Capitolo XXV

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Mercoledì si sentiva afflitta. Non aveva trovato l'assassino di Adelaide, non aveva capito chi fosse il mostro e non sapeva nemmeno chi fosse a controllarlo. Era andata in ospedale a trovare Eugene e sembrava che il suo piccolo amico si stesse finalmente riprendendo.

Le sue mamme la lasciarono sola con lui e Mercoledì si sedette sulla sedia posta accanto al letto.

«Come ti senti?»

«Meglio, grazie. Hai qualche novità?»

Mercoledì scosse la testa. L'unica novità era che si sentiva inutile. Non aveva portato a termine nulla di quello che aveva in mente. Forse non era così intelligente come credeva.

«Ti ricordi qualcosa della sera in cui sei stato aggredito?» gli chiese sconfortata.

Eugene abbozzò una smorfia sul viso «Non molto. Ricordo solo l'esplosione e degli stivali rossi, nulla di più»

Stivali rossi. Chi indossava degli stivali rossi tra le persone che conosceva? Mercoledì spalancò gli occhi di scatto e si alzò in fretta dalla sedia.

«Ho capito! So chi è Laurel Gates»

Fece per uscire di corsa dalla stanza d'ospedale quando la voce fioca di Eugene la fermò «Che mi dici di Adelaide? Non è venuta a trovarmi neanche una volta»

Mercoledì sentì ogni muscolo del suo corpo diventare di pietra. Eugene era appena uscito dal coma, era ovvio che non sapesse di Adelaide. Cosa avrebbe dovuto dirgli per addolcire la pillola? La tua amica è morta ammazzata, non sembrava l'idea migliore. Si schiarì la voce e si avvicinò di nuovo al letto.

«Mi dispiace tanto, Eugene, ma Adelaide purtroppo-» Eugene la guardò con insistenza e Mercoledì dovette inghiottire il groppo che le si era formato in gola «Lei non c'è più. È morta la sera del tuo attacco. Qualcuno l'ha uccisa»

Gli occhi di Eugene si velarono di lacrime. Non era possibile, Adelaide era la sua unica amica alla Nevermore. Sempre gentile, la ragazza che gli aveva rivolto la parola per prima quando era arrivato in quella scuola, con cui passava il tempo insieme alle sue api, che gli aveva regalato un ritratto di se stesso la prima settimana che avevano passato in compagnia l'uno dall'altra e adesso non c'era più.

«Sai chi è stato?»

Mercoledì si voltò verso la porta per non fargli vedere che anche lei stava per mettersi a piangere, gli schiarì la voce «Credo di sì» disse acquisendo di nuovo il suo tono monocorde. Si diresse verso l'uscita dell'ospedale. Questa storia sarebbe finita quella sera stessa, non importava il prezzo.

Un poliziotto aveva detto a Xavier che sarebbe stato trasferito quella sera stessa nella prigione di stato e presto si ritrovò ammanettato nei sedili posteriori di una macchina della polizia. Ormai non aveva più nulla da perdere. Lo sceriffo Galpin era convinto di aver preso il suo serial killer e niente lo avrebbe smosso da quella convinzione.

La radio della polizia iniziò a fare un rumore strano e poi la voce di una poliziotta riempì l'abitacolo.

«Sceriffo, abbiamo un problema qui. Le strade sono intasate, sembra ci sia stata una lotta»

«Non potete chiamare qualcun altro?»

«È questo il problema, non abbiamo più uomini»

Lo sceriffo Galpin uscì dalla vettura. Xavier lo implorò di liberarlo, ma lui era sordo alle sue suppliche. Rimasto da solo, si accasciò in avanti sul sedile. Era stanco, ormai non dormiva più da giorni, voleva solo che tutto tornasse alla normalità. Certo, la sua normalità era fatta di poteri magici, vampiri e licantropi, ma gli piaceva. Sapeva di casa. Ma dopo la morte di Adelaide nulla più sembrava avere un senso.

Sentì dei rumori provenire dal tettuccio dell'auto e presto i suoi occhi incontrarono la sua salvezza. Mano era lì per liberarlo.

Una volta libero dalle manette corse verso la scuola, recuperò il suo arco e le sue frecce e si avventurò verso la folla di gente terrorizzata. Appena arrivò nel cortile interno vide il volto della devastazione. Crackstone era davanti a Mercoledì, pronto per ucciderla.

