Due anni, cinque mesi e venti giorni prima dell'esecuzione
Elijah la svegliò scuotendola dolcemente per le spalle. Era l'ennesimo giorno che si addormentava al capezzale di Cameron, ferito, il petto fasciato, monitorato da una strega a ogni ora, assistito dall'infermiera.
Ormai il fratello era fuori pericolo, ma soffriva a causa della febbre e i suoi sintomi sembravano venire riflessi su Ava, il volto stanco, sciupato, le mani tremanti. Elijah odiava vederla ridotta in quel modo. A causa sua.
"Athelstan ci vuole tutti riuniti, ha un annuncio."
Elijah muoveva le dita in modo convulso sui pantaloni, come nel bel mezzo di un velocissimo pezzo di pianoforte; i suoi occhi non si fermavano su nulla per più di due secondi. Era nervoso.
Era stato così da quando Cameron aveva rischiato la vita, da quando era stato chiuso in una tenda e le streghe si erano messe a lavoro su di lui nel tentativo di salvarlo.
Ava era consapevole del fatto che Elijah aveva avuto paura di come sarebbe andato il loro rapporto da lì in avanti e all'inizio non era riuscita a rassicurarlo e dirgli che non era colpa sua, anche se sapeva bene che non lo era, invece era caduta in una sorta di mutismo.
Se Cameron fosse morto—
Il loro rapporto si era un po' perso negli ultimi anni, o forse semplicemente da quando lei aveva conosciuto Elijah, ma prima erano stati tanto uniti da sembrare veri fratello e sorella.
Avevano da sempre vissuto nello stesso palazzo, lui con la zia e lei con la madre e il nonno e qualche volta si erano ritrovati a giocare insieme, con gli altri bambini del quartiere, a pallone o acchiapparella, ma il loro legame non era andato mai più in là di così, finché la zia di Cameron era morta e lui era rimasto solo. La madre di Ava lo aveva accolto come figlio e lei come fratello. Ava aveva sei anni, lui otto.
Per la madre di Ava non era difficile lavorare nonostante una vecchia ferita alla gamba che a causa delle poche cure stava peggiorando di anno in anno e riusciva a sostenere la famiglia al meglio. Era la migliore erborista della città e riusciva a mandare sia Ava che Cameron a scuola e far fare lezioni di ballo alla figlia. Ma nonostante questo Cameron decise di iniziare a lavorare e lavorò duro fin da dieci anni, prima con piccoli lavoretti, poi in fabbrica.
Si era comportato da vero fratello maggiore, era stato un confidente e protettivo nei suoi confronti, l'aveva sgridata per le sue stupidaggini ed era stato orgoglioso di lei vedendola fare carriera nel mondo della danza.
Le aveva comprato lui le sue prime punte, si ricordò. Non gli sarebbe mai stata grata abbastanza.
Ava si alzò, anche se con più fatica di quanto si aspettasse. "Di cosa si tratta?" La faccia che gli fece lui non le piacque affatto. Se Elijah non sapeva cosa stava per accadere, avrebbe potuto essere di tutto e nel più probabile dei casi non erano buone notizie. Si incamminarono in silenzio verso il punto di ritrovo.
Avevano costruito un campo, in quei giorni, finalmente con delle tende a coprirgli la testa e la possibilità di accendere più fuochi.
Arrivati alla tenda di Athelstan, erano tutti lì.
Il comandante parlottava con un elfo dalla pelle abbronzata e sembrava non vedere nemmeno la massa di uomini che gli si era formata tutt'attorno.
"Di... cosa si tratta, Elijah?"
Gavin arrivò senza preavviso, spuntò come un fungo al fianco di Elijah e pose la domanda che tutti si stavano facendo. Molti degli uomini attorno a loro, sia che facessero parte della cricca che no, si misero in ascolto. Ad Ava venne quasi da ridere. Tutti ormai conoscevano Elijah Kohen, tutti ormai lo ritenevano al pari di Athelstan e ogni sua parola era oro colato.
"Non saprei. Devono essere i nuovi ordini dall'alto."
La risposta non rassicurò nessuno.
Finalmente Athelstan si degnò di notarli. Teneva una lettera in mano, il che sembrava dare ragione all'ipotesi di Elijah. Poi iniziò.
"Abbiamo raggiunto un gran risultato, pochi giorni fa," disse, senza mai alzare il tono di voce. "Il Re, che ora combatte sul campo di battaglia principale, ci ringrazia per i nostri sacrifici. Vi leggerò le sue parole." Così aprì la lettera e iniziò a declamare tanti lunghi e incomprensibili termini, tutti sinonimi di grazie, patrioti, veri uomini, valore, coscienza, eccetera.
