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Fummo accolti da commenti espliciti dell'immancabile Sabina ma anche da Germana, Alessia, Giulia, Marta, praticamente quasi tutte.

Dovevo ammettere che da quando mi conoscevano non era passato un giorno in cui non mi avessero sentito parlare di lui, di quanto mi piacesse, del mio desiderio di incontrarlo, del fatto che avrei dato la mia vita - e quella di tutti gli altri - pur di toccarlo, baciarlo e... però non potevano mettermi così in imbarazzo! Lo so, senza alcun dubbio io sarei stata ancora più infame al posto loro, soltanto io non ero in grado di fare la fan. Nella vita reale, se mi ci fossi imbattuta da qualche parte, non sarei mai andata da lui a chiedere una foto o un autografo o a stringergli la mano. Mai lo avrei fatto. Mi sentivo uno schifo in confronto a Damien e il pensiero che pensasse questo di me mi faceva impazzire, quindi meglio lontano per non rimanere delusa o colpita da un suo - giusto - gesto di rifiuto o fastidio. Ma ora come avrei potuto fare? Potevo solo mantenere le distanze e un minimo di dignità.

«Vi spacco la faccia se continuate così», con sguardo torvo rivolta verso il gruppo delle irriducibili.

«Stavo dicendo, Ginevra,» Dari usò un tono di ammonimento, «che da oggi in poi la lingua ufficiale qui dentro sarà l'inglese, per rispetto dei nostri ospiti. E anche perché a voi tanto male non fa, anzi. Perciò l'italiano sarà bandito, non dovrete usarlo neanche quando parlate tra di voi o almeno mai in presenza di un adulto.»

«Adulto? Ma vaffanculo!» Marta mi passò accanto. Mi venne da ridere, il suo modo di parlare era uno spasso, proprio da borgata.

«Ho detto qualcosa di divertente?» mi fulminò Dari.

«Tu non dici mai niente di divertente», risposi in tedesco. «Ah, scusa, dovevo parlare in inglese, hai detto?»

Stronzo. Cos'era diventato ancora più acido perché non si sentiva più il bello della situazione?

«Avanti, riproviamo un paio di volte la canzone di prima e poi andiamo a casa, che Keira e Damien saranno stanchi dopo il viaggio», Marzio si diresse verso il pianoforte.

«Riprovare? Perché non era andata bene prima?» Ebbi un inizio di ridarella nervosa che si spense subito quando realizzai che l'unico che mi aveva sentito era Damien, che stava appena dietro di me. Lo sentii sogghignare.

Mi avvicinai con riluttanza al gruppo che si disponeva su due file a semicerchio come veniva indicato scrupolosamente da Marzio, che nel frattempo spostava due aste portamicrofono davanti a tutti gli altri. Ecco, era lì che dovevo stare con Damien. Avrei preferito essere presa a frustate e la mia espressione non nascondeva quel pensiero.

Mentre Marzio ci diceva chi dei due doveva iniziare e come dividerci il testo, la parte del mio cervello ancora vigile si focalizzava su delle figure che si spostavano nella sala e si sistemavano davanti a noi, per godersi lo spettacolo: i tre moschettieri tristi - Dari, Mathias e un tizio che stavo notando solo in quel momento e che poi scoprii essere l'assistente di Damien, Nicholas Lee. Erano lì impettiti a guardare noi ragazze con sguardo severo, rilassandosi solo quando puntavano gli americani. Sembravano dei genitori che avevano portato i figli indisciplinati nella nuova casa di amici, piena di vasi e con le pareti bianche che a ogni sguardo promettono punizioni corporali in caso di macchie sul divano o qualsiasi altro tipo di incidente venisse loro in mente. Più ci pensavo e più ritenevo calzante il paragone. Mi stava riprendendo la ridarella nervosa e lì erano già tutti pronti per cantare. Dari mi diede un'occhiataccia e Mathias cambiò posizione mettendosi a braccia conserte, sembrava un militare.

La musica era partita e io mi ero persa quasi tutte le indicazioni di Marzio. Mannaggia a me. Di sicuro avevo sentito che doveva iniziare Damien. Era al mio fianco ma non lo avrei guardato neanche sotto tortura, perciò sguardo fisso su Marzio. Anche Damien era rivolto verso di lui quindi probabilmente ci era stato detto di fare così.

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