<<Sono impegnata al momento, facciamo un'altra volta>> dissi chiudendo il finestrino che bloccò con la mano. La pazienza stava per finire, tra non molto sarei diventata aggressiva.
<<Ora, se non le dispiace.>>
<<Mi dispiace, invece. Ho detto che sono impegnata, per favore, si sposti>> chiusi del tutto i finestrini e lui fece il giro della macchina. Non feci in tempo a far scattare la chiusura da dentro che si sedette al lato del passeggero. Sgranai gli occhi sentendomi improvvisamente in pericolo e dovetti contenermi per non mettergli le mani addosso. Cacciò fuori penna e foglio e iniziò a farmi delle domande.
<<La smetta e se ne vada, ora!>> Gli inveii contro gesticolando nervosamente. Dopo qualche secondo tirò fuori anche il telefonino e dal tic che emesse l'apparecchio capii che stava registrando. Gli misi una mano sulla fotocamera e lo fulminai.
<<Sta invadendo la mia privacy, cosa non è chiaro? Deve andarsene! Non può entrare nella mia macchina senza permesso>> gli dissi spostando con uno strattone la fotocamera. Al mio gesto violento sorrise furbamente e scrisse qualcosa sul foglio. Stavo uscendo fuori di testa e non sapevo come gestire la situazione.
<<Se mi dà un recapito telefonico la chiamerò con calma e decideremo insieme un'intervista. Ma ora no, sono impegnata.>>
<<Anche io sono impegnato e mi servono delle informazioni.>>
<<Ma che diavolo vuole da me, le cerchi da qualcun altro. Le pare che gli altri giornalisti non hanno incustoditi i cavoli miei? Chieda a loro!>>
<<Non posso fidarmi. Allora, iniziamo>> mi passai le mani ai capelli e sospirai. E va bene, facciamo così. Misi in moto l'auto e gli dissi di mettersi la cintura.
<<Dove stiamo andando? Perché sta partendo?>>
<<Stia zitto>> svoltai a tutta velocità e mi tenni stretta al volante per non balzare da una parte all'altra. 
<<Seira, aspetta!>> 
<<Non mi chiami per nome, non sono sua sorella.>>
<<Le faccio solo una domanda, solo una e poi scendo, lo prometto>> più avanti incrociai un parcheggio e con una manovra sicuramente al di sopra delle mie vere abilità, mi infilai e tirai il freno a mano. Mi voltai a guardarlo e con un silenzio disarmante aspettai la sua domanda tanto attesa. 
<<E' vero che la sua casa verrà perquisita?>> Stropicciai gli occhi sentendo le palpebre improvvisamente pesanti e presi un grosso respiro prima di rispondere ad una domanda tanto stupida quanto inutile e senza fondamenta. 
<<Che diavolo sta dicendo. . .>> 
<<Legga qui, non sto mi sto inventando niente>> prese dalla tasca del giubbino un foglio accartocciato e me lo porse stirandolo prima. Era una pagina di giornale risalente a otto giorni fa e tra tutte le notizie di sport, guerre e politica, il nome mio non lo vedevo neanche scritto in minuscolo in un angolino del foglio. 
<<Mi prende in giro? Qui non c'è niente>> affermai buttandolo in aria. Lui sbiancò e quando lo prese e lo lesse, capì che aveva sbagliato pagina. Allora dal suo giubbino color oliva estrasse un'altra pagina di giornale anch'essa stropicciata. Prima di porgermela pensai a come fossi finita in una tale situazione sgradevole e non vidi l'ora di tornare a casa e dimenticare questa terribile giornata. 
<<Ecco ecco, qui, lei viene citata. E' stata proprio la polizia a deporre->> gli tolsi la pagina dalle mani e col cuore in gola lessi la deposizione fatta dagli agenti e due vigili del fuoco. 
<<E' vero che è stato un componente della tua famiglia a darvi fuoco? Non eravate tutti morti ma quando hai scoperto che tua madre era viva, allora l'hai uccisa? Per questo hai iniziato a scrivere dei libri così disturbanti facendo credere a tutti che era una storia inventata, quando in realtà, era la tua. Per perdonarti in qualche modo o per espiare qualunque peccato grave tu abbia commesso.>> Trattenni le lacrime che mi rendevano solo più agitata e strinsi tra le mani quel pezzo di carta tanto orribile e diffamante. L'articolo risaliva a due giorni fa, la notizia era come la panna montata fresca su una torta, appena fatta, appena scritta. 
<<Non so quali cafonate la gente va a raccontare. Qualsiasi cosa abbiano scritto qui sopra, a me non interessa perché non sono cose veritiere. Ha la risposta alla sua domanda, adesso può alzare il culo dalla mia macchina e andarsene.>>
<<Questa non era la mia domanda. >>
<<E allora quale?>> Si prese qualche secondo prima di rispondere e tra un singhiozzo e l'altro mi espose la sentenza. 
<<Di cosa soffre. . .lei?>> Inarcai le sopracciglia rimanendo stupita. 
<<Scusami?>>
<<Lola è malata di schizofrenia, o sbaglio?>>
<<No, non sbaglia. Soffriva di schizofrenia che poi ha curato.>>
<<E lei, Seira, come ha fatto a superarla? Deve esser stato difficile convivere con una malattia del genere. Soprattutto quando al tuo fianco non hai nessuno>> pensi che sono stupida? Che cado nella tua trappola e che non capisco che in realtà stai parlando nei miei confronti?