«Mercoledì!» velocemente scoccò una freccia verso quel mostro redivivo, ma Crackstone riuscì a bloccarla a mezz'aria e a girarla verso di lui. Sarebbe morto trafitto dalla sua stessa freccia. Chiuse gli occhi aspettando un dolore che non sarebbe arrivato mai.

Mercoledì si mise davanti a lui, ma venne spinta via da un lupo dal manto nero e dagli occhi cerulei. L'animale emise un grido di dolore e Xavier vide la freccia conficcata nel fianco peloso. Lo vide correre via e il primo istinto fu di seguirlo. Si inginocchiò verso Mercoledì, era piena di ferite lungo il corpo, ma sembrava stare bene.

«Vai! Io sto bene. Trova quel lupo!»

Xavier non se lo fece ripetere due volte e corse verso la direzione in cui aveva visto scappare il grosso animale. Era in mezzo alla fitta foresta e non riusciva a vedere nulla a parte le foglie secche e i rami spezzati dal vento.

D'un tratto sentì un rantolio e corse verso quella direzione. Vide il muso del lupo poggiato sulla terra. L'animale era sdraiato su di un fianco, morente. Xavier si inginocchiò e controllò la ferita sporca di sangue. Si era preso una freccia per lui. Era vivo grazie al lupo che aveva di fronte. Gli accarezzò il muso con delicatezza, provando a tranquillizzarlo, ma questo continuava ad emettere gemiti di dolore.

«Farà un po' male» con un colpo secco sfilò la freccia dal fianco del lupo, maledicendosi poco dopo. La punta era rimasta conficcata nella carne. Il lupo ululò dal dolore e Xavier lo accarezzò di nuovo, in preda alle lacrime «Mi dispiace. Mi dispiace tantissimo. Non so cosa fare, mi dispiace»

Si accasciò sulla pelliccia del lupo continuando a piangere come un bambino. Sentì un respiro strozzato e lentamente il volume dell'animale si ridimensionò. Non poteva credere ai suoi occhi. Adelaide era davanti a lui. Aveva gli occhi chiusi e Xavier notò altre ferite oltre a quella procurata dalla freccia. Ferite inferte da una lama. Cosa le avevano fatto? Non aveva il tempo di pensarci. Adelaide stava morendo e lui doveva agire in fretta. Si tolse la felpa, rimanendo con indosso solo una maglietta a maniche corte, e con delicatezza la avvolse intorno al corpo pallido e martoriato della ragazza. La prese in braccio e la portò dove sapeva si stessero radunando i feriti.

«Aiutatemi! Aiutatemi, vi prego»

Intorno a lui si formò un brusio pieno di oh mio dio ed è proprio lei.

Vide Enid e Mercoledì abbracciarsi, ma non aveva né il tempo né la voglia di fare qualche battutina a riguardo.

Presto sistemarono tutti i feriti nell'infermeria della scuola, o quello che ne rimaneva e Xavier non si spostò neanche per un secondo dal capezzale di Adelaide. Continuava a tenerle la mano, come se potesse infonderle un po' della sua linfa vitale, ma lei non dava segni di vita. La ragazza che amava si era presa una freccia per lui e ora non poteva fare nulla per lei se non guardarla morire.

Vide la figura di Mercoledì avvicinarsi a loro e Xavier si asciugò le lacrime dal viso.

«Come sta?»

Xavier scosse la testa «Dicono che non devo avere troppe speranze. Ti rendi conto? La credevo morta e ora sta morendo davvero per colpa mia»

Mercoledì gli appoggiò una mano sulla spalla e Xavier restò sorpreso da quel contatto.

«Non so nemmeno se stesse scappando da qualcuno, chi ha provato ad ucciderla»

«È stata lei» Xavier si girò di scatto verso Mercoledì che lo guardava come se avesse detto la cosa più ovvia del mondo «Adelaide ha provato ad uccidersi»

Non ebbe il tempo di dire nient'altro che il macchinario a cui era attaccata Adelaide iniziò a suonare ininterrottamente. Era entrata in arresto cardiaco.

The Devil Within|| Xavier ThorpeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora