Mio padre, mia madre, mio fratello e gli amici, che mentre tutto mi franava
attorno e dentro restavano fermi al loro posto, nei primi tempi si erano dati il
turno per dormire con me, mi avevano trascinata al cinema, al parco, al
karaoke, allo stadio, in vacanza, non si sottraevano alle telefonate inutilmente
lunghe senza "tu" (come stai? cosa pensi? che fai? ti permetti forse di esistere,
nel frattempo?) e piene solo di "io" (non esisto più, sto male, voglio morire, e ora
che faccio?) con cui li torturavo.
Però giustamente, chiuso il telefono, avevano la loro vita a cui tornare.
L'unica a non avercela più, una vita, ero io.
Al suo posto una massa informe, sfilacciata, ferita, che come unico perno su
cui girare aveva lo smarrimento.
Passato il momento del dolore insopportabile, poi, non c'era più neanche
quello a farmi un po' di compagnia.
Andavo a letto e l'unico pensiero prima di addormentarmi era la speranza di
non risvegliarmi. Tanto il grande amore che dovevo avere l'avevo avuto, i
romanzi migliori che dovevo scrivere li avevo scritti, di certo non ne avrei scritti
altri in cui mi sarei potuta così profondamente esprimere, perché non avrei
vissuto nient'altro che avrebbe potuto toccarmi così profondamente, la casa
d'infanzia era ormai alle spalle e con lei ogni promessa interessante di bene: "E
allora, se non c'è più da scrivere, se non c'è più da vivere, se non c'è più una
famiglia che, ogni settimana, quantomeno mi dia l'illusione di essere la mia, che
ci sto a fare io, al mondo?" ripetevo in continuazione ogni lunedì alla mia
analista, la dottoressa T.
Che un giorno di dicembre - ispirata da Rudolf Steiner ed esasperata da me -,
alla fine di una seduta, mi ha buttato lì, intensa e un po' magica com'è: "Le va di
fare un gioco?".
"..."
"Per un mese, a partire da subito, per dieci minuti al giorno, faccia una cosa
che non ha mai fatto."
"Cioè?"
"Una cosa qualunque. Basta che non l'abbia mai fatta in trentacinque anni."
"Quasi trentasei."
"Quasi trentasei. Una cosa qualunque. Nuova."
"Per un mese."
"Sì."
"Per dieci minuti."
"Per dieci minuti."
"Ma... è sicura che funzioni?"
"Dipende da lei. I giochi sono per persone serie. Se decide di cominciare il
percorso, non deve saltare nemmeno un giorno."
"E poi?"
"Poi che?"
"Alla fine che cosa si vince? Riavrò indietro la mia vita?"
"Ne riparliamo fra un mese, Chiara. Intanto giochi, si impegni e non bari, mi
raccomando. Arrivederci."
"Arrivederci."
Non avevo niente da perdere: era proprio quello il mio problema.
È diventata l'occasione per provarci.
Cominciare il gioco dei dieci minuti.
Questo che segue è il diario di quel mese.
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per dieci minuti
Random© Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano Prima edizione nella collana “I Narratori” novembre 2013 ISBN edizione cartacea: 9788807030710 A Yab, per tutti i minuti del suo futuro In ogni essere umano esistono facoltà latenti attraverso le quali egli p...