<<Io non ho dovuto superare proprio niente. Lola ha dovuto>> come mi aspettavo rimase in silenzio, sicuramente pensando alla prossima domanda da fare. 
<<Hai avuto le tue risposte. Adesso ti sto pregando di uscire dalla mia macchina>> lui fece come detto e prima di andarsene definitivamente si girò a guardarmi. 
<<Devi sbloccare la sicura, Seira>> alzai gli occhi al cielo e quando lo vidi allontanarsi del tutto, tirai un sospiro di sollievo. In mente mi venne un'idea che non approvavo ma al momento forse era l'unica cosa che poteva calmarmi. Mi diressi da un tabacchino e comprai le prime sigarette che vidi. Le misi nella tasca e mi diressi verso il parco più vicino. Poi mi ricordai del posto in cui Valentín mi aveva portato, quel giorno. Era isolato e riflessivo, perfetto per me. Trovai posto per la macchina esattamente dove l'aveva parcheggiata lui e scesi. Mi sedetti alla prima pietra in lontananza e cacciai fuori una sigaretta. Con le mani esplorai tutti i miei vestiti ma non trovai nessun accendino nonostante fossi sicura che uno ci doveva essere. Quando sentii il clipper sotto i polpastrelli, accesi questa maledettissima striscia di nicotina. La portai alle labbra e feci un cerchio di fumo nel mentre che poggiavo il cappuccio sui capelli sporchi. Il cielo si stava annuvolando ed ero anche senza ombrello se fosse scoppiato a piovere. Mi chiesi come fosse possibile che ritornai a fumare ma smisi di pensare, chiusi gli occhi e mi godetti la sigaretta. Non ne toccavo più una da anni e fu quasi un sollievo alquanto disarmante. Fumai per la prima volta a quindici anni. Ero scappata di casa e mi rifugiavo quasi sempre nel bosco di rovi inaccessibile a qualche metro lontano dalla mia vecchia casa. Lì incontrai un gruppo di ragazzi più grandi di quasi cinque anni. Non avevo paura che mi facessero qualcosa, nonostante sui loro visi c'era un sorrisino macabro e degli occhi rossi come vampiri. Pensai che non avevano dormito o che forse erano troppo stanchi. A quanto pare non era così. Andai per la mia strada quando mi fermarono e mi costrinsero a fumare una Marlboro rossa. Ricordai il pacchetto impregnato di saliva che faticava ad uscire dalla bocca mentre le lacrime bagnavano il terreno. Il fumo mi fece venire il voltastomaco e vomitai, ma neanche questo li fermò dal farmi fumare. Mi convinsero con stupide frasi che allora non capivo, mi fidai però. Feci un tiro e poco dopo ne feci un altro sentendo un leggero strato di appagamento. Da quel giorno fumai raramente, ma provai sempre. Ogni volta che mettevo in bocca una cicca di sigaretta avevo sempre la nausea che non passava per ore. Invece adesso provavo solo tanto stress che pareva andarsene. Ma come poteva una cosa del genere, che fa stare tanto male, che fa morire, far star bene allo stesso tempo? 
<<Scusami, hai un accendino?>> Mi girai al sentire una voce rauca e nasale. Mi tolsi dagli occhi quelle ciocche ribelli uscite dalla cipolla e feci un tiro prima di espellere il fumo e buttare la cicca a terra. Presi l'accendino dalla tasca e lo porsi. 
<<Perché sei qui?>> Mi chiese mettendo la sigaretta tra le labbra, gesto che non persi e che guardai attentamente. 
<<Vuoi l'accendino o no?>> Lo prese e lo lanciò. Mi vennero dei brividi e non saprei dire bene di cosa. Lo fulminai con la coda dell'occhio ma la sua espressione mi immobilizzò. Sembrava quasi arrabbiato con me. 
<<Vattene.>>
<<Come?>> Mi afferrò il braccio con tale forza che dovetti soffocare un urlo di dolore. Posai la mano sopra la sua cercando di staccarmi ma la sua forza batteva la mia, ovviamente. Il vento iniziò a scompigliarli i capelli e a me a tirarmi il cappuccio giù. Ebbi un colpetto al cuore quando i nostri occhi si incontrarono per così tanto tempo. Come facevi a non incatenarti ad una luce così chiara e limpida? Era una cosa troppo rara per me, quasi inesistente. Nessuno aveva questi occhi.
<<Non puoi venire qui. Prima che ti ci portassi non lo conoscevi>> sibilo fulminandomi. Non capivo perché di tanta rabbia, era solo una campagna che dava sulla città.
<<Ma adesso che lo conosco posso venirci.>> 
<<Non voglio incontrarti>> sussurrò sbattendo le ciglia. Rimasi col fiato sospeso. Stetti per parlare ma non volli farlo. Lo guardai mettendolo in soggezione, con me questo tono era ineccepibile. 
<<Seira, ho detto che non voglio incontrati in questo posto>> mi sfiorò. 
<<Nemmeno io, Valentín.>>
Forse era questa la risposta che voleva sentirsi dire. Forse fu per questo che non esitò a stringermi e a farmi del male senza che me ne rendessi conto, né che potessi oppormi. Successe tutto così in fretta che l'unica cosa che pensai fu: grazie Marlboro. 

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