Il giorno dopo quando scesi dalla mia camera trovai Valentín a vagare come un gattino disperso per la casa, guardando ogni cosa gli passasse davanti. Rimasi sulle scale e mi sedetti sul terzo gradino mentre lo vidi prendere una foto che mi ero anche dimenticata di avere sul mobile vicino alla porta d'ingresso. Eravamo io con la mia famiglia. Quel giorno fu uno dei più belli, le prime due ore, il resto era tutto in discesa. 
<<Non si usa dire buongiorno da voi?>> Sorrisi quando notò finalmente la mia presenza anche stando di spalle. 
<<Buongiorno per tutto il giorno e anche per i giorni a venire se dovessi dimenticarmelo>> mi alzai e lo raggiunsi da dietro. La foto era diventata gialla col tempo e la cornice si era scolorita. 
<<Siete in tanti.>>
<<Già>> presi la fotografia dalle sue mani, la fissai per qualche secondo e la riposai sul comodino. Non andava bene ricordare memorie passate, soprattutto se hanno lasciato delle cicatrici dentro. 
<<I vostri visi sono così familiari. Che scuole hai frequentato?>>
<<Non ero una studentessa di questa città. Vengo da fuori>> quante mezze verità.
<<Dove sono tutti? Vivi da sola?>>
<<Vivo da sola.>>
<<Perché?>>
<<Perché mi piace>> andai in cucina e lui mi seguii come un cagnolino con la sua padrona. 
<<Non ti senti troppo sola con una casa così grande?>>
<<No, sto bene>> presi il frullatore e ci buttai della frutta a caso con del latte.
<<Secondo me ti annoi. Sai giocare a poker?>> Gli dedicai uno sguardo confuso prendendo due bicchieri di vetro con delle cannucce, una gialla e una blu.
<<Sei ludopatico per caso? A saperlo non ti ospitavo>> quando il frullatore finì, versai il contenuto cremoso nei rispettivi bicchieri e in quello di Valentín posai la cannuccia gialla. 
<<Non ti piace il gioco d'azzardo?>>
<<Perché tu giochi?>>
<<No.>>
<<E allora che vuoi da me>> si fece scappare una risatina e bevve del frappè. 
<<Hai una bella villa. Ma come mai dietro è bruciata?>> Mi accarezzai il lobo dell'orecchio e abbozzai un sorriso per smorzare la tensione che si era creata.
<<Quante domande che fai, non ti stanchi?>>
<<Sono incuriosito da te.>>
<<No, a te piace solamente ficcare il naso nelle cose degli altri>> come fanno i giornalisti. 
<<Come i paparazzi, immagino. O giornalisti>> avevo parlato a voce alta e non me n'ero accorta? I miei occhi continuarono a guardare i suoi insistentemente. Volevo capire che persona avevo ospitato a casa mia, ma credo che fosse comunque troppo tardi per domandarselo adesso.
<<Sei una di loro?>> Scossi la testa. 
<<Non mi schiererò mai dall'altra parte>> sorrisi alleggerendo la situazione. 
<<Beh, neanche io se dovesse darti fastidio>> mi tamponai il viso delicatamente senza accorgermene e spostai la testa da un'altra parte. Certe volte se ne usciva con delle risposte che non sapevi mai come prendere. Poi una domanda mi sorse spontanea:
<<Ma tu, che diavolo di lavoro fai?>> Finì tutto d'un fiato il frappè e prese la mira per lanciarlo nel cestino. Lo guardai ansiosa e confusa da che cosa stesse cercando di fare. Non mi sarei preoccupata se me lo avesse rotto, ne avevo una stanza piena di bicchieri. La mia paura era che dei frammenti di vetro  volassero per la cucina riuscendo a colpirci. Mi conficcai le unghie nei palmi, cercando di non far ritornare dei flashback a galla.
<<Non è plastica, neanche carta, mi spieghi che stai facendo col mio bicchiere?>> Gli chiesi seguendo la traiettoria dei suoi occhi. 
<<Centrerà il secchio e non si romperà.>>
<<Ma perché dico io, non è più semplice alzarsi e posarlo nel lavandino?>> Gli pesa il culo, boh. 
<<No, così è più divertente>> eccerto. Nel frattempo che aspettai in una sua mossa da campione di basket olimpionico, lo squadrai per bene. Aveva la stessa maglietta bianca, lo stesso pantalone e addirittura gli stessi calzini. Non sapevo se provare più disgusto o pena o anche divertimento. Complimenti anche a lui per la costanza. Lanciò il bicchiere con una velocità a me sconosciuta e cercai di contenere il mio stupore nella sua mira così precisa e inaspettatamente attraente. Avrei dovuto buttare quel bicchiere alla fine.
<<Visto, avevo ragione>> disse puntando i suoi occhi nei miei. Pulii il mio di bicchiere e lo sciacquai per poi riporlo nel suo posto di sempre. Presi delle fette biscottate e spalmai sopra della marmellata, le misi in un piattino ricamato e lo salutai. 
<<Adesso sono un po' impegnata, quindi...>> mi bloccai quando sentii la sua mano sulla mia fronte e un'altra dietro la schiena. 
<<Ti sta risalendo la febbre>> giusto, io ho la febbre. 
<<Mi sento di nuovo male, è meglio che vada a mettermi a letto, ciao>> presi il piattino con il cibo e feci dietrofront. Lo superai e corsi in camera mia. Non ero mai stata così nervosa vicino ad un ragazzo, non capivo cosa di lui mi rendeva così inquieta. Chiusi la porta con una spinta data dal piede e mi buttai al letto. Mi soffocai col cuscino e cacciai un urlo di frustrazione. 