"Non sembra la lettera di un uomo nel bel mezzo del campo di battaglia principale," le sussurrò all'orecchio Elijah. Ava scrollò le spalle e tornò ad ascoltare quelle frasi piene di incoraggiamenti. Athelstan era un buon lettore, nonostante la sua espressione marmorea, e sembrava credere veramente in ciò che diceva.
"Ora—" con un colpo secco chiuse la lettera. "Avendo pulito questo campo, possiamo spostarci, ma dovremo dividere l'unità." Ava ed Elijah si scambiarono un'occhiata indecisa. "Gli elfi mi seguiranno nel Di Sotto. Tutti quanti. Ora chiamerò gli umani che verranno con me." Prese un altro foglio, una ventina di nomi scritti su di esso e iniziò a chiamare ad uno ad uno gli uomini, senza mai alzare lo sguardo.
Nessuno era del gruppo di Elijah. Eppure ad Ava dispiacque non poter più servire sotto il comando di Athelstan. Non aveva incontrato molti elfi nella sua vita, ma lui le sembrava il... meno peggio di questi.
"Elijah Kohen."
L'ultimo, la goccia che infranse tutte le loro speranze.
Ava attese che anche il suo nome venisse pronunciato, ma Athelstan aveva già messo via il foglio ed era passato a dare indicazioni per coloro che sarebbero rimasti lì.
"Ascolta," le disse Elijah. Ava cercò il suo sguardo, ma lui teneva gli occhi fissi sul comandante e ascoltava con attenzione, o forse fingeva e basta.
Ava tentò di imitarlo, ma le venne impossibile. Gli occhi le bruciavano ed era consapevole che le orecchie e le guance fossero in fiamme. Come aveva potuto Athelstan far loro questo? Che fosse stato un caso o che l'avesse fatto apposta?
"Ava."
Si riscosse. Gli altri se ne stavano andando. Athelstan aveva concluso e aveva dimesso tutti e ora era tornato ai suoi affari. Solo Ava era rimasta ferma.
Elijah le stringeva un braccio.
"Va bene così."
"Non va bene affatto," sibilò di contro Ava. "Come puoi dire che va bene?" Una rabbia indomita crebbe improvvisa nel suo petto. "Tutto quello che hai costruito qui, i legami che hai creato, il gruppo—verrà tutto spazzato via senza di te, lo capisci?"
Elijah però, non vacillava, i suoi occhi erano più fermi che mai.
"Ora devo andare a prendere le mie cose. Ho un'ora."
"Solo—un'ora?"
Un'ora. Poteva essere l'ultima.
"Aspetta—" afferrò la manica della sua uniforme. Elijah si fermò, ma non si voltò. "Non può star accadendo..." mormorò la ragazza, il cuore pesante, il respiro affannato, la mente occupata da troppi pensieri, troppo veloci.
Mentre con una mano stringeva ancora il lembo della manica di Elijah, l'altra corse al cuore, percosso da una forte fitta di dolore. Fu solo quando le gambe le cedettero che Elijah si voltò e la sorresse.
"Calmati, Aev. Stai avendo un attacco di panico." Ava scuoteva la testa, gli occhi chiusi, la mandibola serrata, come se stesse cercando di scacciare un brutto sogno. "Avanti, vieni qua." Con movimenti precisi e studiati, Elijah impresse una certa dose di pressione sulla sua schiena.
Un attacco di panico. Ne avevano visti tanti in quei mesi di guerra, così tanti da perderne il conto. Si aggrappò al petto di Elijah, cercando di calmare il respiro, di ascoltare il suo, di concentrarsi sul movimento circolare del suo palmo caldo sulla schiena, del suo mento tra i capelli.
"Aev," mormorò Elijah dopo un po', "non perderemo nulla. Ne usciremo più forti."
"Potremmo non rivederci mai più—"
"Non dire così."
"Però—"
"Però niente. Voglio vederti ballare sul palco del teatro di Peack, un giorno. Capito?"
Ava tirò su col naso. "Non so se potrò tornare a ballare, dopo tutto questo."
"Certo che sì. Tu sei la migliore."
"Lo dici solo perché sono tua amica."
"Nient'affatto."
Ava si lasciò inebriare dal suo odore. "Non ci credo che sta succedendo veramente."
Non ricevette risposta e per un lungo tempo rimasero lì, nel bel mezzo del campo, abbracciati. "Devo andare a preparare le cose, Aev." Così, di colpo Elijah si staccò da lei e se ne andò lasciandole una sensazione di freddo che sapeva sarebbe stato incolmabile.Athelstan stava a sua volta preparando le sue cose quando avvertì la presenza di qualcuno nella sua tenda.
