Capitolo 28

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CAPITOLO VENTOTTO

25 Aprile 2012

E' stata una notte infernale, nella cabina microscopica della nave, con l'aria condizionata a palla che mi seccava la gola ed i rumori del motore. Ma finalmente alla fine è arrivata l'alba, ed al primo raggio di sole, sono uscita sul ponte esterno a vedere la città, incurante dell'aria ancora fresca, mista alla salsedine che si appiccicava sulla pelle; sì, era lì davanti a me, Palermo, addormentata ai piedi di una montagna, sembrava bellissima, sotto la luce obliqua del sole che sorgeva, i palazzi rilucenti d'oro ed il mare calmo blu intenso facevano il resto. Avevo sentito tante storie brutte su questa città, dalle stragi, alla mafia, all'omertà generale, così un brivido mi scuoteva la schiena mentre scendevamo dalla nave, nel mio immaginario stavo andando in una specie di città del far west, pericolosa e degradata. Quanto mi sbagliavo ancora non lo sapevo, ma non sapevo nemmeno che di lì a poco la mia vita sarebbe cambiata per sempre.

Erano le sei e mezzo del mattino, il traghetto da Napoli ormai aveva attraccato e, nonostante lo speaker avesse avvisato di attendere la chiamata ufficiale per lo sbarco, la gente tentava di scendere in maniera più o meno convulsa e disordinata per le scale, come se avesse paura di restare chiusa dentro per sempre. Luca mi guardava quasi divertito, con la solita tranquillità era seduto ad un tavolino del bar per finire di sorseggiare il suo cappuccino mentre la folla cominciava a defluire, io cominciavo a dare segni di irrequietezza, volevo scendere, mi mancava l'aria dopo tutta la notte nella cabina a sentire il suo respiro pesante, e soprattutto volevo iniziare la mia vacanza. Lui mi guardò e mi chiese stupito: "Ehi, cosa c'è? Hai fretta di andare, perché non fai colazione anche tu?", lui certamente non aveva esitato a spendere altri soldi, ma io cercai di mascherare il mio disappunto e provai a calmarmi, gli dissi che il viaggio mi aveva messo sottosopra lo stomaco e che avevo necessità di sgranchirmi le gambe.

Poi, finalmente è venuto il nostro turno e siamo usciti, io mi sono avviata verso la città mentre lui è andato a prendere il suo nuovo scooter nella stiva, quello che era fondamentale per il suo lavoro e che ovviamente stavo pagando io, con rate addebitate sul mio conto corrente. Nonostante non fossero ancora le sette del mattino il sole già picchiava duro, ed illuminava il porto come se fosse mezzogiorno. Sapevo che Lorenzo ci aveva dato appuntamento all'ingresso dell'area portuale, ma io non ero mai stata lì, e mi sentivo un po' spaesata, Luca da gran signore quale era mi ha suggerito di prendere un tassì per arrivare all'appuntamento, io lo ho guardato talmente male che subito ha ritirato la proposta, poi semplicemente ho aggiunto: "Lorenzo sarà qui da qualche parte, se ha detto che sarebbe venuto, lo vedremo! E poi dove lasceresti il tuo scooter?", mentre lui bofonchiava qualcosa a proposito della mia sicurezza ho visto con la coda dell'occhio avvicinarsi dall'altra parte della strada una figura che camminava con passo spedito e un po' ondeggiante, come un cowboy sui suoi stivali appena sceso da cavallo. Ha alzato la mano verso di noi per farsi riconoscere, ma io lo avevo già identificato almeno venti metri prima e lo stavo seguendo con lo sguardo mentre ci raggiungeva. La sua vista ha provocato in me uno strappo, come se un velo, che per anni era depositato sui miei occhi e sul mio cuore, all'improvviso si squarciasse. Più si avvicinava e la sua immagine si faceva più grande e più nitida, più la mia consapevolezza prendeva la forma di un ciclone che mi travolgeva e mi coglieva impreparata, spazzando via tutte le certezze e le convinzioni che mi ero costruita fino a quel momento. Mi sentii nuda, inerme, lui era li davanti a me a pochi passi ormai, non ci vedevamo da anni, ma a me sembrava essere passato un solo giorno da quando ci eravamo salutati, nulla era cambiato, il tempo era svanito, ed io mi sentivo come se fossi sempre stata lì, come se intorno a noi non ci fosse nessuno, non ci fosse Luca, non ci fossero le auto che ci passavano davanti, non ci fosse il vigile urbano che fischiava per fare smaltire il traffico che già cominciava a formarsi davanti ai semafori. Eravamo io e lui, ed io sono stata investita dalla sua luce, come da un'onda, non sono riuscita a parlare per qualche secondo, mi guardavo intorno come disorientata, come se mi fossi appena svegliata da un sonno lungo una vita, come se avessi appena aperto le imposte di una soffitta vecchia e buia ed il sole entrasse ad illuminare tutte le cianfrusaglie che nel tempo si erano accumulate una dopo l'altra. Ho avuto l'impressione, anzi la sicurezza, che fino a quel momento la mia vita era stata piena di cazzate, sì, di cazzate, cose inutili, futili perdite di tempo, e che fosse arrivato il momento di svuotare la soffitta. Sì, anche il mio matrimonio era stata una perdita di tempo, quello che avevo sposato e che era sorridente lì al mio fianco era un'altro figurante della commedia che avevo messo in atto per fare contento mio padre, mia madre e tutte le persone che si aspettavano da me la vita della brava ragazza: un lavoro sicuro e la famiglia perfetta. Stronzate! Per un istante, un solo istante, mi è stato tutto chiaro, era lui quello che volevo, anzi era sempre stato lui, ho avuto la certezza che io non fossi lì per caso, che qualcuno che mi amava lassù, mi avesse dato una seconda possibilità. Anche se coglierla era tutt'altro che agevole, vista la situazione in cui mi trovavo. Poi tutto è svanito, con la sirena della nave nel porto che copriva suoni e fantasie.

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