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20 novembre 2000

«Quindi noi andiamo?» era la seconda volta che Flavia me lo chiedeva. Guardò titubante Viviana.

«Sì, sì, rimango ai giardinetti. Vengo più tardi oggi, non mi va di arrivare prima.»

Così andarono via, incamminandosi verso la fermata dell'autobus. Io mi girai e presi la strada opposta, direzione giardinetti della stazione ferroviaria, abbastanza squallidi, desolati e pieni di cartacce da essere in linea col mio umore.

Cercai una panchina al sole che non fosse troppo isolata perché quel posto era frequentato da tossici. Ne trovai una che sembrava addirittura pulita e mi decisi a tirar fuori il panino col prosciutto cotto e a mangiare qualcosa prima che mi scoppiasse il mal di testa.

Bene, come avrei passato il tempo? Continuando a pensare a Damien? No, lo avevo fatto per tutta la domenica e il mio umore era il risultato di quei pensieri.

A un tratto mi venne in mente Enea. Dopo sabato non ci avevo più pensato ma del resto sembrava che neanche lui lo avesse fatto. Non un messaggio o una chiamata. Certo, non avrebbe cambiato nulla e non era tenuto a farlo, però visto come aveva provato a riavvicinarsi avrebbe potuto azzardare un piccolo gesto. Ma poi, chi glielo faceva fare? In fondo ero stata chiara, perché avrebbe dovuto riprovarci ancora? Io avrei cambiato idea? No. Lui pensava di cambiare? No. Quindi aveva fatto la cosa giusta.

Cos'altro pensare... progetti per il futuro? Ero stata sincera con Damien, al momento non riuscivo a vedere oltre il presente. Proiettarmi al prossimo anno dando per scontato che lui non sarebbe stato più qui... no, dovevo impegnare la testa con altro.

Stavo per tirare fuori il cd portatile ma ogni canzone mi avrebbe fatto pensare a lui. Così adocchiai il libro di economia che avevo nello zaino e lo trovai quasi accattivante. No, non era vero, mi annoiava da morire, tuttavia in quel momento annoiarsi e non pensare era un lusso.


16.05, quando entrai si stavano iniziando a preparare per le prove. Tempismo perfetto.

«Buonasera a tutti», senza alzare troppo la voce.

«Pensavo non saresti più arrivata! Stavamo per iniziare», Marzio, guardandomi più da vicino, si accorse della mia brutta faccia e tirò un'occhiataccia senza aggiungere nulla.

Alzai le spalle. Era tutto ciò che avevo da dire. Alla mia destra sapevo di avere Damien, lo avevo visto entrando, per questo ero andata dritta da Marzio, non volevo dargli il tempo di avvicinarsi. Se mai avesse avuto intenzione di farlo.

Chissà che impressione gli davo quel giorno, con gli anfibi, i pantaloni neri a vita bassa e il maglione corto e nero, l'ombelico fuori. Sugli occhi abbondante mascara che doveva nascondere il gonfiore. Avevo l'aria vagamente dark.

Non vedevo l'ora di cantare, per fare qualcosa, per non essere lì a farmi domande e a schivare quelle altrui. Mi sentivo chiusa in una bolla, il mio sguardo fisso su Marzio nella speranza che iniziasse a suonare.

Partimmo con un paio di canzoni in cui facevo solo il coro. Mi andava bene ma avevo l'impressione fosse solo il riscaldamento. Cantammo di nuovo la canzone con Keira e diedi il massimo, senza aver paura di esagerare. Non me ne fregava niente di quello che poteva pensare Damien, tanto non gli piacevo comunque.

Quando fu il momento di provare con lui, pur avendolo davanti mi sembrava di essere sotto l'effetto di qualche droga, nessuna vergogna, non diedi importanza al cenno di saluto che mi fece. Probabilmente avevo uno sguardo vitreo, mi mancava la percezione di quello che c'era fuori di me, vedevo solo figure indistinte, ero completamente indifferente.

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