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Due anni, sette mesi e venti giorni prima dell'esecuzione

Era passata più di una settimana da quando erano stati salvati dal Comandante Athelstan e ora più che mai Ava capiva quanto sarebbero state inutili quelle due settimane di pausa. Elijah aveva ragione, come al solito, e ormai lei non ne era più nemmeno sorpresa, si limitava a seguirlo, perché ogni cosa che faceva, la faceva per il loro bene.
Dobbiamo sopravvivere, le aveva detto. E Ava sapeva che lui avrebbe fatto qualsiasi cosa per far sì che ciò avvenisse. Sarebbero sopravvissuti, sarebbero tornati a Rasenstracht e lì, forse, avrebbero invece vissuto.
Per ora, però, non potevano permettersi di guardare troppo in là.
Ava si era concessa un paio di giorni per guarire dalla stanchezza e dai dolori, per mangiare e rimettersi in forze, un po' vergognandosi ogni volta che Elijah, che aveva sofferto le sue stesse pene, si alzava la mattina per andare ad allenarsi e lavorare con gli altri, tornava la sera, stanco, ma nonostante tutto riusciva a riservarle un sorriso e una carezza.
Era stato quel tocco dolce e familiare a spronarla, perciò non appena si credette in grado di prendere in mano una pistola, quando una mattina lo sentì alzarsi piano, per non svegliarla, lei gli andò dietro.
Elijah non le disse nulla. La osservò un attimo, forse per assicurarsi che avesse preso abbastanza peso e se non sarebbe stramazzata al suolo dopo poco e non rilevando alcun problema, fece un piccolo cenno, si infilarono nelle divise e uscirono.

Da lì iniziò tutto. Ava lo vedeva. Ad ogni sparo, ad ogni bersaglio colpito, ad ogni grammo di forze ripreso, vedeva assottigliarsi negli occhi di Elijah, come un riflesso della sua mente, un piano, qualcosa di torbido e agitato qualcosa che, datogli il suo tempo, avrebbe preso una forma e grande. Se terrificante o maestosa era tutto da vedere.

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