Seconda parte: un bel po' di anni dopo

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CAPITOLO QUINDICI

Tra qualche tempo potrei anche sposarmi, non ne sono ancora sicura, ma ci sto pensando. No, non con Diego, con quello mi sono lasciata poco prima della laurea. Non vorrei, ma per spiegarne
il motivo devo fare un passo indietro a quegli anni, e ricordarmi che stare con lui mi stava uccidendo. Non ce la facevo più, dopo quattro anni la mia vita era diventata un calvario, ed ho ceduto, mi aveva quasi fatto impazzire, nel vero senso della parola. Era diventato impossibile vivere, soprattutto prima di ogni esame, quando la sua ansia peggiorava. Era arrivato a non farmi uscire, non permettermi quasi di andare in bagno per studiare e ripetere, studiare e ripetere, punto. Se all'inizio, almeno ci fermavamo per fare la merenda alle cinque, ogni tanto si chiacchierava un po', insomma passavamo un po' di tempo anche soltanto a stare insieme, l'ultimo anno aveva eliminato anche quello, perché, diceva, ci faceva perdere minuti preziosi. Ho provato a stargli dietro, a convincerlo che tutto quell'accanimento non serviva a niente, che a me non importava avere voti migliori dei suoi, ma è stato tutto inutile, lui andava per la sua strada, così alla fine mi sono detta chi me lo fa fare, perché devo perdermi il meglio della mia gioventù appresso a questo ragazzo che non sa fare altro che confrontare il suo libretto universitario con il mio. Non che gli importasse molto il voto assoluto, quello che era necessario era che il suo fosse superiore al mio. Probabilmente era una specie di riscatto personale perché nella sua famiglia il padre contava come il due di coppe con la briscola a bastoni, non che fosse un ignorante, tutt'altro, anzi, nel mondo esterno godeva di una stima notevole, ma a casa, era, come lui, succube dei due tenenti di ferro, la moglie e la figlia, e non aveva quasi diritto di parola. Immagino che Diego non volesse ripetere le orme del padre e cercasse di fare continuamente colpo su di me anzi, cercasse di dimostrarmi la sua superiorità e mettere subito le cose in chiaro.

Anzi qualche volta ho pensato che desiderasse che smettessi di studiare per fare la moglie a tempo pieno, si, perché lui aveva già organizzato anche il nostro matrimonio, dove saremmo andati a vivere e dove avremmo fatto le nostre vacanze. I suoi discorsi strani mi facevano paura, diceva di voler comprare la casa al piano superiore a quello dei suoi genitori, per poter stare vicino alla sua famiglia, era una casa non grandissima, sosteneva, ma accogliente, che poi sua madre avrebbe contribuito ad arredare. Figurarsi, la madre al piano di sotto, che con ogni scusa sarebbe venuta a casa a controllare il figlio e soprattutto me, la nuora, che glielo aveva portato via. No, non se ne poteva più, era arrivato al punto, durante il periodo degli esami, di portarmi la colazione alle sette, iniziare immediatamente a studiare, restare con me per il pranzo che non poteva durare più di mezz'ora, compreso il caffè ed il lavaggio dei denti, per poi continuare fino alla sera. Non uscivamo più, non vedevamo nessuno, non sentivamo a telefono nessuno per non distrarci, ed ovviamente non ci concedevamo nemmeno il week end libero per recuperare. L'ultima goccia, che mi fece decidere di mollarlo alla sua vita fu quando organizzammo eccezionalmente per Pasqua una tre giorni in montagna (ovviamente a casa mia) ed all'ultimo momento lui mi disse che non sarebbe venuto perché doveva ripetere il programma. Con la faccia di un cane bastonato mi disse anche di andare da sola tanto c'erano anche Lorenzo e Daniela, con i quali non uscivamo ormai da un po' sempre per colpa sua. Io fui tentata, ma veramente tentata di lasciarlo a casa e partire per avere finalmente qualche giorno di pausa dallo studio e da lui, ma non ne ebbi il coraggio, mi fece pena, mi fece venire tutti i possibili sensi di colpa, cosa nella quale era bravissimo, ed alla fine chiamai Lorenzo quasi piangendo e gli dissi che non se ne sarebbe fatto niente. Lui fu molto gentile, anche se mi fece quasi una risata in faccia quando gli dissi le motivazioni, d'altra parte come biasimarlo, mancava più di un mese all'esame, cosa sarebbe cambiato?

E così i miei genitori partirono al posto mio ed io rimasi con lui a casa, ma non ne ero certo felice. Anzi avrei voluto scappare. E lo feci. Si, il sabato sera dopo che mi ebbe impedito anche di scendere a comprare le pizze io ebbi una crisi isterica, uscii fuori al balcone gridando che se non mi avesse fatto prendere aria mi sarei buttata dal quarto piano, seduta stante, che non ce la facevo più, che mi veniva da vomitare ogni mattina che mi si presentava con il cornetto davanti alla porta, che non sopportavo più la sua voce e che avevo deciso di non dare l'esame. Lui mi guardò come si guarda una folle, o una lumaca che strisciando gli ha lasciato una scia di bava sulle scarpe buone. Non capiva, mi guardava ma non mi vedeva, mi parlava, ma probabilmente pensava di parlare a qualcun altro, ad una bambola di pezza, o ad un cane, soprattutto non gli interessava minimamente quello che gli dicevo, anzi, si stupiva quasi che parlassi, che avessi un'opinione, un'idea, che potessi dissentire dalle sue posizioni. Capii in quel momento che quella situazione era stata anche colpa mia, mi era piaciuto quel suo modo di fare totalizzante, mi faceva sentire coccolata, rilassata, pensava a tutto lui, ed era così bravo che talvolta riusciva ad indovinare le cose che volevo prima ancora che le pensassi. Ma era solo un'illusione, ero io che mi facevo piacere quello che lui voleva, si, lo accettavo, avallavo le sue iniziative, e lui piano piano mi ha tolto ogni libertà, di uscire, di mangiare con gli amici, di telefonare, di studiare da sola, ed alla fine anche di pensare. Lo ho capito appena in tempo, prima di fare una follia e così quella sera lo lasciai senza dire niente altro, uscii in mezzo alla strada così come stavo, senza una giacca, senza scarpe, senza trucco, e senza soldi, camminai per il viale pieno di gente, era sabato ed erano quasi le nove di sera, tutte le strade del Vomero erano gremite di ragazzi pronti a rimorchiare e ragazze con le minigonne e tacchi alti con le cosce in bella mostra. Io camminavo, anzi marciavo senza una meta, con gli occhi iniettati di sangue e lacrime, urtavo le persone che si giravano, ma appena mi vedevano mi lasciavano perdere, sembravo pericolosa, e forse lo ero davvero. Non avevo niente da perdere, volevo solo scappare, da lui, dalla mia casa, dalla mia vita, da tutti. Camminai per almeno un'ora, poi mi fermai davanti al cinema Arcobaleno, c'era il cartellone di Titanic, con Leonardo di Caprio, lo guardai a lungo, guardai negli occhi l'immagine di quel ragazzo biondo col vento tra i capelli, sembrava che mi parlasse, non ero mai andata al cinema da sola, e non ci pensai due volte, pagai il biglietto ed entrai, non lo sapevo, ma la mia vita stava per cambiare. Finalmente ero io da sola con le mie emozioni, insieme ad altri trecento spettatori, ma sola, e passai le successive tre ore a ridere, piangere, bagnarmi nell'acqua di mare e fare l'amore come Rose e Jack. Alla fine, quando ancora i titoli di coda andavano e tutti si erano alzati per andare via, ebbi la visione di quello che dovevo fare, vidi di nuovo il volto di Jack Dawson che parlava proprio a me e ripeteva: "Ogni singolo giorno ha il suo valore!".

Ogni singolo giorno ha il suo valore, con quelle parole uscii dal cinema, ero una ragazza diversa, non c'era più la rabbia e la disperazione, ero calma e determinata, andai a casa e lo trovai ancora li, a mezzanotte e mezza, con il libro di procedura penale aperto, lui mi guardò con lo sguardo pietoso di chi è pronto a perdonare un bambino che ha fatto una marachella ma io non gli lasciai il tempo di parlare. Presi il libro, lo richiusi e glielo consegnai semplicemente dicendo: "Te ne devi andare!", lui non capì immediatamente e non capì per diversi anni ancora, ma quelle furono le ultime parole che gli rivolsi, da quel giorno non volli più vederlo, e così feci.

Chiusi un capitolo, e ne aprii uno nuovo nuovo, bianco, immacolato, come i fogli da disegno di Jack, certo per un po' rimasi sola, ma non per colpa mia, quelli che dovevano essere i miei amici, o meglio gli amici di coppia, sparirono, si dileguarono, d'altra parte me l'aspettavo, quando in una comitiva due persone si lasciano, c'è sempre chi fa la vittima e chi il carnefice. In quell'occasione io fui la stronza, che abbandonava il suo fidanzato prima di un esame importante senza una vera ragione, o comunque senza una ragione apparente. Lui dalla sua parte, fece il giro di tutti i conoscenti cercando lumi sul mio comportamento, sicuramente con la faccia da cane bastonato che conoscevo bene, per fare in modo che la pietà fosse la leva che li convincesse a prendere le sue parti. Ma non ce ne fu bisogno, io cambiai i miei giri, i baretti, i ristoranti, le piazze, tornai a vedere la gente che frequentavo prima di lui, quelli che lui chiamava la gente poco raccomandabile, solo perché ogni tanto si faceva qualche canna e amava correre in moto, vidi la libertà, l'aria, il sole, il mare.

E poi dopo la laurea, un'estate con gli amici, libera come ai vecchi tempi ed un bel po' di mesi a fare tirocinio per diventare avvocato, incontrai Luca.

Per me fu come un arcobaleno dopo la tempesta, era l'opposto di Diego, sorridente, tranquillo, dolce, senza particolari problemi, senza un lavoro impegnativo, amava uscire la sera, andare agli aperitivi, insomma, era la spensieratezza fatta persona. Ed io ne avevo proprio bisogno, dopo l'ultimo anno di merda che avevo passato, per me fu come una nuova estate. E me la meritavo. Così mi ci sono buttata con tutte e due le gambe, sono circa sei mesi che ci frequentiamo. Finalmente posso dire che con lui mi diverto, e non è una cosa scontata, quasi tutti i fine settimana andiamo in montagna, oppure in barca con Fabio Capece Minutolo, un mio vecchio amico, figlio di nobili decaduti, che per fortuna non si è volatilizzato insieme agli altri, oppure restiamo a Napoli, ma troviamo sempre qualcosa da fare, lui è sempre informato sui locali alla moda, o sulle serate di tendenza. Qualche volta mi fermo e mi chiedo se sto facendo la cosa giusta, ma poi mi dico che importa, io sto bene, lui sta bene, forse non è ancora una cosa seria, allora perché non andare fino in fondo, e sposarci, ormai io ho l'età giusta, guadagno abbastanza per poter vivere da sola, perché aspettare. Se penso che lui possa essere il padre dei miei figli? Boh, non ci ho pensato, al momento mi interessa la carriera, sono entrata in uno studio associato importante, perché mio padre dice che mi devo fare le ossa prima di prendere il suo posto e lui non vuole che io percorra strade troppo facili, altrimenti sarò solo una figlia di papà. Quindi per ora di figli non se ne parla. D'altra parte mio padre invecchia, non vorrei dargli il dispiacere di non lasciargli vedere il mio matrimonio, so che lui come tutti i matusa, vuole vedermi sistemata, glielo leggo negli occhi e lo capisco dalle domande che mi fa, ha settantacinque anni, e sente che il tempo scorre inesorabile, e lo sento anche io.

La famiglia di Luca è a posto, con me sono carinissimi, soprattutto la madre, che è quella che dovrebbe diventare mia suocera: è una signora fantastica, più affettuosa lei della mia vera madre, anche perché la mia, lavora tutto il giorno e non perde tanto tempo con le smancerie. Invece lei, si, altro che, mi chiama almeno un paio di volte al giorno per chiedermi come sto e per sapere cosa sto facendo, mi accompagna a fare shopping almeno una volta alla settimana, forse perché ha capito che io non so proprio comprare bene, diciamo che amo lo stile minigonna e stivali, che non sono proprio adatti a tutte le occasioni, e poi mi coccola con regali, regalini, pensieri, insomma, tutta un'altra storia rispetto alla signora Rottermeier che stava a casa del mio ex. Ed ha anche un ottimo gusto. E' talmente perfetta che qualche volta ho pensato che sia troppo perfetta, quasi forzata, come se mi voglia conquistare.

Ma a me non importa, meglio così che il contrario.

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