<<Prendi il mio cappotto, fa freddo, Seira>> sulle spalle ritrovai il capotto nero di Hideo e mi coprii per non ammalarmi nuovamente. Aprile era quasi finito, ma il gelo della mattina era indelebile. Il sole era già sorto e le sei di mattina mi fecero sbadigliare. Bevvi il caffè e l'acqua. Contenei tutta la mia agitazione sfregando le mani tra di loro e ripensai a due notti fa, quando il profumo di Valentín era rimasto impresso sul mio pigiama. Lo sognai prima di addormentarmi, il suo odore mi inebriava la mente, così come il dono di riuscirmi a calmare con semplici e strazianti parole. Mi batté forte il cuore al solo pensiero di lui a casa mia, senza nessuno, ad aspettare il mio rientro. Guardavo l'orario con la speranza di ritornare il più presto possibile, anche se sapevo che si sarebbe fatta sera. Non ero più andata a trovare il mio amico barista e la telefonata di Lionel non era ancora apparsa, fortunatamente. Dovevo fare delle ricerche su di lui, qualcosa mi diceva di non abbassare la guardia. Carissimo trenta aprile, sei il giorno peggiore e migliore della mia vita. Giocai col bastoncino uscito insieme al bicchiere marrone del caffè e provai a disegnare un cuore. 
<<Sei silenziosa, oggi>> parlò Hideo non smettendo di fissarmi preoccupato. Gli sorrisi per fargli capire che andava tutto bene e ritornai a concentrarmi sul cuore di caffè. Ma in realtà i miei pensieri erano rivolti a tutt'altro. Ad esempio a Valentín col grembiule alle sei di mattina che mi preparava i pancakes. O la prima volta che mi chiese di rimanere in villa per dormire. O che si prendeva cura di me, quando stavo male. Oppure lui che fumava ispirando più il mio profumo che il fumo della sigaretta. Al suo sorriso e ai suoi occhi cerulei che non finivo mai di scoprire. Alle sue labbra che avrei voluto mangiare, mordere e solo alla fine, baciare. 
<<Seira.>> A tutte le parole tenere che avrei voluto dirgli ma di cui mi serviva il coraggio che non avevo. Dovevo solo aprirgli di più il cuore perché lui lo aveva fatto. E come io accetterò le sue cicatrici, lui accetterà le mie. Ero sicura, ero contenta. 
<<Seira, stai facendo cadere il caffè. Seira, mi ascolti?>> La manata violenta del mio manager mi fece battere le palpebre  e mi spostai di scatto quando notai delle gocce di caffè correre verso il bordo del tavolo per poi sporcare i miei pantaloni bianchi. Presi dei fazzoletti e pulii il disastro. 
<<A cosa pensavi che eri così distratta?>>
<<Ma a niente. Ero solo assonnata.>>
<<Non ti credo. Perché in questi giorni non sei venuta in ufficio?>> Perché ero troppo impegnata a sdraiarmi durante la notte sulla pietra a guardare le stelle con Valentín.
<<Stavo male. Mi era ritorna la febbre.>>
Hideo non disse niente e si preparò. Era arrivata ora di riprendere il viaggio. Raggiungemmo l'auto dove Diana aspettava impaziente da trenta minuti.
<<Aspettami in macchina, vado a prendere le sigarette>> disse girandomi le spalle. Una lampadina mi si accese e gli urlai dietro. 
<<Ma le ho io, non comprarle>> le cercai nella borsa per poi fargliele vedere. Lui si avvicinò confuso e solo dopo si fece rosso in faccia. 
<<Seira...>> avanzò lentamente.
<<Cosa?>> Chiesi non capendo. Poi Diana intervenne facendo capitolino dal finestrino della macchina. 
<<Da quando fumi?>> Sbiancai. Mi ero dimenticata di questo particolare. 
<<Ma non sono mie. Ti pare...sono di Valentín!>> Mi affrettai a dire porgendole a Hideo che le prese ancora più arrabbiato. Le buttò nel cestino ed io soffocai un urlo di disapprovazione. Cinque euro buttati nel cesso. Strinsi gli occhi ricordandomi che loro non sapevano neanche di Valentín e la voglia di sotterrarmi era alta. 
<<Scusami, scusami, Valentín? Il ragazzo che stava a casa tua l'altro giorno?!>> Fulminai Diana con lo sguardo e lei ritornò seduta e soprattutto, in silenzio. 
<<Valentín è a casa tua?>>
<<No, era.>>
<<Seira Gold, non mentirmi perché ti giuro do di matto. Ti stai sentendo con lui?>> Fece un passo avanti e minacciosamente mi indicò. Provai imbarazzo e ansia, non volevo mentire ma neanche dire la verità. Hideo era così arrabbiato che per poco non vidi le vene scoppiargli dal collo.
<<N-no.>>
<<Sai cosa penso di questa storia>> deglutii. 
<<E a me cosa interessa...>> sibilai sottovoce.
<<Tu non lo conosci.>>
<<Perché tu si?>> Ribattei alzando i toni. Si girò frettolosamente indietro e buttò i capelli giù, come se questo potesse scaricargli la tensione.
<<Non voglio litigare, non oggi, ne riparleremo>> strinsi i pugni e mi obbligai a non continuare la conversazione. Pensai anche io che non fosse il giorno adatto, quindi mi contenei.
<<Non ne riparleremo. Non voglio commenti. Sali in macchina senza le sigarette o guido io e ti lascio qua>> aprii la portiera senza aspettare una sua reazione e la richiusi provocando un tonfo che risuonò violento. Buttai il suo cappotto sul sedile al mio fianco e mi allacciai la cintura. Misi in moto e aspettai dieci secondi, abbassai il finestrino guardandolo.
<<Non farai seriamente.>>
<<Secondo te cosa sto facendo? Non lo ripeterò: o sali o rimani qui. Hai dieci secondi netti>> alzai il finestrino e con la coda dell'occhio vidi Diana che faceva segno a Hideo di salire e stare in silenzio. Poco dopo il mio manager si sedette vicino alla mia collega e il viaggio passò in silenzio.
Era un posto privato, familiare quello dove stavamo andando. Ogni anno, ritornavamo qui, dove i ciliegi diventavano sempre più rosa e gli alberi sempre più verdi. Con la mano trasportai il bacio dalle labbra alle foto della mia famiglia ormai deceduta. La cappella si era mantenuta bene dopo mesi di temporali e sole infuocato. Le numerose foto dei miei fratelli e sorelle mi facevano piangere. Minacciavano la mia sensibilità e dovetti abbassare lo sguardo per qualche secondo per non crollare. Sentii un braccio avvolgermi la spalla e poggiai la testa al petto di Hideo, che mi accarezzò i capelli, sapendo già cosa stavo pensando. Mi voltai una volta che feci tornare indietro le lacrime e mi avvicinai alla foto di mia madre.
<<E' in un posto migliore, lo sai?>>
<<Non voglio sapere dov'è. Voglio sapere se le dispiace e se sta guardando l'unica figlia ancora in vita>> presi un respiro e continuai:
<<Sappi che io non sto pregando per la tua redenzione. Non ti alleggerirò nessuna pena. Le mie lacrime non saranno d'amore per te. Non avrai un posto nel mio cuore. Sei stata cattiva con me, mamma.>> Le sfiorai le guance rosate e le accarezzai i capelli neri come la pece, capelli che io avevo ereditato da lei.
<<Era comunque tua madre. Non essere così severa con lei, Seira.>>
<<E' stata l'unica mamma che ho avuto. Nessuno mi ha dato la possibilità di averne altre, ne di esser stata amata da qualcun'altra donna che mi considerasse sua figlia. Tu capisci...capisci quale dono ho perso? Tu hai avuto una mamma che ti ha amato e per quanto potesse romperti le scatole, lei era là. Ma io non l'ho avuta. Non ho avuto né una mamma né un papà. Ho perso i miei fratelli e le mie sorelle, sono rimasta orfana per colpa loro.>>
<<Prima che Monique peggiorasse era una brava mamma. Lo hai scritto anche nei libri.>>
<<Nei libri ho mentito.>> Un petalo di ciliegio si posò sul braccio, per poi cadere senza essere salvato. Ero come quel petalo di fiore sul filo della morte. Non sapevo quanto tempo mi restasse ancora, ma una parte di me non era più viva. Diamine Jake, zero a due.
<<Che vuoi dire?>>
<<Purtroppo le madri hanno preferenze, anche se non lo dicono, si vede.>> Dedicai un bacio alle mie sorelle e fratelli e con uno sguardo impassibile guardai mamma, le rivolsi tutto il mio dolore. Papà...non mi preoccupai minimamente di lui. Ci avevo abbandonato per un'altra donna e poi era corso da noi per fare la messa in scena della famigliola felice. Peccato che non sapeva sarebbe stato il suo ultimo giorno. Girai le spalle, raggiunsi Diana che anche questa volta era rimasta in macchina. Non seppi per quale motivo venne anche lei, ma non era d'intralcio, anzi, era stata abbastanza silenziosa.
<<Tutto bene?>> Chiese a bassa voce, come se avesse paura di sprofondare nelle sabbie mobili del mio nervosismo e non rendersene nemmeno conto. L'aria dentro l'automobile era soffocante e martellante che mi costrinse a fare un passo indietro e ad andarmene via. Sentii la portiera sbattere e la voce della mia collega rincorrermi.
<<Seira, ma qual è il tuo problema?>> Mi bloccai. Non mi aspettavo una reazione del genere da parte sua ma non l'accettavo. Mi girai di scatto e le andai contro, senza neanche darle il tempo di spiegarsi. Diana indietreggiò sbiancando ed io le puntai il dito, proprio come due persone che si odiano fanno a vicenda. 
<<Smettila di parlare a cazzo. Tu non sai niente, hai capito? Perché sei venuta? Cosa altro vuoi scoprire? Qual è il tuo problema, lasciami in pace, cazzo!>>
Non andava mai niente bene.
Niente per il verso giusto.
Solo un mucchio di parole cattive e malvagità che riempivano le giornate troppo piene per farsi del bene l'uno con l'altro.
Non un sorriso, non un complimento. 

La vita non è fatta di questo. La vita è fatta di sacrifici inutili e rimpianti odiosi.
Ma che ne sapeva la gente che viveva a modo suo.
Anche se a modo loro, qualcosa sapevano sempre. 

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