29.

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Mi strinsi in quel capotto confortevole, che mi cullò come solo il suono delle onde del mare sapevano fare. Fissai il paesaggio davanti a me, stando in silenzio senza sbattere le palpebre. In lontananza si udivano il rumore delle sirene e qualche clacson che riempiva il vuoto pacifico. Nei miei pensieri giravano senza fermarsi le loro voci, i ricordi dei miei fratelli e sorelle che correvano in cerchio, ridendo e urlando. I corpi lasciavano una scia colorita e il tempo sembrò andare a rallentatore per qualche secondo, prima che tutto tacque e caddero a terra, senza emettere suono. Mi guardai intorno, li chiamai uno ad uno. Philip non rispondeva, a malapena udivo il battito del suo cuore. Kate e Jacqueline erano pallide come il lenzuolo del mio letto, lenzuolo che odiavo perché era privo di vivacità. Lucas, perché Lucas aveva gli occhi aperti? Li chiusi col palmo della mano e sulla guancia del mio fratellino cadde una lacrima appartenente a me, che gli solcò il viso, scavandogli nella pelle. Rabbrividii davanti una scena tanto macabra. La casa, la casa divenne scura e senza luce. I precedenti spicchi di sole che si intravedevano dalle tende color panna scomparvero, lasciando un torpore asfissiante. L'aria iniziò a mancare e mi diressi a passo pesante verso le finestre. Spostai bruscamente le tende, sentendo crescere ansia e panico che mi facevano tremare tutta. Toccai il lucchetto che sigillava il vetro e dovetti coprirmi la bocca per non far uscire dei singhiozzi traballanti. Mi avvicinai maggiormente alla finestra quando udii un rumore metallico farsi strada nel salotto. Lo sentii più volte, come se fosse una spranga di metallo che strusciava su un muro. La maglietta di lino che avevo indosso, magicamente sembrò essere sparita perché avevo la sensazione di avere il torso scoperto. Era raccapricciante il mio riflesso sul vetro sigillato. Ma ancora più raccapricciante fu una figura nera che si era palesata alle mie spalle, col volto sfocato. Perché non riesco a vedere il suo volto? Perché non lo vedo? Chiuse velocemente le tende color panna dietro di me. Soffocai un grido di paura, ma non mi mossi da lì. Ero sorpresa quanto sollevata, non mi aveva ancora fatto niente. La sua figura era ancora vedibile al di là del tessuto bianco e non si muoveva di un centimetro. Avvertii il bisogno di parlare, di sputare fuori la voce tremante e debole, ma non feci niente, non volevo sapere quale conseguenze avessero potuto manifestarsi dietro un'azione del genere. Quindi stetti zitta e aspettai una sua mossa che tardò ad arrivare. Lo fissai insistentemente, cercando di mettere a disagio la sua oscurità, anche se era lui che rimanendo dietro le tende mi terrorizzava. Scrutai nuovamente il mio viso sulla finestra e provai a sfiorare il lucchetto attaccato. Toccai la serratura vuota, mancante di una chiave che potesse aprirla. Improvvisamente le tende si aprirono e abbassai la mano, lasciandola scorrere lungo il fianco destro. Mi saltò il cuore in gola.
Lo avevo fatto arrabbiare, non dovevo muovermi.
Si fece indietro, di un passo. Spalancai gli occhi quando vidi di striscio i miei fratelli e le mie sorelle a terra, svenuti in un cerchio dove precedentemente ero io. I loro corpi parevano solo un mucchio di vestiti sparsi e stranamente il braccio di Lucas si fece più bianco, fino a scomparire. Aumentai il respiro quando vidi anche i capelli di Kate andare via. Mi stetti quasi per muovere, ma dovetti combattere contro la mia paura. Il mio sguardò ritorno sul riflesso della figura nera con in mano una spranga di metallo. Indietreggiava silenziosamente senza che le sue scarpe scoccassero sul legno della casa. Col volto verso il mio, raggiunse la mia famiglia e fece cadere la spranga che atterrò a terra senza velocità. Il fiato si bloccò e l'aria non scorse più all'interno dei polmoni. Le pupille si restrinsero e quando quel pezzo di metallo cadde a terra, emettendo un rumore assordante, i corpi svanirono e neanche la sua figura nera rimase. Allora capii: il loro abbandono era stata la conseguenza per il mio gesto azzardato. Il tempo tornò a scorrere come prima e l'ossigeno a girare dentro di me. Non mi voltai indietro, perché dietro ormai era rimasto solo il vuoto della casa. Le tende si mossero, spinte da qualcosa che non seppi descrivere perché nella villa non tirava neanche un filo di vento, le finestre erano sigillate. Provai una paura agghiacciante prima che il vetro si ruppe davanti ai miei occhi e delle schegge mi trafissero il viso, facendo sgorgare del sangue nero. Non mi asciugai, con gli occhi sgranati fissai il vetro ceduto a terra. Sentivo il bisogno di uscire, di andarmene da questa casa. Ma non potei. Mi girai indietro sperando che la mia famiglia ricomparisse, ma quando mi voltai verso la finestra rotta, essa non era più in frantumi e il bruciore sul mio viso, attenuato. Il vetro ritornò intatto, così come il sigillo che prima era esploso. Ma la cosa che mi fece gelare, fu la scritta in greco che svolazzava all'infuori dell'abitazione. Anche se non studiai mai quella lingua, non seppi per quale motivo la tradussi.
ήταν η τελευταία σου ευκαιρία.
Era la tua ultima possibilità.

Continuai a fissare il paesaggio espirando per l'ultima volta il fumo che sentivo già annidarsi per sempre nei polmoni, incenerendoli.
La sigaretta venne portata via dalle labbra e mi infastidii.
<<L'infermiera del turno a mi ha detto che ti avrei trovata qui.>>
<<E così è stato. Mi ha trovato.>>
<<Clara e Mark ti aspettano nella sala d'attesa>> disse scuotendomi la spalla.
<<Chi sono?>>
<<I tuoi figli>> risi e mi accesi la seconda sigaretta. I miei figli non avevano nome.
<<Loro non si chiamano così.>>
<<Nel momento in cui tu non li hai scelti è stato qualcun altro a farlo.>>
<<Non li voglio vedere.>>
<<Sono i tuoi figli.>>
<<Non li voglio. Non li ho mai voluti.>>

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