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Immaginavo sarebbe capitato qualcosa del genere, ormai il mio stomaco riusciva a trattenere ben poco se messo alla prova da forti emozioni. Era un altro modo per cercare di espellere il dolore che avevo dentro, quello che si formava proprio lì, sotto le costole.

In realtà non mangiavo quasi nulla da giorni, quindi avevo più che altro forze di stomaco e riuscii a vomitare ben poco. Mi ero portata comunque dietro pacchetti di fazzolettini, gomme e caramelle che consumai in grande quantità tutte insieme, mentre cercavo di sistemare quel filo di trucco che mi ero messa. Forse avrei dovuto portarmi anche lo spazzolino e il dentifricio ma sarebbe sembrato come se stessi per passare una notte brava fuori casa, piuttosto che prepararmi a fare visita a dei bambini malati. Oltretutto, in me, c'era un briciolo di speranza che riuscissi a trattenermi fino a casa.

Ad ogni modo, non puzzavo di vomito.

Fuori dal bagno, non mi meravigliai di trovarlo ancora lì ad aspettarmi, appoggiato alla parete opposta. Gli andai incontro e lui venne incontro a me. Quando ci trovammo fianco a fianco ci dirigemmo verso l'uscita in silenzio. Mi prese la mano intrecciando le dita con le mie e glielo lasciai fare.

Arrivammo alla sua auto senza dire una parola, addirittura mi aprì lo sportello e non commentai.

Appena terminata la manovra per uscire dal parcheggio, riprese la mia mano e la tenne per tutto il tempo mentre guidava, senza lasciarla nemmeno per cambiare marcia. Lo trovai molto confortante.

Ero così addolorata per quei bambini, così frastornata da giorni imbottita di tranquillanti che non riuscivo a pensare, a focalizzarmi su qualcosa. Avevo l'impressione di galleggiare, di non rendermi conto dove mi trovassi e di fregarmene altamente.

Poi riconobbi la strada e poco dopo sentii l'odore. In quel periodo si sentiva di più, soprattutto per la mancanza di auto che circolavano.

Il mare era calmo, il sole era alto e il cielo limpido, di un azzurro vivace.

Ancora in silenzio, mi lasciò la mano solo il tempo di fare il giro della macchina e ritrovarsi di nuovo accanto a me. Camminammo a lungo sul bagnasciuga umido e compatto, che rendeva facile la passeggiata nonostante avessi gli anfibi.

All'altezza del campo da beach volley, entrambi rivolgemmo il nostro sguardo verso dove, circa due settimane prima, ci eravamo divertiti per qualche ora, per poi perderci. Sembrava passata un'eternità. Mi tornavano in mente dei flash di momenti simpatici, seguiti da sensazioni spiacevoli, rabbia, delusione, poi di nuovo il sole, le risate, il buio e il ritorno in auto completamente in silenzio. Ma non come quello che c'era in quel momento, un silenzio che urlava. Mi strinse ancora di più la mano e io risposi. Avrei potuto camminare lungo la costa fino alla punta dello stivale se non si fosse fermato lui. Capii che voleva sedersi e lo feci per prima. Lui al mio lato sinistro, le nostre gambe si toccavano. Guardavamo il mare, qualche vela in lontananza e la luce del sole che risplendeva sull'acqua. Gli occhi mi facevano male per quel bagliore e forse anche a lui, ma nessuno dei due mise gli occhiali da sole, sarebbe sembrato un modo per nascondersi. La sua mano destra era di nuovo intrecciata con la mia sinistra e usava l'altra per accarezzarmi le dita, con gesti naturali.

«Avrebbe dovuto essere così», disse dopo un po', continuando a guardare il mare.

Io mi appoggiai a lui, alla sua spalla, e lui spostò il braccio stringendomi a sé. Mi abbandonai, quel giorno non ce la facevo a combattere contro me stessa. I pensieri andavano e venivano, non mi sentivo lucida, non avvertivo nemmeno più le forze. Mi chiesi se Mathias avesse raccontato a Damien del mio attacco del giorno prima e se fosse quello il motivo per cui ora eravamo lì. Cosa importava? Ora sapevo che dovevo continuare con lo spettacolo e lo dovevo fare bene, per quei bambini.

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