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Due anni, cinque mesi e trentuno giorni prima dell'esecuzione

Quel piano assurdo e spericolato aveva funzionato. Athelstan ancora faticava a crederci.
Da lontano, incredulo, osservava come il fuoco si sollevava inestinguibile dalla trincea nemica, come mani si sporgevano da essa e urla si alzavano disperate. Ordinò di sparare a qualunque cosa si muovesse da quella bocca infernale e gli uomini si riversarono con i loro fucili, allegri all'idea del massacro. Le retrovie della trincea nemica erano in subbuglio. Inviò gli elfi a uccidere e fare prigionieri chiunque potessero, ma non rischiare troppo. Se qualche formica sfuggiva, non importava.
Elijah Kohen, aveva invece gli occhi altrove, oltre gli uomini, oltre gli aloni di fumo dei fuochi d'artificio sparati. Cercava lei.
Anche Athelstan la cercava. E andava oltre la sua comprensione ciò che stava accadendo dentro di lui, ma la saliva si accumulava più velocemente del solito e il petto gli faceva male. Che fosse morta? Sentì qualcosa di pensante nello stomaco. Cercò di scacciare la sensazione ma non ci riuscì. Era davvero preoccupato per quella ragazzina? Si chiese se Kohen provasse le stesse sensazioni. Forse, si disse, stare con quei due umani per tanto tempo lo aveva influenzato, forse gli avevano trasmesso un poco della loro umanità.
Che fosse morta? Si chiese di nuovo. Il fuoco era alto, le grida strazianti. Una nuova sensazione: il sangue ribolliva nelle sue vene, gli saliva alla testa. Quella era rabbia. Per cosa? Contro chi? Si guardò attorno e i suoi occhi puntarono sul ragazzo umano di fronte a sé. Se Ava fosse morta, sarebbe stata tutta colpa del suo orgoglio. Lei sarebbe morta per la vittoria di una stupida battaglia che non avrebbe cambiato le carte della guerra minimamente; sarebbe morta a segnare il primo passo verso il potere di Elijah Kohen.
"Kohen." Lo chiamò più per la curiosità di vedere la sua espressione che per dirgli qualcosa di specifico. E quando si voltò, non rimase deluso. Il suo volto pullulava di umanità. Tra le sopracciglia si erano create delle piccole fossette, le labbra erano strette, come se si stesse trattenendo dal dire qualcosa di tagliente, gli occhi erano preoccupati e non vedevano il comandante, cercavano solo la ragazza. "Tieni molto a lei," osservò.
Elijah assottigliò gli occhi, come alla ricerca del trucchetto. "Certo che sì," disse a denti stretti, ma Athelstan sospettava che se gli avesse chiesto il perché lui non avrebbe saputo rispondere. Che cosa di quella ragazzina dai capelli rossi attirava a Elijah Kohen? Il comandante avrebbe tanto voluto scoprirlo, ma forse non ne avrebbe avuto più l'occasione.
"Devo andare." E il ragazzo girò i tacchi.
"Kohen." Lo chiamò di nuovo. Qualcosa aveva catturato la sua attenzione. Il suo cuore fece un salto che lo colse tanto alla sprovvista da far scattare la mano al petto. I suoi occhi rimasero fissi su quella figura lontana, scura, che appariva e scompariva dietro il fumo e le fiamme. Eppure ne era certo, non sapeva come, ma era certo di vedere una nuvola di capelli rossi che ondeggiava a destra e a sinistra e si trascinava dietro la piccola figura che li portava. Ava Keegan.
La indicò, lentamente, come se lui stesso non credesse ai propri occhi. Elijah seguì il suo dito fino a incontrare la figura della ragazza, traballante. Camminava a zigzag come se fosse ubriaca, a piedi scalzi e con una giacca troppo grande sopra i resti dell'uniforme bruciata.
Era dalla parte opposta della trincea e camminava verso il muro di fuoco che la separava dall'esercito, da Elijah, ma il suo sguardo era fisso su qualcos'altro.
Elijah lo notò solo allora.
Cameron era inginocchiato su se stesso, una mano premuta contro il petto.
Imprecò in un respiro e si diresse veloce verso di lui, chiamando un medico.
Ava non si fece impressionare dal fuoco.
Athelstan la osservò con attenzione quando prese la rincorsa e volò oltre le fiamme, i piedi scalzi a scalfire le lingue ardenti. Non batté ciglio. La sua attenzione era unicamente per il ragazzo inginocchiato di fronte alla trincea, illuminato unicamente dalle fiamme che ne provenivano.
L'elfo, senza accorgersene, si lasciò trasportare più vicino, più vicino dove poteva osservare gli occhi blu della ragazza riempirsi di lacrime e il suo mento tremare e le labbra stringersi mentre si inginocchiava davanti al fratello e lo prendeva dalle spalle. Come un eco lontano, lui stesso sentì quel dolore.
Lo chiamò. Athelstan non sentì esattamente il suono delle parole, sovrastate dalle urla eccitate degli uomini per la vittoria, ignari di ciò che stava accadendo, ma lesse il movimento disperato delle labbra.
Si avvicinò ancora.
Elijah accorse. Aveva trovato un medico e un' infermiera.
"Cam," chiamava Ava. Ora singhiozzava, stringeva al petto la testa bionda del ragazzo, l'accarezzava e lasciava che le lacrime solcassero le guance sporche di terra e fuliggine. Continuava a chiamarlo.
E allora Athelstan spostò la propria attenzione su Elijah. I suoi occhi erano grandi dal terrore. Non lo aveva mai visto ridotto così, non aveva mai visto un'emozione tanto forte sul suo volto. Ed eccolo, il lato umano di Elijah Kohen: Ava Keegan. Che cosa stava provando? Che fosse terrorizzato al pensiero di aver tolto la vita al prezioso amico della ragazza? Che avesse paura che lei lo odiasse?
Con questi pensieri Athelstan osservò come Elijah e il medico trasportarono via il ragazzo ferito, Ava e l'infermiera al seguito e solo dopo che erano ormai arrivati alla loro trincea si accorse che gli uomini erano sprofondati nel silenzio.
Tutti, dal primo all'ultimo, avevano il fiato sospeso, il pugno al petto in rispetto ai due che avevano dato loro la possibilità di vivere un altro giorno.
Che esseri curiosi, gli umani.

Dalle CeneriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora