3 dicembre, lunedìalba 7.20 - tramonto 16.40uno smalto fucsia

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Lo studio della dottoressa T. è al centro di Roma, a pochi passi dalla casa dove

Mio Marito e io ci siamo trasferiti due mesi e mezzo prima della sua telefonata

da Dublino.

Fra lo studio e la casa c'è il centro estetico Isla, di Cristina e Tiziana, le uniche

persone che mi sono diventate subito familiari nel quartiere di una città che ho

sempre sentito vagamente ostile e che da quando Mio Marito se n'è andato si è

trasformata in una costante minaccia.

Sono cresciuta e ho sempre vissuto a Vicarello, frazione di un paese a un'ora

da Roma che dorme e s'annoia sul suo lago.

Sono stata tante cose, lì: triste, felice, con i capelli a caschetto, lunghi, corti,

con il morbillo, le ginocchia sporche, ho avuto gli incubi dei dieci anni, i segreti

tremendi dei quindici, le delusioni dei venti, gli stupori dei venticinque, ho fatto

le cazzate dei dieci, dei quindici, dei venti e dei venticinque, mentre di là

cucinava mia madre, usciva e rientrava mio padre, nasceva mio fratello,

passeggiava un gatto, un cane, un altro cane, un coinquilino, un altro coinquilino,

un altro ancora, mi sono innamorata, sono stata ricambiata, ma poi no, lasciata,

ma poi no, annoiata, noiosa, voluta, perduta, cretina, moglie.

Sempre e comunque protetta.

Dalla violenza della realtà, dicevo io.

Dalla responsabilità di essere davvero un'adulta o almeno giù di lì, dicevano gli

altri: finché ti basta attraversare un pezzo di orto per essere a casa dei tuoi

genitori è una finta tutto, lo capisci o no?

Fatto sta che non me ne sarei mai andata, se l'impianto elettrico non fosse

marcito e se la Mia Casa di Vicarello non avesse preteso con tutta se stessa una

ristrutturazione: ma ci sarebbe voluto tempo, era stato il responso degli operai,

parecchio tempo. E allora perché non affittiamo una casa a Roma per un paio

d'anni, così, se finalmente ti convinci che si vive molto meglio lì, cioè lontano da

mamma e papà anziché a tre pomodori di distanza, cioè dentro le cose anziché

fuori (fosse solo perché io, invece di farmi due ore in macchina per andare e

tornare dallo studio, potrei arrivarci a piedi e tu che non guidi potresti smetterla

di vivere in treno), vendiamo la casa di Vicarello e ne compriamo una in città?,

aveva proposto Mio Marito.

Avevo risposto va bene: tanto, se dovevo venire esiliata da Vicarello, per me

un posto valeva l'altro, bastava che con me ci fosse lui.

Dopo nemmeno tre mesi, però, mi avrebbe lasciata sola, in quella maledetta

casa di quel maledetto quartiere di questa maledetta città.

Ma che Isla fosse davvero un'isola, nel rumore inutile che può fare Roma se

non sai più chi sei, e che Cristina e Tiziana non avessero niente della simpatia

per dieci minutiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora