CAPITOLO NOVE
Alla fine andai a casa di Diego, per studiare, aveva insistito così tanto che dovetti accettare, soprattutto dopo la gentilezza degli occhiali nuovi. Certo, doveva essere un ragazzo piuttosto preciso, ordinato e organizzato, era la prima volta che vedevo casa sua e soprattutto la sua stanza. Non la potrò mai dimenticare. Sembrava più uno studio medico che una camera di un ragazzo, pulita, funzionale, con un tavolo di vetro satinato, sgombro da carte o libri, un cestino, vuoto, un letto perfettamente rifatto, una mensola sopra al letto con una sveglia, uno stereo ed una piccola enciclopedia medica. Ma il pezzo forte era l'armadio, che casualmente aveva aperto per rimettere a posto il maglione che aveva addosso, all'improvviso mi era sembrato di essere appena entrata da Harmont & Blaine: una successione di pullover monomarca, imbustati singolarmente nella confezione originale, giaceva minacciosa sulle mensole, i maglioni erano divisi per colore, tinta unita o fantasia. Dovevano essere trenta, forse quaranta della stessa identica fattura che si distinguevano solo per una minima gradazione di colore. Mi ricordava le scatole di pastelli che mi comprava mio padre da piccola, ogni volta io le aprivo e vedevo tutti i colori in perfetto ordine passare dal bianco, al giallo, poi all'arancio ed al rosso, fino a diventare blu e poi verdi chiudendo col marrone e poi il nero, io li accarezzavo, li facevo rotolare sul loro asse e poi all'improvviso la mia mano si abbatteva su di loro facendoli cadere e terra e rovinando irrimediabilmente quel bell'arcobaleno. Ecco, in quel momento davanti a quell'armadio, mi venne l'irrefrenabile desiderio di tirare tutti i maglioni fuori dalle buste, e lanciarli per quella stanza perfetta e gelida. Ma commentai semplicemente: "Sei un tipo ordinato..". Lui che sapeva di vivere una situazione un po' anomala mi confessò: "Si...Abbastanza, ma questa non è opera mia, è di mia sorella!". Non ci potevo credere, non aveva mica otto anni, perché la sorella doveva mettere in ordine la sua stanza? Perciò gli chiesi: " Scusa, ma se non ti va, perché glielo fai fare?", nel momento che lui terminò la frase, la porta della sua stanza si aprì all'improvviso, e si parò davanti a noi una figura magrolina, con un viso spigoloso e pallido, ma con un'espressione feroce, un lampo di sorpresa arrestò per un'istante la sua furia, probabilmente non si aspettava una sconosciuta in casa, ma poi, con sguardo sprezzante, mi squadrò da capo a piedi e chiese guardando alla mia destra: "Chi ha camminato per casa con le scarpe sporche?". La domanda era ovviamente retorica, perché Diego all'ingresso si era già prontamente cambiato ed aveva indossato una sorta di babbucce casalinghe, io invece avevo due begli stivali neri di cui andavo oltremodo fiera. Senza aspettare risposta, la porta si richiuse con la stessa violenza con cui si era aperta e l'immagine di quella strana ragazza sparì lasciando dietro di se un'aura di odore di candeggina. Noi ci guardammo, lui alzò le spalle come ad indicarmi che era abituato a quelle scenate, io però non ero il tipo da lasciarmi passare certe cose sotto al naso e gli dissi: "Ma stava scherzando?", lui scosse la testa con espressione rassegnata e mi rispose sospirando: "Quella è mia sorella, come avrai capito è un'ossessiva della pulizia e dell'ordine.."
"Ho capito, manco fossimo entrati con gli stivali pieni di fango..."
"No, non ti preoccupare, lei avrà visto una pietruzza microscopica, quando è andata a controlla..."
"A controllare? Cioè fammi capire, lei entra in casa e controlla se qualcuno ha camminato con le scarpe da fuori?". Lui assentì con una certa amarezza.
"E come fa?", ripresi io.
