Prima parte

3 2 0
                                    

Il Teatro

Ava aveva iniziato a ballare a quattro anni. In realtà non ricordava esattamente quando, né come. Ricordava che le prime volte sua madre la accompagnava fin dentro la stanza dove si teneva la lezione, le stringeva la mano e le dava buffetti sulla testa, poi la incitava ad andare da sé verso Madame.
Madame.

Ava ricordava l'intenso odore di erbe, pungente e fresco che proveniva da quella figura alta e magra, ma ricordava anche la sua freddezza, la sua severità, come fosse solida come una montagna.

Madame che la bacchettava ogni volta che poteva e che l'aveva trasformata in una delle ballerine più famose del Di Sopra.

La Prima Ballerina di Rasenstracht.

Quando aveva varcato per la prima volta le soglie di quel teatro, non si sarebbe mai immaginata che un giorno avrebbe ottenuto quel titolo. Non ci aveva nemmeno sperato, ma Madame aveva avuto altri piani per lei.

Ava si guardava attraverso lo specchio senza vedersi. Fissava il vuoto e lisciava il costume giallo canarino inconsciamente, come se non riuscisse a capacitarsi di averlo addosso. Era il giorno del suo debutto da Prima Ballerina e ormai mancavano pochi minuti prima che il sipario si alzasse, ma Ava non riusciva a muoversi. Ci sarebbero stati tutti, dai ricchi ai nobili fino al Governatore e ai suoi funzionari. Aveva già ballato di fronte a una simile folla, ma sempre come personaggio secondario, mentre ora un brivido la percorse tutta e le budella le si intrecciarono nello stomaco. Era stata nominata Prima Ballerina di Rasenstracht. Ancora non le pareva vero.

Quella mattina, nell'appartamento familiare nelle periferie di Rasenstracht, Cameron si era svegliato presto e le aveva preparato il caffè. Quando era spuntata dalla propria stanza con una faccia che dava a pensare che avesse appena visto un fantasma, l'aveva guardata un po'. "Ricordi quando eravamo piccoli e giocavamo con i Frey e gli altri?"

Ava aveva detto che se lo ricordava. Con gli altri bambini del vicinato giocavano a calcio e ad acchiapparella per le strade, tra una macchina e l'altra.

"Eri una bambina terribile," continuò Cameron. "Non stavi un attimo ferma e quando correvi non ti prendeva nessuno. Eri la più piccola, ma non si notava."

"Mi rimproveravi sempre." Ava nascose il sorriso con la tazza di caffè. "Dicevi che una signorina per bene avrebbe dovuto giocare con le bambole, non a rincorrersi."

"E tu ti sforzavi per un po', ma poi te ne dimenticavi e tornavi a giocare e urlare."

"Ho combinato certi casini nel negozio della mamma..." da piccola andava spesso all'erboristeria della madre, quando ancora non andava a scuola e il nonno non poteva—o voleva— tenerla; era un luogo piccolo o forse le pareti tappezzate di boccette e piante dava quell'idea, come se gli scaffali fossero pronti a crollare. Appena entrati si veniva investiti da un profumo intenso. Per alcuni era troppo forte, ma per Ava era similitudine di casa.

"Ed è per questo che ti ha mandata a Teatro a imparare danza classica."

Ava rise. "Tu dici che l'ha fatto per raddrizzarmi?"

"Be' guarda come tieni la schiena dritta ora."

Ava bevve un sorso di caffè mentre viaggiava nei ricordi. "All'inizio detestavo andarci."

"Me lo ricordo. Non facevi che piangere prima di ogni allenamento, ma poi la mamma ti trascinava lì con la forza."

"Mi ritrovavo certi segni sulle braccia..." si portò una mano alla pelle morbida e liscia dell'avambraccio, come se temesse di ritrovare quei segni a mezzaluna.
"Poi però sei cambiata."

"Tu dici?"

Cameron spalancò gli occhi come a dire:«Stai scherzando?» Poi continuò: "Non ti riconoscevo più. Mi chiedevo cosa avesse fatto Madame alla mia sorellina scapestrata che non voleva sentire nemmeno parlare di gonne e tutù."

Ora Ava si era seduta di fronte al fratello e lo osservava divertita, senza più quell'ansia addosso che l'aveva svegliata.

"E poi non ti vedevo più. Prima a scuola e poi subito a Teatro."

"Sì, è vero," mormorò lei, "A un certo punto me ne sono completamente innamorata." Ma ricordava anche di un periodo in cui era datata tentata di lasciare.

A quel tempo non se la passavano bene economicamente. Il solo lavoro della madre all'erboristeria non bastava per mantenere se stessa, il nonno di Ava e i due bambini. Cameron aveva iniziato a lavorare dopo il secondo anno di medie e nonostante le proteste della madre, fu irremovibile, forse perché si sentiva in dovere di aiutare in quanto non fratello biologico di Ava, ma solo il povero orfano dei vicini di casa che la madre di Ava aveva voluto accogliere. Una volta cresciuta anche lei aveva voluto imitarlo e abbandonare il balletto, ma Cameron e la madre avevano insistito perché continuasse, chissà perché. Nonostante si sentisse in colpa, ne era sollevata. Era arrivata al punto di non potersi immaginare senza il balletto.

Poi Madame l'aveva chiamata in disparte, le aveva detto che l'attuale Prima Ballerina si era ritirata e che il posto era suo. Come al solito, senza variare il tono, senza sorridere, guardandola dritta negli occhi come a sfidarla a reagire in maniera esagerata. Per lei ogni cosa seguiva naturale quella prima, non c'era bisogno di esprimere sorpresa. Come se lei sapesse qual' era il punto di arrivo.

In quel vestito giallo canarino Ava si sentiva bellissima, ritoccava un ciuffo di qua, un ciuffo di là, sistemava i merletti, il tamburello con i sonagli che avrebbe usato nel solo. Prese dei grandi respiri e si avviò verso il palcoscenico.

Solo quando si trovò lì, ad osservare il sipario che si apriva, si rese conto che era tutto vero, che era felice, anche se un po' nauseata dall'ansia, che aveva raggiunto il suo obiettivo e che da quel giorno la sua vita sarebbe stata radiosa.

Un sogno diventato realtà.

Dalle CeneriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora