17. Step three: I'm calling you baby

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Un mese.
Trenta giorni.
Settecentoventi minuti.

Era questo il tempo trascorso dal pomeriggio vissuto nella pace di Villa Borghese da Manuel e Simone.

Erano stati entrambi bene, erano tornati, ognuno nella propria dimora, felici di come si era svolto l’appuntamento.

Felici, sì, ma anche tanto confusi.

Simone in primis, il quale aveva trascorso quei trenta giorni sognando ad occhi aperti e ripercorrendo all’infinito quel pomeriggio, sorridendo di tanto in tanto al ricordo della sua testa sulla spalla di Manuel, delle labbra umide sulla sua fronte e delle loro mani strette.

Fu in uno di questi giorni in cui lo aveva osservato perdersi nella serenità dei suoi pensieri che Daniele decise di azzardare una proposta.

«A cosa pensi, Simo?»
«A Manuel, a quel pomeriggio»
«Vi siete più sentiti?»

Si erano sentiti, si erano scambiati tantissimi messaggi, ma Simone non sapeva come spiegare nemmeno a sé stesso quanto la voglia di chiedergli un nuovo appuntamento viaggiasse in direzione contraria alla paura di risultare pesante.

Ché Simone non aveva smesso di sentirsi un giocattolo rotto, un giocattolo in procinto di essere riparato ma che avrebbe comunque avuto meno valore di un giocattolo nuovo.

Ché Simone non aveva ancora smesso di sentirsi un peso per Manuel, un intralcio alla sua vita, un ostacolo alla sua felicità.

Ché Simone non aveva smesso di credere che coinvolgere Manuel nel suo stato di salute fosse la più grande cazzata della sua vita.

Ma a Simone bastava chiudere gli occhi per sentire il ponentino soffiargli sul viso e la presenza di Manuel accanto a sé. Ché se il suo cuore avesse ceduto su quella panchina, lui se ne sarebbe andato col sorriso sulle labbra.

«Ci siamo sentiti, sì…»
«Ma? Perché lo so che c’è un ma» rispose Daniele, che ormai era in grado di riconoscere l’incertezza nella voce di Simone.
«Vorrei chiedergli di vederci di nuovo ma ho paura di tirare troppo la corda»

Dopo la sfuriata sotto il portone, Daniele aveva preso a cuore Manuel.
Non erano amici ma aveva imparato a volergli bene e ad empatizzare con lui.

Si era più volte messo nei suoi panni comprendendo le sue reazioni, talvolta giustificandole, motivo per lui aveva pensato di suggerire a Simone un’azione che era sicuro Manuel avrebbe apprezzato.

«Tu sai che io per te ci sono sempre, no?» aveva deciso di iniziare il discorso partendo dagli antipodi ché in quel momento qualsiasi parola era in grado di ferire Simone.
«Sì, certo» rispose Simone, leggermente intimorito da quella premessa.
«Non pensare che quello che ti sto per dire sia perché io non abbia più voglia di aiutarti o qualsiasi altra cosa possa passarti per la testa, non voglio farti pressione, davvero, è solo un'idea»
«Dimmi»
«Perché non chiedi a Manuel di accompagnarti alla prossima seduta di chemioterapia?» Dodici parole soffiate in fila, una dietro l'altra con addosso la paura dell'effetto che tale richiesta avrebbe avuto su Simone.

Simone aveva pensato un milione di volte a quell'eventualità in quei trenta giorni, aveva anche preparato il messaggio da inviargli, ma poi, in preda a mille dubbi, lo salvava sempre nelle bozze senza mai inviarlo.

Era il momento giusto?
Non sarebbe stato troppo presto passare dal niente al quale lo aveva abituato ad, addirittura, mostrargli la sofferenza di quel momento così intimo, in quel modo, nero su bianco?
E come avrebbe reagito Manuel?

Tanti interrogativi affollavano la sua mente.

«N-non lo so. Avevo pensato anche io a questa ipotesi ma ho paura»
«Di cosa?»
«Che sia troppo, che io gli chieda troppo, che mi dica di no»

I'll be coming home, wait for meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora