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26 febbraio 2001

Era passato parecchio tempo dall'ultima volta che mi ero seduta là sopra, sul mio davanzale. Guardavo fuori verso il nulla, illuminata dal sole che tra non molto sarebbe andato a riposarsi. Aspettavo con ansia il passaggio all'ora legale, ma mancava ancora un mese e a quel punto avrei iniziato anche a fare il countdown per lo spettacolo. E lui, quando sarebbe partito, poi? Un nodo alla gola non mi permise di continuare a canticchiare la canzone che stavano provando le altre.

Con la coda dell'occhio lo vidi avvicinarsi, chissà se seduta così con la gonna stavo dando mostra di qualcosa. Di certo più che una donna sexy, sembravo una ragazzina che ancora non sedeva composta.

Si appoggiò con un braccio al muro sul quale tenevo le spalle, ma quell'inquadratura non mi donava quindi mi spostai mettendomi dapprima seduta, poi visto che continuavo a ciondolare le gambe come una bambina sull'altalena, decisi di scendere mentre mi chiedeva dove volessi andare quella sera.

«Stasera?» Non volevo passare a casa sua a prendere i regali.

Fece spallucce. «Sì, hai da fare?»

«Domani ho un'interrogazione, dovrei ripassare.» Era vero anche se non ne ero molto preoccupata.

«Su cosa?»

«Letteratura inglese.»

«Perfetto, sono laureato in letteratura inglese.» Ma mentre parlava già ridevo. «Non ci credi?»

«No.» Quanto mi piaceva quando faceva il finto serio.

«Ti giuro.» Scuotevo la testa per fargli capire che non riusciva a darmela a bere. «Scommettiamo. Se è vero, ti porto fuori a cena.»

Probabilmente feci una delle mie espressioni inorridite perché lui mi prese in giro riproponendomi la mia espressione per poi mettersi a ridere. «Oh mio Dio! Che cosa ha detto!» continuò facendomi il verso.

«Sei simpatico», feci finta di non pensarlo. Però lo pensavo, era una persona molto divertente. Lo punzecchiai, dicendogli che erano passati talmente tanti anni da quando si era laureato che di sicuro ricordava poco e avrei rischiato di andare male all'interrogazione per colpa sua.

«Nessun brutto voto. Dai, quando usciamo da qui...»

Un'ombra mi passò sul viso e la notò. Come potevo dirgli che non volevo passare da lui?

Mi puntò un dito sulla fronte e formò dei piccoli cerchi. «Cosa stai pensando? Riconosco quando ti arrovelli.»

«Niente», pensa, pensa, pensa.

«Ho i regali qui con me.» Il guizzo nei miei occhi gli confermò che era quello il mio pensiero, ma non commentò. «Dove vuoi andare? Intanto parliamo di letteratura inglese...»

«Ehi, voi, laggiù. Ci state facendo vomitare con tutto quel glucosio! Ve ne andate? Oggi siete liberi, non vi vogliamo più vedere», Steve usò un microfono tanto per umiliarci ben bene. Poi scambiò due parole con Marzio e, sempre al microfono,: «Non venite neanche domani, così siete liberi di pomiciare tutto il pomeriggio altrove».

Bastardo.

Damien mi guardò muovendo le sopracciglia in uno sguardo provocante e gli lanciai un'occhiataccia.


«Passeggiata in centro?» Intanto si immetteva sulla strada principale.

Mi allarmai.

«Non hai paura che...» lasciai la frase a mezz'aria.

«Mi riconoscano? No. Non credo, poi è buio, gira poca gente. E comunque non sarebbe un problema.» Mi guardò. «Per te lo è?»

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