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Quando parcheggiò, stava già iniziando a piovere. Non aveva ombrelli in auto, per fortuna ci bagnammo poco, non volevo lasciare tracce di bagnato per quella casa immacolata che, stranamente, non mi stava dando le sensazioni che immaginavo. Mi sentivo tranquilla, diedi una rapida occhiata al divano e verso la zona dove ci eravamo baciati, ma non ero avvolta dal disagio. Ci pensavo tutti i giorni a quei momenti, però ora che ero lì, sembravano appartenere a un passato lontano, quasi come non li avessi vissuti io. In parte mi dispiaceva, in parte mi avrebbe reso quel pomeriggio meno difficile.

Mi chiese se mi servisse il bagno e ne approfittai anche per fare pipì, cosa che non facevo mai a casa degli altri. Ciononostante il pomeriggio si preannunciava lungo e dovevo affrontarlo in buono stato fisico e mentale.

Dentro quel bagno c'era l'odore del suo profumo e per un attimo mi passò per la testa l'idea di sbirciare nei cassetti o nell'armadio, mi trattenni e uscii cercando di lasciare tutto in ordine come avevo trovato.

Era già in cucina, la pentola sul fuoco. Guardarlo lì mentre si dedicava a cucinare per me mi fece sorridere. Poi rinsavii e compresi che lo stava facendo soprattutto per lui, aveva sicuramente fame a quell'ora. Ancora non mi era salita l'ansia per dover mangiare con lui. Chissà dov'era finita, c'ero così affezionata ormai che quando al momento giusto non la vedevo arrivare, mi preoccupavo.

Gli andai vicino e si girò con un bel sorriso. Risposi col mio che si ingrandì troppo, mi morsi il labbro inferiore per tenerlo fermo. Mi invitò ad aprire il frigorifero e scegliere quello che preferivo mangiare, ricordandosi che non amavo il pesce.

«Praticamente mi stai chiedendo di cucinare.»

«No! Lo farò io.»

«Scherzo. Lo faccio io. Però non sono capace, ti avverto. Sarà la peggior cucina italiana che tu abbia mai assaggiato», con un largo sorriso, come se fosse una cosa bella.

Mi sentii abbastanza tranquilla nel rovistare in frigo e freezer e trovai quello che volevo. Tirai fuori prosciutto e piselli e gli domandai se andava bene che facessi la pasta con quel condimento. Annuì convinto e iniziammo a cucinare insieme, prima però accese lo stereo. Era divertente e rilassante, oltretutto l'imbarazzo era andato a cercare l'ansia quindi in quel momento non c'era. Canticchiammo, con tanto di movimenti a ritmo di musica. Lui tagliò principalmente il prosciutto a pezzettini. Però lo fece nella maniera più sexy del mondo.

Usai mille posate per assaggiare ogni tanto il grado di cottura dei piselli e della pasta, onde evitare di usare la stessa posata due volte contaminando anche il suo cibo con la mia saliva.

Quando fu il momento di mangiare, sul bancone dove avevamo consumato latte e biscotti, presi il coraggio a due mani e inforcai un rigatone.

«Questa è la mia pasta preferita», annunciai. «Certo, non proprio come la faccio io.»

Mi fece i complimenti ai quali non credetti, consapevole delle mie inesistenti doti da cuoca.

Ne mangiai poca, ma tanta per lo sforzo che stavo facendo e mi sembrò soddisfatto. A ogni rigatone mi domandavo come affrontarlo, evitando di metterlo tutto in bocca, mordendolo e facendone piccoli bocconcini, quasi fossero patatine.

Mentre mangiavamo mi fece domande sulla mia famiglia, non fui molto prolissa, preferivo tenere le due cose separate. Desideravo lasciarlo fuori dal mio mondo, perché quando non ci sarebbe stato più e io sarei tornata lì, tra i miei familiari, non avrei voluto che ci fosse qualcosa a ricordarmelo, neanche il ricordo di quando parlavo di loro. Sarebbe stata l'unica cosa che mi sarebbe rimasta, ormai anche i miei amici erano da considerare pregni dei suoi ricordi.

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