra i due fratelli.
"Gavin," iniziò Elijah. "A che punto sei con quel lavoretto?"
L'omone fece delle smorfie con la bocca, come un pescepalla che apre e chiude la bocca e la arriccia. Mentre la prima volta che gliel'aveva visto fare (Ava gli aveva semplicemente se preferisse birra o vino) l'aveva preso come una presa in giro, dopo un po' aveva capito che era semplicemente una sottospecie di tic che aveva prima di parlare, come se usasse quel tempo per cercare le parole esatte.
"L'ho... è da appuntare, insomma... mi servirebbe... no, però..."
"Che cosa ti serve?" Chiese Elijah, paziente.
Gavin strinse il drago di graffette e arricciò di nuovo la bocca e la portò vicinissima al naso, poi prese coraggio. "Un...elastico."
Ava sbatté le palpebre un paio di volte. "Un elastico di gomma? Tipo delle macchine?"
Gavin scosse la testa. "No, un semplice... per capelli..."
"Oh." Ava raggiunse la treccia e prese l'elastico che la legava. Tolse i capelli che vi erano rimasti incastrati e glielo porse. "Tieni."
Gavin lo prese come se fosse una sacra reliquia. "Grazie."
Troppo gentile e ingenuo per fare il soldato. Nessuno glielo aveva mai detto.
"Quanto ti ci vorrà per finirla?"
"Poco... mezz'oretta, un quarto d'ora..."
"Va bene. Mettiti al lavoro subito. Vai." Elijah gli diede una pacca sulla spalla, come per spingerlo ad alzarsi e questo, rischiando un paio di volte di inciampare sui suoi stessi piedi si diresse al suo cantuccio.
"Di che lavoretto stavate parlando?" Chiese Cameron.
"Lo scoprirete tra poco." Elijah osservava la grossa schiena di Gavin, quasi con fare apprensivo, poi si riscosse e una greve serietà prese possesso dei suoi lineamenti. "Questa volta potreste morire."
"Non che sia una novità, Elijah," commentò Ava, sistemandosi meglio sullo sgabello come se nulla fosse. I suoi occhi però erano su Ezra, che seduto per terra al suo fianco con quei grandi occhi nocciola sembrava proprio un bambino.
"Vai avanti," incitò Cameron.
Il ragazzo dagli occhi d'oro si morse l'interno della bocca e abbassò gli occhi. Forse con qualsiasi altro sarebbe stato più sereno, ma quando si trattava di Ava e Cameron, non riusciva a ragionare lucidamente.
"Mi serve uno veloce e voi siete i più veloci di noi. Anzi direi i più veloci in questa divisione. Il piano è semplice. Correre dall'altra parte e conquistarla."
Ava e Cameron sbatterono le palpebre un paio di volte, come se stessero aspettando un seguito.
Cameron aggrottò le sopracciglia. "Sul serio?"
"Sì, ecco..." mormorò Ava. "Non mi sembra un gran piano."
Elijah si massaggiò le tempie. "Con i giusti accorgimenti e strumentazione e diversivo potete farcela. Ho fatto i miei calcoli."
I due corridori rimasero in silenzio per un po', ponderando.
"E quali sarebbero questi accorgimenti?" Chiese Ava.
"Se attiriamo il nemico da un lato, l'altro rimarrà scoperto almeno in parte. Ezra e uno di voi due e coprirà le spalle dell'altro come cecchini. Contando che fate entrambi cento metri in nove secondi e mezzo e che le due trincee sono a circa novantacinque, sareste scoperti per un po' più di otto secondi."
Otto secondi. Un proiettile vagante arrivava in meno di uno. Quante probabilità c'erano che venissero colpiti? Almeno un migliaio, se non di più.
"Al diavolo," esclamò Camron. "Facciamolo."
Ava sorrise. "Facciamolo."
"Allora chi corre e chi spara?" Elijah voleva una risposta precisa, e la sua domanda era solo una sorta di forma di cortesia. Sapevano tutti chi fosse il più veloce e chi il migliore a sparare.
Ava alzò la mano per prima. "Correrò io."
Cameron strinse le labbra, ma non poté dire nulla. Cose come 'è troppo rischioso' facevano pena in tempi come quelli dove anche solo a camminare ti veniva il dubbio di poter calpestare una mina.
"E io sparerò."
"Ti coprirò io, vice-capo, non preoccuparti." Ezra le mostrò la fila di denti bianchi e dritti. Ava non potè che scompigliargli i capelli e dirgli di smetterla di chiamarla 'vice-capo'.
Elijah diede una pacca sulle spalle di entrambi. "Vedete di non morire."
"E tu vedi di prepararci un diversivo con i controfiocchi," sbuffò Cameron.Athelstan stava ancora osservando la cartina. Era un maledetto puzzle, un rompicapo senza fine, un labirinto senza uscita. Lo detestava. Era rimasto lì anche dopo che gli altri capitani se ne furono andati, pensierosi e rassegnati, ma lui non voleva darsi per vinto. Poteva contare sulle dita di una mano le battaglie che aveva perso e non intendeva aggiungerne altre.
Si grattò il collo, preso da un improvviso formicolio, poi sospirò, senza voltarsi verso la porta.
"Ora sono impegnato, Elijah. E ho finito da bere."
Sentì i passi lenti e scanditi degli stivali del ragazzo, ma ancora non si girò.
"Sono qui per dare una mano. Anche se è un peccato non poterlo fare con una bottiglia di vino."
"Sai che non sei ammesso in questa stanza."
Elijah si mise dall'altra parte del tavolo e si appoggiò ad esso. "Correrò il rischio."
"Allora. In cosa puoi aiutarmi?"
"Ho un piano per sconfiggere quelli dall'altra parte."
Athelstan strinse gli occhi. "È tutto sotto controllo. O mi sbaglio?"
"Non si vedono nuove provviste da giorni, né potremo continuare così all'infinito," disse in modo vago, poi fissò gli occhi sui suoi. "Ho un piano."
"Immagino che uno dei tuoi uomini abbia origliato il consiglio." Athelstan strinse i pugni. "Forse ho sbagliato a darti tanta confidenza, Kohen. Stai oltrepassando il limite e non posso continuare a passarci sopra."
"Sto solo cercando di dare una mano."
Sì, ma per quanto? Quando deciderai di usare il tuo genio contro di noi? Athelstan semplicemente aspettava quel giorno inevitabile.
"Allora illustrami il tuo piano."
"Oh, è molto semplice, ho solo bisogno di un po' di luce."
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Dalle Ceneri
FantasyAva Keegan era la ballerina più promettente del Di Sopra. Elijah Kohen era un aristocratico che si dilettava come attore nel tempo libero. I loro futuri erano rosei, le prospettive serene. Dal loro incontro casuale nacque un'amicizia spontanea e nel...