L'istinto gli disse di afferrare la pistola al suo fianco, ma quando riconobbe il forte odore caldo e travolgente di Ava Keegan le sue dita si rilassarono. Sapeva che sarebbe venuta.
"Keegan. Qualcosa non va?"
"Scusi l'intrusione, comandante."
Athelstan si voltò. La ragazzina era rimasta sulla soglia, le mani dietro la schiena, il mento alto. "Non fa nulla. Sono solo rimasto un po' sorpreso."
"Quindi anche voi elfi vi sorprendete, ogni tanto?"
La schiettezza e la voce tagliente lo zittirono un attimo e sì, lo sorpresero molto. "Ogni tanto." La osservò attentamente. Aveva le guance e le orecchie rosse, gli occhi lucidi e, ora che la guardava bene, stava tremando. Ma non dal freddo o dalla paura. Dalla rabbia. "Suppongo tu sia qui per Kohen."
La ragazza fremette al solo sentire il suo nome.
"Lui non sa che sono qui."
Athelstan se lo aspettava. "Quindi sei qui di testa tua... hai un bel coraggio." Non avrebbe potuto nascondere l'ammirazione che provava per quella ragazzina a nessuno. Era davvero speciale, questo glielo concedeva. Forse era per quella sua audacia nascosta che Elijah Kohen l'aveva presa tanto a cuore.
"Sono qui per chiederle il perché. Perché ha preso Elijah?"
Perché non anche me, era la domanda mai posta.
Athelstan prese un lungo respiro e appoggiò i palmi alla scrivania dietro di lui, lasciando su di essa il suo peso.
"Sai perché gli elfi sono la razza dominante di queso pianeta?"
Ava sbatté le palpebre un paio di volte, confusa, prima di rispondere con incertezza. "L'immortalità?"
"No," Athelstan scosse la testa con amarezza. "È difficile sconfiggerci perché non abbiamo molto a cui aggrapparci. I nostri sentimenti sono come... appannati, ovattati. Per la vittoria, facciamo quello che dobbiamo fare. Pensiamo al popolo prima che a noi stessi."
"E cosa c'entra Elijah con tutto questo?"
"Kohen ha potenziale. Un potenziale che non avevo mai visto in un umano. Ma si sta dissipando, perde tutta la sua effettività... per colpa tua. Tu sei ciò che lo rende troppo umano per ottenere il potere."
E Athelstan, inaspettatamente, vide consapevolezza negli occhi della ragazza, come se lei già lo sapesse, come se lui le stesse solo confermando un brutto sospetto.
"Per questo lo vuole allontanare da me?"
"All'inizio pensavo di portarvi entrambi," ammise. "Anche tu sei un' umana curiosa, Ava Keegan, e volevo insegnare anche a te, ma dopo ho capito che vi sareste ostacolati a vicenda e poi il tuo amico si è ferito. Non lo avresti lasciato qui con quella brutta ferita, no?"
"Probabilmente non ci aveva nemmeno pensato e lo ha detto adesso solo per farmi credere che mi ha fatto un favore."
"Probabilmente."
Ava deglutì e ponderò bene le prossime parole. "Quindi la sua intenzione è di rendere Elijah... meno umano?"
"Di renderlo ciò che è destinato a diventare. Potente. È quello il suo destino."
"Non sarà però mai uno di voi."
"Il sangue non si può cambiare, purtroppo. Un umano rimarrà sempre un umano e non potrà mai ricoprire il ruolo di un elfo."
Dure parole, dura verità. Ava stringeva i pugni dietro la schiena tanto da tremare.
Athelstan non riusciva a vedere i suoi occhi, ma inconsciamente portò indietro le spalle e trattenne il respiro, si bloccò inquieto, come era successo mesi prima, al falò.
"Ho paura, comandante," disse la ragazza, piano, scandendo ogni parola, mentre il vuoto nel petto di Athelstan si allargava, "che lei si pentirà di questa scelta."
L'elfo tentò di scrollarsi di dosso quella sensazione. "Mi succede raramente."
Rimasero in silenzio per un lungo tempo, come colpiti da un incantesimo, poi Ava, si mise sugli attenti.
"Addio, comandante."
"Addio, Ava Keegan."
E guardandola andare, con una pesantezza sul petto mai provata prima, Athelstan si domandò che fine avrebbe fatto e se mai l'avrebbe incontrata di nuovo.
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Dalle Ceneri
خيال (فانتازيا)Ava Keegan era la ballerina più promettente del Di Sopra. Elijah Kohen era un aristocratico che si dilettava come attore nel tempo libero. I loro futuri erano rosei, le prospettive serene. Dal loro incontro casuale nacque un'amicizia spontanea e nel...