Mi diressi verso l'armadio colmo di libri e vestiti vari dove all'interno era nascosto il taccuino. Dovevo scrivere quello che successe davanti alla porta della camera di Valentín. Quando aprii l'armadio sgranai gli occhi. Non era presente neanche uno straccio ad occupare quel vuoto immenso nel mobile. Neanche un libro a coprire un angolino. Mi girai verso la stanza con un brivido di paura che mi scorse su tutto il corpo. Analizzai attentamente ogni minuscola superficie di quello che mi si poneva davanti. Questa non è la mia camera, questa camera è di. . . Camminai sorreggendomi alla parete e trascinai i piedi pesanti verso la porta. Dovevo uscire al più presto se non volevo finire per impazzire. Ad un metro da essa si aprì, mi bloccai all'istante e tacqui per qualche secondo. 
<<Mi sembrava di esser stato chiaro: dovevi rimanere a letto, Seira>> mi irritai leggermente e sapevo che qualcosa iniziava a non andare più in me. Hideo mi venne incontro prendendomi sotto braccio e mi portò fuori da qui. 
<<Camera tua è così lontana da questa. Mi spieghi che diavolo volevi fare?>> A saperlo Hideo, a saperlo. La mia mente era così offuscata e confusa da mille idee e ricordi che mi era difficile riconoscere quale di quelle cose fossero accadute veramente. Mille scene giravano nella testa come un vortice non lasciandomi del tempo per pensare. Ero andata nella sua stanza e mi ero appostata davanti alla finestra da cui si vedeva tutto il giardino. Non seppi come feci a portarmi lì, come presi la chiave senza rendermene conto e come era possibile che tutto questo successe così velocemente e senza esserne lucida. O forse non ero stata io a portarmi lì. Prima di tornare nella mia camera, mi sporsi con l'aiuto del mio manager sullo stipite della porta, dovendo controllare una cosa. Sul legno scarno era ancora incisa un'iniziale, precisamente la d. Tremai. No, era impossibile che io mi diressi volontariamente in quelle stanza. Non ci avrei mai messo piede, mai.
<<Seira, andiamo>> mi incitò Hideo. Raggiunsi la mia camera e mi sedetti sul letto stanca e senza vita. Forse Jake aveva ragione; perché rappresentarmi come un'anima viva e colorata se in realtà ero sempre stata morta? Lui si che aveva capito tutto su di me, non io, che non riuscivo a comprendere quello che mi faceva stare male. 
<<Chi è quel ragazzo che gironzola per casa tua come un topo alla ricerca del formaggio?>> Lo guardai abbozzando un sorriso divertito. Valentín come un topino che cercava da mangiare, che bella scena. 
<<Un amico>> dissi buttandomi all'indietro sul letto. Spiegare la vera motivazione della nostra conoscenza avrebbe portato solo rogne in più e non conveniva.
<<Tu non hai amici>> non risposi all'affermazione di Hideo, bensì persi lo sguardo sulla figura di Valentín che si palesò sulla porta. Il fiatò scomparve. Ci bloccammo, eravamo incatenati senza essere uniti. 
<<Ha me, le basta e avanza>> Hideo si girò verso di lui dedicandogli una faccia non propriamente simpatica, ma forse avrebbe cambiato idea. Qualcosa invece mi diceva che sarebbe rimasto per molto tempo a casa mia.
<<E chi saresti tu? Da quanto tempo vi conoscete?>> Io rimasi in silenzio facendo un cenno a Valentín di inventarsi qualcosa. Mi fece una faccia ansiosa ed io ricambiai con una smorfia.
<<Sono un suo amico e ci conosciamo da un po'>> che scusa pessima. 
<<Da un po' quanto, esattamente?>> Andiamo Coraza, sei abbastanza un ragazzaccio per inventarti una scusa credibile. 
<<Ho portato una camomilla a Seira ma credo che dovrei portarla anche a te, sei abbastanza stressato>> posò il vassoio sul comodino e prima di andarsene mi rivolse uno sguardo giocoso che non ricambiai assolutamente. Aveva evitato la domanda scappandosene, ma pensa te che escursionista furbo. 
<<Lo mando via>>disse voltandomi le spalle. 
<<No!>> Gli afferrai la maglia e lo tirai verso il letto. Mi guardò come se fossi impazzita e una lampadina si accese nella mia testa. 
<<E' un tipo particolare. Sarebbe perfetto per la mia storia, modificando di poco il suo personaggio potrebbe essere un punto di sviluppo per Lola>> ovvero per me. 
<<No, non comprendo. Per Lola? Sbaglio o Lola sei tu? Sbaglio o la vita di Lola è la tua? Che stai cercando di fare, Seira?>> Aveva ragione, tutto era completamente azzardato e costruito in aria. Era una scusa per averlo solo ancora un po' vicino ma tutto sommato non era così brutta come pensata. Con un altro nome e cambiando la sua personalità avrebbe davvero potuto aiutare Lola nel finale. Il passato sarebbe potuto cambiare drasticamente dal mio. Avrei perso Lola ma avrebbe vissuto comunque una vita migliore della mia. Non mi serviva di certo un tipo come Coraza ma era il brio di provarci che mi deliziava. 
Valentín spuntò dal corridoio come spunta il ciuffo di una carota sotto terra e poggiò l'altro bicchiere di camomilla affianco al mio. 
<<Manager, il tuo ha cinque gocce di valeriana all'interno>> disse informandolo. Trattenei una risata e abbassai il capo. 
<<Cinque? Perché così tante? Anche Seira le ha?>>
<<Perché dovrebbe? Lei sta male certo, ma tu sei esaurito, credo che siano più necessarie a te>>Hideo era ad un passo dall'ammazzarlo ed io dal fermarlo. Pensandoci bene io non avevo la valeriana a casa.
<<Non mi piace la valeriana>> disse Hideo. Vero, a lui non piaceva. 
<<Allora scambiate i bicchieri, lo prenderà Seira>> il cuore saltò in gola non per la frase che pronunciò, ma per come fece uscire dalle labbra il mio nome. Mi scaldai e per calmarmi mi sventolai con le mani. Era la prima volta che diceva il mio nome, o sbaglio?
<<E dici di essere suo amico? Seira è allergica a questa roba!>> Puntò lo sguardo su di me e sorrise vittorioso. Pensava di star gareggiando in una sfida a chi mi conosceva e chi no?
<<Una cosa in più>> parlottò sottovoce Valentín. Io continuavo a sventolarmi e ingoiai una quantità di saliva mai raggiunta finora.
<<Quindi dove l'hai presa? Non è che hai messo qualcosa dentro i bicchieri?>> Hideo si buttò sulle tazze e guardò se all'interno avesse messo davvero una sostanza sconosciuta. Sorrisi alla buffa scena e incrociai l'attenzione di Valentín Coraza puntata su di me.
<<E' la valeriana che uso io>> spostò lo sguardo sul manager. 
<<Perché?>>
<<Perché mi serve per calmarmi>> mi lanciò un'occhiata che non compresi e trasportai l'attenzione su Hideo non riuscendo a mantenere il contatto visivo. Che stava cercando di dirmi?

Il pomeriggio era passato noioso e tranquillo, senza imprevisti che macchiassero questa giornata così cupa e normale. Scrissi qualche pagina del libro e corressi gli eventuali errori di battitura o grammatica che incontravo per la strada. Ero ad un buon punto e se tutto scorreva liscio, entro marzo sarei riuscita ad arrivare a metà. Nel frattempo rimasi distesa sul letto della mia stanza a guardare il soffitto, sperando che incubi o scene del passato non venissero a galla in ogni momento. Era dura combattere con l'ansia del loro imminente arrivo, era difficile riuscire a superare quei momenti in cui sprofondavo nel centro più basso della terra. Mi tirai su dal letto e camminai per la casa in cerca del mio violino. Doveva essere nascosto da qualche parte nei ripostigli o nella soffitta, solo che recarmi in soffitta da sola di notte in questa dannata casa non mi pareva la cosa più bella da fare. Lo cercai disperatamente sentendo il bisogno di sfogare il mio stress su qualcosa. Quel violino non era da nessuna parte e sperai che non fosse bruciato nell'altra ala della casa. Amavo suonarlo durante le giornate piovose, quando le gocce d'acqua cadevano sulla cupola della stanza ricreativa. Mi radunavo di nascosto con Kate, Philip, Lucas e Jacqueline. Ci sedevamo in cerchio e ognuno suonava qualcosa. Io il violino, Lucas aveva la passione del piano mentre Philip e Kate si davano alla danza. Erano i più piccoli della casa che avevano riscontrato una malattia genetica di cui io e Lucas non vedemmo nemmeno l'ombra nei nostri corpi. Forse perché i più piccolini erano la seconda coppia di gemelli ma nessuno seppe dare una spiegazione a quello che successe. La malattia di mamma ci aveva stravolti. Tutta la sua famiglia era uscita fuori di testa, portava alla depressione e alla paranoia. Era continuamente in stato d'ansia perenne e quando andavamo a trovare la zia Morene, la sorella di Monique ovvero mia mamma, era sempre doloroso e pericoloso avvicinarsi a lei. Neanche il marito e il figlio che non ebbi mai conosciuto, riuscivano ad aiutarla. Morene non voleva nessuno, era pazza. Per quanto fossimo dispiaciuti eravamo anche contenti che quella malattia non avesse beccato la mamma. Dio ci aveva aiutati, lui vegliava su di noi. Spoiler, non era così.
Due anni dopo, io avevo esattamente dodici anni, mamma iniziò a delirare una sera di primavera. Si svegliava tutte le notti e veniva nella mia camera. Dormiva al posto di Kate e mi abbracciava ripetendo continuamente il nome del mio gemello morto. Mi cullava, amavo tutte quelle coccole, peccato che fossero dedicate solo a Davide. Quando aveva quei momenti di lucidità e si accorgeva che non ero lui, mi spostava dalle sue gambe se ero seduta sopra di lei, o mi tirava i capelli fino a strapparli se avevo la testa appoggiata sul suo grembo. Non mi voleva e come me, anche Kate, Philip e Lucas. Jacqueline non esisteva minimamente per lei. Monique voleva solo un bambino che somigliasse a Davide e nessuno di noi li somigliava. Kate voleva così bene alla mamma che iniziò perfino ad assecondarla quando la malattia tornava. Faceva finta di essere il mio gemello, si vestiva come lui e si comportava come lui. Si rasò i capelli a zero e cominciò a menare, a rispondere male e rompere ogni cosa che aveva sottomano. Kate voleva essere amata ma l'unico modo era fingere di essere suo fratello, e se questo valeva un sorriso della mamma a lei stava bene. La mia sorellina morì impiccata nella stanza di Davide, con gli stessi abiti, come aveva fatto lui. Però mamma non pianse neanche una lacrima quando capì che non era suo figlio. 

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