"Semplice, si mette un paio di calzini bianchi e cammina strisciando per la stanza, se restano bianchi è contenta, se no...sono guai!". E' completamente pazza, pensai, ma ovviamente cercai di apparire gentile e non dissi nulla al riguardo, mi tolsi in silenzio i miei stivali, glieli consegnai e dissi: "Bene, immagino che avrai delle ciabatte per gli ospiti, data la situazione!". Lui si illuminò, contento di aver superato l'imbarazzo: "Certo, come le vuoi, blu, blu chiaro, verde o marroni?". Quella scena avrebbe dovuto farmi riflettere, ma ci passai sopra, e non me ne andai come avrei dovuto, gli dissi semplicemente: "Scegli tu, per me una vale l'altra!". Tanto in fondo non era mia sorella, io avrei studiato lì qualche ora e poi sarei tornata a casa mia. L'immagine che ebbi subito di quel ragazzo in casa sua era di un individuo privo di libertà, costretto a rituali strani a causa di una sorella ossessionata dalla pulizia, certo, c'era anche un lato positivo, la stragrande maggioranza delle camerette dei miei amici era un agglomerato informe di cianfrusaglie, cibi e vestiti abbandonati a marcire, e tipicamente il profumo che veniva fuori da quei tuguri era un misto di sudore umano e puzza di cane bagnato, invece in quella stanza, si spandeva un aroma di fiori che sembrava provenire da un angolo sopra all'armadio. Almeno in quella camera non avrei rischiato di prendermi il tetano. Comunque gli incontri della giornata non erano finiti, dopo cinque minuti che avevamo aperto i libri, la porta si aprì di nuovo, senza una preventiva bussata e stavolta vidi una matrona, alta e ben piazzata che con le braccia ai fianchi ci apostrofò: "Bene, viene una tua amica e non ce la presenti nemmeno?", non gli dette il tempo di rispondere che continuò rivolgendosi a me: "Non fa niente, io sono la madre di Diego, tanto piacere, mi scuso se mio figlio è stato così scostumato, in casa nostra l'educazione è molto importante...tu dici parolacce?". Io ero interdetta ed ebbi il tempo di rispondere soltanto: "Come scusi?", per fortuna Diego mi venne in soccorso intervenendo rapidamente: "Non mamma non ne dice, comunque non te l'ho presentata perché non c'eri, sei arrivata adesso!". Lei gli voltò le spalle, e concluse: "Irrilevante, avresti dovuto venire a salutarmi immediatamente, ma pazienza ormai la madre non esiste più esistono solo le ragazze.... e quante ragazze!". Poi si girò di nuovo verso di me ed annunciò: "Tra dieci minuti c'è la merenda, andatevi a lavare le mani!". E la porta sbattette di nuovo. Il silenzio calò fra di noi.
"In che senso tra dieci minuti c'è la merenda? E' un appuntamento fisso?" timidamente chiesi.
"Si, mia madre dice che alle cinque si deve fare uno spuntino perché gli zuccheri al cervello aiutano a concentrarmi nello studio."
"Giusto!", conclusi io alzandomi dalla sedia con un certo disappunto e richiudendo il libro che avevo appena aperto, "Allora, andiamoci a lavare le mani, non vorremo certo fare tardi...dov'è il bagno?"
"Appena esci sulla sinistra, è la prima porta."
"Devo seguire una regola particolare per usare il bagno o posso fare come mi pare?", gli chiesi uscendo quasi per prenderlo in giro, ma lui mi rispose seriamente: "No, tu sei femmina, non ci sono problemi.", mi fermai all'istante e lo fissai come si guarda un alieno, e dopo alcuni secondi di silenzio, mimando una voce metallica gli dissi: "Dimmi, cosa succede ad un maschio? Lo costringono a stare seduto sul gabinetto per fare pipì, per non sporcare la tavoletta?". Lui restò di stucco, come colpito nel vivo, non sapeva se credere alle sue orecchie. Cominciò a balbettare ed a guardarsi intorno cercando una via di uscita.
Alla fine ebbe il coraggio di parlare: "Chi te lo ha detto?".
"Che cosa?"
"Questo!"
"Questo cosa?"
"Dai, non fare finta di non avere capito...il fatto del gabinetto...". Lui si vergognava infinitamente, solo allora mi resi conto che la mia battuta era la triste realtà, in quella casa vigeva un regime vero e proprio, nel quale le regole erano fissate dalle donne, e gli uomini si attenevano senza fiatare. Già mi vedevo il povero Diego costretto ad abbassarsi i pantaloni e sedersi come una femminuccia. Non volevo ferirlo deridendo la sua condizione, ma la situazione era quasi comica allora cercai, mentre soffocavo un sorriso di trovare le parole adatte per uscire dall'imbarazzo: "Ah...no, scusa, l'avevo buttata lì, così per dire...ma vabbè, non è poi una tragedia, alla fine, noi lo facciamo da sempre.", poi mi avvicinai e sottovoce aggiunsi: "Ma poi, chi ti controlla nel bagno, tu fai come ti pare e poi dici che sei stato seduto, o no?". Lui alzò lo sguardo verso di me, e con un'amarezza profonda nel tono mi mostrò l'inconsistenza della mia strategia: "Non si può fare, mia sorella controlla la temperatura della tavoletta dopo che uso il bagno...!". Era chiaro, dovevo scappare da quella casa, ma non lo feci, forse perché quel ragazzo gentile e soggiogato dalle donne mi faceva un po' di tenerezza, e forse perché pensai che magari sarebbe stato obbediente anche con me, non so. Comunque interruppi quella imbarazzante conversazione battendo le mani e suggerendogli di mostrarmi quello che doveva essere un vero esempio di pulizia e disinfezione.
Non mi sbagliavo, se la camera di Diego era uno studio medico, il bagno era una sala operatoria. Praticamente ero entrata in un ospedale, o forse per essere più precisa in una clinica psichiatrica.

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Stelle Gemelle
RomanceDue ragazzi. Due anime. Due corpi. Lorenzo e Claudia. Nati l'uno per l'altra. Si conoscono, tra i banchi dell'università, diventano amici. Molto amici. Condividono gioie, amori, emozioni. Lui, studia per compiacere il padre, uomo all'antica, che non...