Non avrei dovuto ospitarlo. Dei tocchi si sentirono sulla porta e lanciai in aria il cuscino sistemandomi i capelli sparati in su. Gli aprii.
<<Che ce?>> I capelli non erano indietro e la maglietta non era così ordinata. Ma che ha passato?
<<Ti hanno chiamato, non hai sentito?>> Mi porse il telefono e sorrisi coprendo la mia incertezza.
<<Certo, stavo scendendo infatti, solo che mi hai preceduto di poco>> lo presi e risposi. Hideo voleva che lo raggiungessi alla casa editrice perché una reporter stava facendo tante storie per vedermi. Mi preparai all'ultimo ma bene. Raccolsi i capelli lunghi in una coda ordinata, misi degli orecchini tondi color argento e feci qualche passata di mascara e rossetto. Indossai una camicetta bianca con sotto il reggiseno dello stesso colore visto che era trasparente. Sotto dei jeans azzurrini attillati con degli stivali col tacco. Presi una borsetta nera e spruzzai del profumo. Fuori dalla stanza mi stava aspettando Valentín che doveva accompagnarmi in città. Per lui ero ancora malata e non potevo guidare con la febbre anche se io sapevo che non avevo neanche una tacca. Mi sentivo benissimo e le medicine avevano fatto effetto subito. Lo ringraziai per il passaggio e lo feci aspettare all'entrata del mio studio. 
<<Vuoi che ti accompagni?>> Scossi la testa sorridendo e al mio no lo vidi vacillare. 
<<Allora cosa mi hai portato a fare. . .>> bisbigliò.
<<Farò subito, sicuramente sarà una cosa da niente.>>
Indovinate un po'? Non lo era. 
Jake mi guardava come se fossi uscita da un manicomio e non si alzò neanche per salutarmi. Affianco a lui non c'era nessuna reporter e non c'era neanche nella restante casa editrice. Cazzo, ma è un fantasma che nessuno lo sente entrare?
<<Buongiorno, Seira>> scommetto di avere udito un sussurro, come uno biascichio in mezzo ai denti. 
<<Ti sei affezionato così tanto al mio studio che non vuoi staccarti>> dissi prendendo posto dall'altro capo del tavolo. La sua presenza non mi rendeva più così ansiosa. Non sentivo più il bisogno di correre nell'altra stanza per calmarmi. Ma ero comunque inquieta. 
<<Sono venuto per delle domande>> lanciò anche lui dei moduli sul tavolo non fermando mai il contatto visivo. 
<<Non hai richiesto nessuna intervista con me quindi prendi questi fogli e tornatene a dipingere, Jake.>>
<<Questa sei tu, non è vero?>> Sbatté una mia foto di cinque anni fa con una di poche settimane passate scattata dai paparazzi. La foto ricorrente all'incendio raffigurava la mia figura appoggiata all'albero davanti la villa. Ricordo bene cosa indossavo quel giorno, i vestiti grigi di fumo erano solo uno dei particolari sgradevoli che riaffioravano nella mente. 
<<Vattene.>> 
<<E questo è il rapporto della polizia e dei vigili del fuoco riguardante l'incendio avvenuto sempre cinque anni fa nella casa in cui tu adesso abiti>> mi si ghiacciò il sangue nelle vene.
<<Che diavolo ti stai inventando?>> buttò sul tavolo altri fogli e dichiarazioni di persone che erano presenti allora, leggendole ad alta voce. Mi guardai intorno preoccupata che qualcuno potesse sentire e spostai nuovamente l'attenzione su di lui.
<<Anche loro ti riconoscono. Vuoi ancora negare? Solo perché non sono più parte della tua vita non significa che io non conosca la tua famiglia e il tuo passato. Solo perché ho vissuto la mia infanzia con te in un'altra casa non vuol dire che io non possa riconoscere le tue tracce in altri posti>> inarcai le sopracciglia stringendo i denti per non urlare. Mi ero dimenticata che lui conosceva la prima casa e non quella dell'incendio. All'età di circa tredici anni cambiammo villa. Non gli diedi il mio indirizzo, lui prese una cattiva strada e la malattia di mamma peggiorò. Dovevo prendermi cura della mia famiglia e non potevo sapendo che Jake aveva questo problema con le droghe.
<<Che stai cercando di fare?>>
<<Di distruggerti>> disse ghignando.  Venni ricoperta da brividi di paura, divenni pallida ed improvvisamente senza forze. Tutto quello che sentivo prima me lo rimangiai con tanto di amarezza. Avevo ancora paura di Jake.
La porta si spalancò rumorosamente. Una mano mi cinse il braccio e l'altra la vita. Jake si alzò riprendendo il suo materiale e prima di andarsene salutò il mio salvatore. 
<<E' maledetta>>  sibilò serpeggiando fuori dalla stanza. Urtò Diana che stava entrando e lo fulminò dandogli uno spintone. 
<<Attento a dove cammini, cazzone>> fece finta di tirargli un pugno ma Jake scappò prima che quel gesto potesse diventare realtà. 
Per poco non caddi a terra ma  fortunatamente ci fu Hideo a sostenermi. 
<<Che ti ha detto stavolta?>> 
<<Una cosa molto stupida.>> 
Finalmente avevo capito, avevo capito tutto. Fu Jake a fare uscire lo scandalo dell'incendio di cinque anni fa.
Se non avesse detto niente, allora la storia tragica della mia famiglia sarebbe rimasta sepolta.

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