Passarono alcuni giorni e mi rimisi completamente dalla febbre. Ero in perfetta salute anche se qualche volta sentivo delle minuscole ricadute che ritornavano, ma generalmente stavo nella norma. Valentín Coraza non era più mio ospite da quasi una settimana e l'unica cosa che potei provare era una tristezza perenne che circondava questa casa. La sentivo ancora più nera e vuota e dopo così tanti sorrisi e risate, mi mancava vedere qualcuno riempire questo spazio malinconico. La stessa notte che se ne andò sognai un incubo. Monique, mia mamma, aveva avuto un'altra pesante ricaduta. Inveiva contro mio padre minacciandolo di tagliarli la gola se non le avesse detto il nome della sua amante. Papà ha davvero un'amante? 
<<Non ti interessa di nostro figlio? Come puoi amare un'altra donna che non sia io!>> Urlò mamma lanciando i vasi che la zia Morene aveva creato appositamente per me. Il salotto si riempì di vetro spezzato e pungente che tagliavano i piedi di mamma fino a farli sanguinare. Il parquet presto s'impregnò di colore rosso scuro tanto che potei sentire il sapore di metallo tra i denti. Papà si voltò con sguardo stanco e sinistro impugnando la camicia da notte di mamma e trascinandola verso di lui. 
<<Sei solo una puttana malata, credi che mi interessi qualcosa dei tuoi figli? Sono abbastanza grandi da cavarsela da soli>> sputò fuori dalle labbra con tanto di cattiveria. I tuoi figli? Cominciai a piangere nel momento che una fitta mi colpii il cuore fino a sentire un crac. Lasciò con uno strattone la camicia di mamma che stava piangendo a dirotto e con le sue valigie si diresse verso la porta. 
<<Tesoro, non andare! Te lo giuro, sarò una brava moglie, mi dispiace. Non andare da lei, non farlo!>> Sgranai gli occhi quando mamma si attaccò alla sua gamba e lo accarezzò asciugandosi le lacrime. Lucas mi stringeva a lui senza fiatare e posò una mano sulla mia bocca per non farmi sentire da loro. L'angolo angusto delle scale di legno che tanto mi piaceva adesso mi stava soffocando come non aveva mai fatto. La polvere la sentivo nei polmoni mentre il sangue era ancora sulla mia lingua. 
<<Lasciami! Non mi lasci?>> Papà calciò la mamma sulla testa ed urlò cadendo a terra. Scattai in avanti ma Lucas mi prese prima che potessi raggiungerla. 
<<Hai i tuoi figli, non ti serve il mio amore, puttana>> sbatté la porta d'ingresso rilasciando un'eco che si diffuse per tutta la casa. Mamma non si mosse. Il viso era nascosto dai capelli lunghi e neri, la camicia da notte era ormai impregnata di sangue così come il legno intorno alla sua testa. Mi saltò il cuore in gola quando vidi quella pozza rossa spargersi dappertutto. 
<<Lucas, la mamma sta morendo! La mamma non può morire!>> Dissi colpendogli il petto. Ma Lucas non mi guardò neanche perché il suo sguardo era concentrato dietro di me. Mi voltai anche io quando sentii i passi della piccola Jacqueline dirigersi verso la mamma. A quel punto ci avvicinammo anche io e Lucas mentre Philip sbucò dal giardino botanico con qualche cameriera di cui non ricordavo il nome. 
Provammo a svegliare la mamma ma lei non parlò, aprì gli occhi per due secondi, mi accarezzò il viso con la mano viscida e sanguinante. Un sorriso carico di tristezza e soddisfazione si velò sulle labbra. 
<<Davide, la mamma ti ama>> il braccio cadde a terra schizzando la melma rossastra che era diventata tutt'uno coi miei vestiti. Delle lacrime amare invasero i miei occhi mentre i brividi ricoprivano ogni superficie della mie pelle. Dopodiché le cameriere la presero in braccio e con l'aiuto dei miei fratelli e sorelle la portarono nella sua camera. Io rimasi lì, immobile nella pozza del suo sangue egoista e infelice. 
<<Io non sono Davide>> sussurrai. 
Salvai il capitolo appena scritto e chiusi il laptop stiracchiandomi sulla sedia della stanza per i ricevimenti. In questa ala della casa c'era anche una stanza riservata ai ricevimenti. In passato le occasioni da celebrare erano molte e anche per tener su l'apparenza della bella famiglia unita e amorevole dovevamo recitare per qualche sera. Bevvi quello che rimaneva del caffè e mi preparai per andare in studio. Non vedevo Hideo da qualche giorno e nessuna notizia brutta era ancora arrivata alle mie orecchie. L'intenzione di oggi, nonché il mio obbiettivo giornaliero era quello di sedermi vicino a Diana e romperle le palle con domande varie su di lei. Avevo detto o no che avrei messo il suo personaggio nella storia? L'ho detto eccome e quindi mi stavo vestendo da diva solo per andare da lei. Arrivata alla casa editrice mi diressi direttamente da Diana che vidi impegnata nello scrivere qualcosa al telefono. Sorrideva e non si era nemmeno accorta della mia presenza. Avrei dovuto offendermi? 
<<Salutami il tuo fidanzato da parte mia e digli che ha fatto una gran cazzata a mettersi con te>> posai la borsa sul tavolo e mi sedetti alla sua destra. Si girò indignata e spense il cellulare per poi buttarlo anch'esso sul tavolo. 
<<Che fai qua? Non stavi male?>> Sorrisi alla sua domanda. 
<<Ti piacerebbe, ma no. Sono sana come un merluzzo fresco e non vedo l'ora di farti delle domandine miss Diana della corte delle rosse tinte>> tirò fuori un gemito non molto cordiale e  presi dalla borsa la mia piccolissima agenda su cui scrivevo le persone che mi stavano sul culo, ovvero tutte. 
<<Ti chiami Diana Hogarth, hai trenta anni, sei alta un metro e settanta e di professione fai l'editing>> lessi quello che scrissi precedentemente. 
<<Minchia che perspicacia. Vuoi un applauso?>>
<<Se me lo fai non mi lamento ma veniamo a noi. Colore preferito?>>
<<Che cazzo stai facendo?>> Sbruffai alla sua domanda e appoggiai la schiena contro la sedia sentendo improvvisamente il petto pesante. 
<<E tu saresti una donna gentile, materna e dolce come un muffin? Che scrivi su Tinder, non credi che sia troppo surreale inventarsi queste cose?>> Si fece paonazza alla mia risposta e mi strappò la penna dalle mani, incazzata come un toro. 
<<Mi spii adesso?>>
<<Oddio, spiarti no. Non sono una tua così grande fan ma non è difficile riconoscere la notifica rosa del fuoco di Tinder, sai? Dovresti stare più attenta a mostrare certi messaggi>> mi ripresi la penna e scrissi qualcosa sulla mia agendina. 
<<Quindi? Che colore ti piace?>>
<<Arancione.>>
<<Il colore legato alla sessualità, bene bene, vedo che sei coerente con quello che fai.>>
<<Legato al sesso? Vuoi scherzare?>> Vederla confusa e in imbarazzo mi provocò una risata divertita. 
<<Perché sai che è legato a quello? Non dirmi che è anche il tuo colore preferito>> disse minacciosa. Scossi la testa e lei mi fece la stessa domanda che le porsi io. In mente comparirono i suoi occhi e subito mancò il respiro. No, no, non potevo farmi sopraffare da due banalissimi occhi.
<<Perché sei arrossita? Non dirmi che è veramente arancione!>> 
<<No, no. Non è quello>> agitai le mani velocemente e mi toccai le guance. Effettivamente stavano andando a fuoco. 
<<Allora qual è, saputella?>>
<<Il blu, è blu.>>
<<Blu? Puoi essere più precisa?>> 
<<Si vabbè, mica io ti ho chiesto se ti piace l'arancione mandarino o l'arancione carota, che diavolo.>>
<<E dai dillo, che ti costa. Comunque se vuoi saperlo a me piace l'arancione salmone.>>
<<Quindi ti piace il rosa.>>
<<Ma sei scema? Il salmone è arancione!>>
<<Pensala come ti pare, me ne vado>> mi alzai infilando l'agendina e la penna dentro la borsa. Non volevo più parlare con Diana.
<<Te ne vai? Non mi hai detto che blu preferisci, stronza!>> Mi voltai lanciandole uno sguardo di fuoco. 
<<Blu ceruleo è quello che mi piace. Hai rotto il cazzo!>> Sbattei la porta e borbottai sottovoce prima di girarmi e morire sotterrata dalla vergogna. 
<<Blu ceruleo, eh?>> Valentín comparì davanti a me con tutta la sua maestosità sfoggiando un sorrisetto arrogante. Mi venne quasi da piangere.
Diana, hai la mia parola che non ci arrivi a stasera. 

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