In coda a Jake e Valentín, uscimmo dalla cucina. Ad aspettarci seduti distanti furono Diana e Hideo, entrambi a braccia conserte. Ora che la verità era venuta a galla, non seppi cosa dire. Era una storia che pesava sulle spalle di tutti, avevo messo in mezzo tutti, anche chi non c'entrava niente. Feci rumore sul parquet per annunciare la nostra presenza e alzarono gli occhi.
<<Quindi?>> Chiese Hideo, alzai le spalle.
<<Sanno la verità.>>
<<Tutta?>>
<<Tutta>> magari tralasciando qualche dettaglio spiacevole, ma il filo generale era stato spiegato. Non ero obbligata a farlo, ma mi sentivo in debito, soprattutto nei confronti di Jake. Mi era sempre rimasto vicino, almeno fin quando io non andai in Svezia. Ma dubito che se non me ne fossi andata, lui si sarebbe allontanato. Quando tornai seppi subito le sue brutte compagnie, ma non feci niente. Fui sicura che la miglior soluzione fosse allontanarmi definitivamente da lui e farlo ricominciare da zero, ma peggiorò solo il tutto. Non pensai mai che dopo anni si fosse addentrato nel lavoro dei suoi sogni e avesse seguito il caso della mia famiglia. Sicuramente anche lui mi stava nascondendo qualcos'altro ma non ero nella posizione di chiedere niente. Puntai l'attenzione su Diana, preoccupandomi del suo silenzio asfissiante. Di solito aveva sempre qualcosa da dire, ma rimase muta con lo sguardo altrove. In una stanza, due adulti erano seduti, altri tre in piedi e pensavano che farne della propria vita e delle decisioni prese. Non sapevano se andare avanti o fermarsi, se dimenticare o ricordare. Qualsiasi cosa fecero, sarebbe stato l'uno lontano dall'altro.
<<Vado via>> Valentín fu il primo a parlare dopo interminabili minuti di silenzio, lasciò la casa editrice e sicuramente anche la mia villa in seguito. Ci fermammo tutti a vederlo andare via, senza dire niente. Non si meritava tutto questo dolore, avrei dovuto evitarlo.
<<Anche io>> poi Jake levò le tende e insieme a lui, Hideo. Chiusero la porta d'ingresso e lasciarono dietro di loro i profumi mischiati. Mi voltai verso Diana, aspettando che si alzasse e scomparisse anche lei. Ancora con gli occhi puntati verso il nulla, voltò lo sguardo e mi buttò addosso quello che rimaneva della sua antipatia nei miei confronti. Rimasi col fiato sospeso, mi destabilizzò.
<<Scusami, per tutto>> dissi sentendomi in dovere di riempire il burrone tra di noi.
<<Non mi sei mai stata simpatica, ma non ti odio nemmeno. Mi dispiace per te, ma non ti aspettare che qualcuno di noi rimanga al tuo fianco dopo tutto questo inferno>> mi superò schiantandomi contro i suoi capelli rossi. Un vuoto penetrò nelle ossa. Ero rimasta sola. Fu come se il corpo si fosse bucato e avesse portato via tutte le emozioni, non provavo niente. Non ero triste, non ero felice, arrabbiata, indifferente, pentita, delusa. Ero...normale. Cosa avrei dovuto fare, adesso? Tornare nella villa, dormire come se non fosse successo niente e risvegliarmi il giorno dopo di nuovo sola e sconsolata. Poi mangiare, passare la giornata fissando la parete e cos'altro? Spensi le luci, chiusi le finestre della casa editrice e sigillai le serrature. Era il momento di chiudere. Presi le chiavi della macchina e guidai senza meta. Mi passò per la testa di andare in montagna, ma forse avrei trovato Valentín ed era l'ultima persona che volevo incontrare. Mi fermai ad un tabacchino e comprai le solite sigarette. Accesi il motore e partii verso casa. Nel tragitto fumai due sigarette e buttai le cicche fuori il finestrino. Non ero un ecologista ma non mi piaceva neanche sporcare l'ambiente, ma in quel momento non mi interessava. Una sigaretta non avrebbe cambiato il destino del mondo, l'inquinamento ormai era a sufficienza da condannare anni e anni di vita. Svoltai l'angolo della stradina che portava a casa e percorsi il sentiero frastagliato per almeno cinque minuti prima di arrivare. Il cancello era aperto, notai una macchina parcheggiata e una figura che non riconobbi ad aspettarmi davanti il portone. Con le chiavi ancora inserite, lasciai l'auto vicina a quello dello sconosciuto e mi incamminai per vedere chi fosse. Portai una sigaretta alle labbra e parlai, quando si girò, mi venne solo da bestemmiare.
<<Che fai a casa mia?>> Chesi accendendo la cicca. Lui seguì quel movimento interdetto, come se avesse appena rotto qualche credenza o pensiero importante che aveva su di me.
<<Tu fumi?>>
<<E allora?>> Scosse la testa e inspirai il fumo. Esso mi bruciò all'interno e mi piacque la sensazione, quindi lo feci ancora e ancora una volta, lui rimase sempre a guardarmi con le mani nelle tasche e la maglietta leggera che sventolava nel vento.
<<Perché sei venuto?>> Lo superai aprendo il portone e lo spalancai con la paura che Valentín fosse già tornato. Ma una parte di me sapeva che non era così. Entrai portando con me il fumo che annebbiò la casa, fissai quelle scale a chiocciola e improvvisamente mi venne voglia di bruciarle. Raderle al suolo con un martello, una palla da demolizione. Fui disgustata.
<<Ti ho chiamato, non hai risposto.>>
<<Ero impegnata>> risposi fumando.
