63.

40 13 87
                                    

28 marzo 2001

Avvertivo sempre mia madre quando non entravo a scuola. Infatti le mie non erano delle vere e proprie seghe, perché quelle dovevi farle di nascosto. Io invece raccontavo sempre tutto, per una questione di fiducia che dovevo meritare, pensavo fosse corretto così.

Non quel giorno.

Diedi appuntamento a Damien molto presto, a un orario folle, a pensarci bene: 6,40. Il fatto era che avevo paura di incontrare Flavia e quindi anticipai l'orario di dieci minuti, sperando che quella mattina non fosse in anticipo anche lei. Non dovevo giustificarmi con nessuno, però non volevo pensasse che avesse ragione, che stavo uscendo con lui per chissà quale motivo, a quell'ora, quando sarei dovuta andare a scuola. Avrebbe tratto delle conclusioni affrettate senza accettare spiegazioni.

Oltretutto dovetti portare giù i cani per una breve passeggiata mattutina, visto che mio fratello si era svegliato tardi e mio padre era già uscito. Mentre tornavo verso casa, vidi Damien parcheggiare la macchina. Era in anticipo di dieci minuti. Santo Cielo, cosa avevo fatto per meritarmelo? Niente, infatti non me lo meritavo.

Comunque scese dall'auto e ci venne incontro. Meringa, lo puntò subito e borbottando gli andò vicina, di nuovo con aria minacciosa. Roby gli fece le sue svogliate feste, leccandogli le mani.

«Continuo a non piacerle», guardò Meringa accarezzando Roby.

«Meringa non lo toccare che se gli fai un graffio dobbiamo ripagarlo!» scherzai. «Mi dispiace averti fatto fare quest'alzataccia, forse dovevamo organizzarci meglio.»

«Sono fresco come un fiore, nessun problema!» col sorriso smagliante.

«Porto a casa loro e arrivo.»


Parcheggiammo l'auto sul Lungotevere ed entrammo in Piazza del Popolo per poi salire al Pincio, a quell'ora abbastanza deserto. Rimanemmo a osservare Roma muoversi sempre più freneticamente, parlammo piano, quasi ci fossimo appena svegliati insieme. All'arrivo di un gruppo di ragazzi mi propose di andare a fare colazione e non rifiutai l'invito, soprattutto perché immaginavo che ne avesse bisogno.

Il locale elegante lì vicino non era tra quelli che frequentavo, ma a quell'ora c'erano diversi studenti e non mi sentii fuori posto con i miei pantaloni neri attillati, gli anfibi e la camicetta fucsia con diversi bottoni slacciati, ancora nascosta da un leggero piumino. Fummo quasi costretti a sederci fuori, sulla terrazza, per la confusione che c'era all'interno e dovetti lottare con la mia voglia di buttarmi di sotto. Non volevo stare al tavolo con lui, era una situazione che mi disturbava l'anima. Per fortuna dovevamo ordinare qualcosa di facile quindi neanche aprii il menù chiedendo direttamente un caffè macchiato e un cornetto semplice. E lo feci solo perché sia lui che il cameriere avrebbero insistito chiedendo cosa desiderassi mangiare, così li anticipai.

«Niente latte?»

No, non lo bevo più da quando ci siamo baciati, sai mi ricorderebbe del momento più bello della mia vita e vorrei evitare di angosciarmi appena mi alzo.

Scossi la testa sorridendo senza aggiungere altro. Ordinò lo stesso per sé.

Il cameriere tornò dopo qualche minuto, io sbocconcellai il cornetto per dare un senso al fatto che l'avessi ordinato e ne lasciai metà. Prima di andare via mi chiese: «Finisci mai qualcosa che inizi a mangiare?».

«Stai per farmi una ramanzina sui bambini poveri che muoiono in Africa?»

Mi fissò, voleva dirmi qualcosa ma non disse niente.


Camminammo per i lunghi viali, arrivammo al laghetto e insistette per fare un giro sulle barchette. C'eravamo solo noi, il tizio che le affittava era appena arrivato.

GinevraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora