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Due anni, sette mesi e ventinove giorni prima dell'esecuzione

Al quattordicesimo giorno, la fine della seconda settimana di prigionia, Ava non riuscì nemmeno a mettersi in piedi.
La trascinarono nella stanza di peso, senza curarsi molto delle sue condizioni né del fatto che quella volta l'avrebbero ammazzata. Non che gli importasse.
L'incubo ricominciò tutto da capo. Il dolore, il sudore, la saliva, gli ansimi e le risate.
Ava guardava il soffitto. Le sembrava sempre più lontano, come se stesse affondando, giorno dopo giorno, sempre più giù in una vasca che non aveva fondo, sassi in tasca, senza la forza di risalire. La superficie si faceva più lontana.
Poi venne rilasciata.
Le mani, come ventose e lunghi e viscidi tentacoli, si staccarono di colpo dal suo corpo.
Stava succedendo qualcosa.
Sentì gli spari, sentì le urla, ma non riuscì a reagire.
Non riusciva a muovere un muscolo.
A malapena riusciva a respirare.
Chiuse gli occhi, godendo del freddo sulla sua pelle.
Riaprirli fu faticoso, ma quando finalmente le palpebre si sollevarono, i suoi occhi appannati distinsero un volto allungato, un mento appuntito, occhi blu oceano, capelli biondi, lunghi, legati in una coda e poi quelle orecchie. Orecchie a punta.
"È viva."
Sentì qualcosa di caldo e morbido avvolgerla, poi avvertì il pavimento freddo allontanarsi da lei, braccia forti prenderla in braccio.
Infine ripiombò nell'oblio.

Dalle CeneriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora