Capitolo 3

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CAPITOLO TRE

Lo vidi appena entrata nell'aula, esattamente il primo giorno di lezione, eravamo tanti, almeno quattrocento persone, forse di più, io stavo chiacchierando con alcuni studenti che, come me, non erano riusciti a trovare posto nelle file più basse, quando, alla base della gradinata incrociò il mio sguardo, era lui, un ragazzo con un paio di stivali da cowboy, giubbotto di pelle marrone ed un casco in mano, si era alzato per trovare una posizione migliore e per un brevissimo istante i nostri occhi si sono incrociati. Probabilmente lui neanche si era accorto di me, io invece si, eccome, fu come un lampo di luce, e poi lo vidi rigirarsi e voltarmi le spalle, e sistemarsi i suoi capelli lunghi biondi. Decisi che dovevo conoscerlo, e quando io mi metto in testa qualcosa, niente me la toglie.

Il liceo per me era stato piuttosto facile, ero una ragazza, in una classe con una grande maggioranza di maschi, adolescenti e testosteronici, avevo avuto buon gioco con molti di loro ed ero riuscita ad avere un piccolo stuolo di cavalier serventi che, in attesa di una mia gentilezza erano praticamente a mia disposizione: c'era chi mi portava tutte le mattine la pizzetta calda del salumiere, chi mi portava il vocabolario di latino, chi ancora mi regalava penne e matite e poi c'era il più disperato, Marrazzo, che mi aspettava davanti alla scuola al ritorno dalle vacanze estive con un quaderno nuovo, nel quale erano stati svolti tutti i compiti assegnati, con la mia grafia perfettamente imitata. Ovviamente nessuno di loro ha mai ricevuto un bacio o un appuntamento, bastava un sorriso ed un grazie sospirato un po' per farli sciogliere ai miei piedi, e dar loro la speranza. Non fu così con lui, che per quanto mi sforzassi di farmi notare, non mi vedeva, non mi guardava, non mi rivolgeva nemmeno la parola. Non che io mi disperassi per questo, avevo tanti amici con cui uscire e non ero certo il tipo che sbavava appresso ad un ragazzo, ma, sotto sotto, il mio amor proprio di donna certamente non ne era contento, qualcosa andava fatto. Con calma, a suo tempo, ma mi avrebbe notato.

L'occasione sarebbe arrivata prima o poi, sarebbe bastato tenere d'occhio la preda, cosa che però sembrava più difficile del previsto, perché si contornava di ragazze, che gli facevano le fusa come gattine, lui si muoveva con sicurezza tra i banchi, e si rivolgeva a loro con espressione un po' saccente, sempre con un quaderno in mano, pronto a prendere appunti che gli sarebbero stati utili per lo studio. Gongolava con aria distratta quando quelle sciacquette lo adulavano, ma era un uomo, e come tutti sicuramente amava due cose, culi e tette. Sul primo ero ben fornita, grazie al pattinaggio ed alla pallavolo, le seconde mi creavano qualche problema, io sono sempre stata una ragazza atletica con un corpo ben definito, con muscoli, ma senza un filo di grasso, nemmeno dove avrei voluto. Questo mi fece pensare un po', anche perché sarà stato un caso, ma tutte le ragazza che gli stavano intorno, erano piuttosto abbondanti, che gli piacessero le tettone?

Decisi che non sarei rimasta in attesa di un suo cenno, mi sarei divertita durante quegli anni. Certo, stavo ancora insieme al mio fidanzato storico Gianni, che avevo conosciuto alle scuole medie, ma di lì a poco ci saremmo lasciati, avendo chiaro che ormai il nostro era praticamente un rapporto tra fratelli, ci volevamo bene, ma nulla più. Avrei finalmente potuto scoprire il mondo da vicino.

E così è stato, il gruppo dei ragazzi del loggione era certamente meno volenteroso di quelli delle prime file, ma nettamente più vivace, amavano uscire la sera, le gite in moto, le partite allo stadio, e la discoteca. Oh si quante notti ho passato nelle discoteche della città e dei dintorni non saprei, e che nomi altisonanti avevano: Le Dune, Virgilio, My Way; mi piaceva ballare, e sudare senza pensare a niente, peccato che non reggessi troppo bene l'alcol, o meglio, non lo reggessi come un uomo alcolizzato, in genere se superavo il terzo cocktail finivo la mia serata nei bagni della discoteca e poi venivo trasportata di peso a casa da qualcuno più o meno sconosciuto. Per fortuna nessuno ha mai abusato di me in quei frangenti, o comunque non me ne sono mai accorta. Certo i cocktail che andavano in quel periodo erano fatti proprio per colpire in testa, ancora mi ricordo dell'Angelo Azzurro o del Laguna Blu, non ho mai capito se fossero lo stesso intruglio, ma sicuramente erano belli forti entrambi. Per non parlare del peggiore di tutti, il Quattro Bianchi, che non aveva alcun sapore, ma era una bomba: Tequila, Gin, Vodka, e Rum bianco, creato secondo me soltanto per liquefare il cervello. Mi divertivo, lo ammetto, ballavo, sempre in gruppo, con tutti gli amici, ma lui non è mai venuto in una discoteca, non l'ho mai incontrato, chissà cosa faceva e a cosa era interessato. Eppure ho girato diversi locali, ma lui non c'era mai, dovevo sempre aspettare il lunedì per incontrarlo in aula, con quel suo giubbotto di pelle e gli stivali. Mi piaceva immaginarlo in piedi, dopo che avesse appena legato il suo cavallo li dove noi tenevamo i nostri motorini vecchi ed arrugginiti.

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