<<Ho bisogno di parlarti>> mi voltai sbuffando. Lasciai cadere la sigaretta sul legno e la spensi con la suola della scarpa. L'impellente voglia di fumare mi investii ancora una volta, però non mi lasciai sopraffare.
<<Che cazzo vuoi, Lionel?>>
<<Parlarti>> insistette. Non sembrò scocciato dal mio tono ma io lo ero. Quindi ironicamente indicai il divano e lo invitai a sedersi. La porta rimase aperta, nessuno la chiuse. Si avvicinò cacciando dalla tasca dei jeans un pezzo di carta che capii subito essere una foto plastificata. Mi salii la nausea. Basta foto, basta ricordi. La lanciò sul tavolino e sotto il suo sguardo indagatore, avanzai per vederla meglio. La strinsi tra le dita. Eravamo noi.
<<Non capisco>> non trovavo nulla di strano in quella foto, solo due bambini sorridenti ignari in quel momento di ogni sofferenza. Quel giorno il sole spiccava molto forte, ma appena tramontò le paure fecero il pieno e mi vennero a trovare.
<<Cosa ce sulla sfondo?>> Chiese.
<<Una casa, e allora?>>
<<Guardala meglio>> intimò. Mi percorse un brivido di paura. Gli occhi erano neri, li vedevo neri, non più celesti.
<<E' una casa, non so di chi sia, non la conosco.>>
<<Guardala meglio.>>
<<Ho guardato, non lo so!>> Sbottai lanciando in aria la foto. La raccolse fugacemente da terra e avanzò verso di me. Me la passò.
<<Guardala ancora! Guardala! Di chi è la casa?>> Tremai. Mi sbatté in faccia il pazzo di carta ed io cercai di non andare in panico. Non capii il perché della sua reazione esagerata, però avevo paura di lui. Gli occhi vuoti e i denti stretti. La posizione rigida e il cuore palpitante di terrore. Chi era?
<<Cosa vuoi da me?>>
<<Devi guardare la foto e riconoscere la casa.>>
<<Te l'ho detto, non so di chi sia.>>
<<E allora riguardala!>>
<<Non voglio!>> mi strattonò il polso e urlai per il dolore. Mi costrinse a tenere l'immagine e me la portò davanti gli occhi. Li chiusi. I nostri sorrisi giovanili mi inquietarono. Un bel giorno rovinato da tanto timore.
<<Seira, guarda la foto.>>
<<Non voglio, non voglio e tu smettila di stringermi così forte!>> Lo spinsi via con il braccio libero e mi staccai dalla sua presa. Sul polso sinistro si erano già marchiati dei segni rossi. Lionel emise un verso spazientito e strappò la foto. Sussultai per il gesto improvviso. I pezzetti ricaddero al suolo senza fare rumore e mi portai una mano alla bocca quando sgomenta lessi ciò che c'era scritto sulla parte posteriore dell'immagine. Riconobbi immediatamente la scrittura, l'inchiostro con cui era stata impressa la firma. Quella firma. Sgranai gli occhi sentendo le gambe diventare deboli, mi ressi al divano e provai a respirare ma avevo un masso bloccato in gola.
<<Adesso riconosci la casa?>> Certo che la riconosco. La casa d'infanzia, quella dove passai i miei primissimi anni di vita. La residenza al mare era diventata poi di proprietà della zia Morene dopo che noi traslocammo nella seconda villa. Il mare aiutava la sua malattia, la stessa che attaccò la mamma due anni dopo. Provai a collegare i pezzi. Perché Lionel aveva questa foto e perché era così arrabbiato? Chi era e cosa sapeva? Voleva parlarmi di questo da tempo e perché solo adesso si era presentato?
Un lampo mi annebbiò la vista. Avevo capito.
<<Lionel Arthur...Gold. La firma dietro la foto è quella di tua madre, Morene.>> Adesso avevo capito tutto. Adesso ricordavo di lui. Il mio primo amore era Lionel, ma Lionel era mio cugino. Lo fissai cercando conferma nei suoi occhi, la trovai. Il volto si era rilassato, il peso che portava, buttato.
<<Sei tu il figlio della zia Morene. Perché non ci siamo mai incontrati?>>
<<Ci era proibito, ricordi?>>
<<Si, ma perché?>>
<<Perché Monique pensava che mia madre potesse portare il male dentro casa vostra. A quanto pare è arrivato lo stesso. La fine della tua famiglia fu anche peggiore della mia>> di che fine parlava? La zia Morene era morta per la schizofrenia, si era suicidata. Ma il marito non so che fine fece.
<<Tuo papà...>> lasciai la frase in sospeso per fargliela completare. Abbozzò un sorriso malinconico prima di lasciarsi andare al passato. Non farlo, Lionel, non tornerai più indietro.
<<Morto con la mamma.>>
<<Come...>> rimasi spiazzata. Lionel era orfano. Lionel diventò orfano all'età di sette anni. Dove fu per tutto questo tempo? Perché lo incontrai solo otto anni dopo?
<<Credi che sia diventato detective solo per piacere? Che fine avremmo fatto se tutti avessero scoperto la maledizione della famiglia Gold? Dovevo eliminare tutte le prove.>>
<<Che vuoi dire? Cosa hai fatto?>>
<<Ti ho pedinato.>>
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W I R E D
Mystère / ThrillerCompleta. Seira Gold era una scrittrice che divenne famosa raccontando la sua vita nei libri che scriveva. Aveva un passato che la seguiva, che non la faceva dormire la notte. Attualmente ventisei anni, cinque anni fa un 'incendio avvolse il desti...