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Due anni, sette mesi e diciannove giorni prima dell'esecuzione

Ad Athelstan non piaceva torturare. Era una pratica che aveva sempre detestato e che evitava a meno che fosse assolutamente necessaria o se, come fu quella volta, era talmente ripugnato da perdere la freddezza.
Nella tenda dove erano tenuti i prigionieri si trovavano cinque uomini, legati per i polsi ormai escoriati, la bocca piena di sangue e il volto tempestato da lividi. Tre di quegli uomini erano quelli trovati nella stanza della ragazza umana, Ava, gli altri due, quelli del ragazzo perspicace, Elijah. Erano stati gli unici a sopravvivere. Gli unici che, essendo stati colti a guardia abbassata, non avevano avuto l'occasione di ingoiare la capsula di veleno nel loro molare.
"Hanno parlato?" Chiese entrando.
L'elfo che se ne stava occupando, dalla pelle abbronzata e i capelli biondissimi legati in lunghe trecce raccolte in una coda, le nocche rosse per i colpi, fece una smorfia infastidita.
"Non sanno niente," rispose. "Sono solo topi da laboratorio. Inutili."
Athelstan se lo aspettava. Semplici uomini del Di Sotto senza particolare talento fisico o mentale, relegati in una base già condannata ad essere conquistata a fare la guardia ad altri semplici umani del Di Sopra. Certamente, a meno che fossero stati tanto fortunati (o sfortunati) da aver sentito dei bisbigli di corridoio, non avevano presente i grandi piani degli Elfi Oscuri.
"Cosa facciamo, comandante?"
Athelstan si fermò a un passo dagli uomini, li studiò. Tenevano la testa bassa, c'era chi tremava e chi era immobile, come morto, ma il leggero alzarsi e abbassarsi del petto li tradiva.
"Lasciateli qui per tutta la notte. Magari si ricorderanno qualcosa."
"Sissignore."
Così uscirono tutti e presto Athelstan fu sommerso da troppe altre questioni per pensare a loro un altro istante.

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